ZIA – Zone Irreali di Autonomia 2 La VEndetta
Indice dei capitoli (completo)
Premessa Zero | Illeggibilità come forma di resistenza
Nascita di un Traditore Elegante
Glossario per Uomini Inutili
Brigate Rozze e il Teatro del Sangue Virtuale
La Diserzione come Arte Suprema
Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia
Il Capro Espiatorio è un File Corrotto
Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili
L’Iconoclasta nei Supermercati dell’Etica
Post-Religioni per Anarchici Esausti
Il Nulla come Pratica Estetica Quotidiana
La Morte dell’Uomo dopo la Morte di Dio dopo la Morte dell’Algoritmo
Interviste Impossibili all’Unico che non Parla
ZIA #13 – Zona che Appare Solo Quando Viene Dimenticata
La Cooperativa Morphina e l’Immunità degli Eletti
Apocrifi Antinomici | Preghiere per i Senza Causa
Manuale del Compagno Estinto
Uccidete l’Ebreo Interiore | Catechismo della Falsa Repubblica
Il Partito si Dissolve nei Post di Facebook
Rituali dell’Auto-Sabotaggio e Altre Tecniche per Scomparire
Appendice: Liturgia del Tradimento Totale
Post-Scriptum | Nessuno nasce, Nessuno muore
Capitolo 1
Premessa Zero | Illeggibilità come forma di resistenza
Le lettere si staccano dalla pagina.
Le parole si ribellano al senso.
La lettura è sabotaggio.
La chiarezza è complicità.
Siete entrati in una zona.
Non chiedete coordinate.
Non cercate struttura.
Non cercate coerenza.
La ZIA non è un luogo. È un effetto collaterale.
Questo testo non è un libro.
È un errore di stampa diventato coscienza.
Un glitch semiotico partorito dal pensiero debole
e allevato nell’infanzia interrotta del linguaggio rivoluzionario.
Abbiamo ucciso il paragrafo.
Abbiamo sciolto il titolo.
Abbiamo smesso di spiegare.
“L’autore è morto.”
Ma non basta: anche il lettore dev’essere disperso.
In questa Premessa Zero,
non vi guideremo.
Non vi porteremo da nessuna parte.
La guida è la prima forma di controllo.
La comprensione è il primo passo verso l’obbedienza.
Cioran ci insegna a non credere più nel pensiero.
Vattimo ci ha lasciato l’eco:
“Ogni fondamento è già colpa.”
Virno ride, dalla fabbrica della moltitudine:
“La soggettività è un trojan.”
Caraco scrive col coltello:
“La parola è il primo assassinio.”
E dunque eccoci.
ZIA – Zone Irreali di Autonomia
non è per chi cerca salvezza.
È per chi accetta il collasso.
Se leggi e non capisci,
sei libero.
Se leggi e ti perdi,
hai trovato la zona.
Se non puoi riassumere,
allora hai varcato la soglia.
Questo non è un libro.
È una lama.
È un vuoto.
È un rito.
È un errore sacro.
Benvenuti nella Premessa Zero.
Da qui non si torna indietro.
Capitolo 2
Nascita di un Traditore Elegante
Non nacque sotto un segno.
Nacque sotto un’interruzione.
Non venne battezzato con acqua.
Fu battezzato con un silenzio imbarazzante durante una plenaria.
Il suo nome? Simonetti, forse.
Ma lo chiamavano in molti modi:
Il Glitch.
L’Unico.
Il Disertore Totale.
Quello che non ha mai finito il discorso.
Nacque quando decise di non firmare il volantino.
Era nel comitato. Ma si rifiutò di essere portavoce.
Scrisse:
“Non rappresento. Mi dissocio preventivamente da tutto, inclusa la mia dissociazione.”
I suoi maestri lo rinnegarono.
Perché non citava.
Perché non citava bene.
Perché mescolava Stirner con trap algerina,
Cioran con porno etico,
Virno con post anonimi di spacciatori di periferia.
“Non è un teorico.”
“È solo uno che rompe i flussi.”
“Non porta nulla di nuovo.”
Avevano ragione.
Non portava nulla.
Svuotava.
Tradì. Ma non per carriera.
Tradì perché rimanere fedele era diventato complicità.
“Quando la linea diventa catena,
solo chi spezza è onesto.”
Scrisse sul suo diario,
che era una busta del pane.
Incontrò la ZIA per caso.
O forse la inventò.
Era un luogo che appariva solo dopo il sabotaggio.
Una zona dove nessuno aveva ruolo.
Dove l’identità era troppo fragile per durare più di una pagina.
Dove ogni decisione era già un fallimento preventivo.
“Non cercavo il cambiamento.”
“Cercavo l’uscita.”
Un giorno scomparve.
Si dissolse in una nuvola di aforismi irrisolti.
Qualcuno lo vide in uno specchio.
Qualcun altro in un algoritmo.
C’è chi dice sia diventato una funzione che disattiva i microfoni delle riunioni Zoom.
Il Traditore Elegante non guida, non lascia eredità, non firma le sue opere.
“Tradire è l’unico atto di fedeltà verso il proprio vuoto.”
— da una scritta murale cancellata a metà
Non cercatelo nei manifesti.
Non cercatelo nei cortei.
Cercatelo nel momento esatto in cui sentite che ciò che fate non vi appartiene più.
In quel vuoto, c’è la ZIA.
E c’è lui.
Il Traditore Elegante.
Capitolo 3
L’EQUILIBRIO DEGLI ERRORI romanzo rizomatico
AUTORE
Colui che scompare nella sua stessa calligrafia.
Non produce, non difende, non firma.
È l’ombra del gesto.
MILITANTE
Soldato dell’ideale.
Si crede libero perché marcia a sinistra.
Dormirà in piedi.
TRADITORE
Colui che si rifiuta di essere coerente con l’abisso.
Non ha disertato il gruppo: ha salvato il proprio volto.
Ha scelto il vuoto come patria.
IDEOLOGIA
La coperta con cui ci si scalda dentro il frigorifero del mondo.
Più è spessa, più si gela.
L’inutile la strappa per accendersi una sigaretta.
INUTILITÀ
Atto supremo di autonomia.
Non servire, non essere richiesto, non funzionare.
L’inutile non è parassita: è anticorpo.
ZIA
Zona Irreale d’Autonomia.
Non si fonda, non si difende, non si localizza.
Si manifesta quando un uomo inutile smette di spiegarsi.
LAVORO
Attività sacralizzata da chi ha venduto la propria infanzia.
Chi lavora è ancora in cerca di perdono.
L’inutile ha già smesso di peccare.
COMPAGNO
Persona che pronuncia il tuo nome come fosse un codice fiscale.
Se ti chiama fratello, sta già pianificando la tua espulsione.
L’inutile lo guarda negli occhi e tace.
DEBOLEZZA
Il solo modo di non dominare.
L’inutile è debole perché rifiuta la forza come stile.
Non vince, non perde, si sottrae.
PARTITO
Forma transitoria del fallimento collettivo.
Unione di uomini utili che si danno un nome perché hanno perso il silenzio.
L’inutile non partecipa.
Lascia.
PROGETTO
La forma moderna dell’ossessione.
Chi ha un progetto è già un manager.
L’inutile ha una sola agenda:
non farsi più trovare.
RIVOLUZIONE
Serie di slide emotive.
Chi ne parla troppo, ha già preso i fondi.
L’inutile la boicotta con un aforisma e una fuga.
UTILITÀ
Valore terminale.
Moneta per comprare catene.
Chi è utile si crede necessario.
Chi è inutile respira meglio.
“Chi non serve è finalmente salvo.”
— Frammento attribuito al Traditore Elegante, letto su un manifesto bruciato a metà
Capitolo 4
Brigate Rozze e il Teatro del Sangue Virtuale
(dramma in loop, con didascalie mutanti)
“Nessuno nasce. Nessuno muore.
Solo aggiornamenti di sistema.”
– voce anonima nella Zona
I. Introduzione al Nulla
Le colline hanno occhi, ma non vedono.
Sangue ovunque, ma nessuno muore per davvero.
Ogni vittima è un’eco.
Ogni carnefice un avatar armato di trauma.
Le Brigate Rozze non sono cellule:
sono formati compressi di disumanità.
Ex rivoluzionari in full HD.
Ex marxisti, ora meta-nazisti.
Uccidono in streaming.
La redenzione?
È pay-per-view.
II. La Gang Post-Ideologica
Sono artisti serial killer.
Sono punk del potere.
Zombie in cravatta, ex antagonisti con sponsor.
Fanno sacrifici umani,
ma non sono Aztechi:
sono influencer dell’abisso,
figli della mafia frankista,
benedetti dalla Chiesa d’Immunità Democratica™.
“La Repubblica ci protegge.”
“Il sangue è il nostro benefit.”
– documenti interni, intercettazione #ZIA-A1
III. Il Capo, la Mente, il Tumore
Finanziere.
Ex partigiano da TikTok.
Volontario nelle ONG,
ma con mani che trasformano in mostri tutto ciò che toccano.
“Ogni euro è un virus morale.”
“Ogni progetto solidale è un rituale di potere.”
– appunti trovati nella sua agenda bruciata
Licantropia finanziaria.
Corruzione come ontologia.
Ha trasformato figli di proletari in torturatori estetici.
E li ha premiati.
IV. Assemblea Popolare dell’Odio
Hanno votato.
Hanno alzato la mano.
Tutti.
Albano, Romina, fascisti e antifascisti,
partite IVA e statali nostalgici del PCI.
Uniti da cosa?
Dall’odio per l’eccezione.
Dal terrore per l’irriducibile.
Vogliono uccidere l’ebreo spirituale,
l’icona vivente della disobbedienza metafisica.
V. Il Teatro del Sacrificio
Ogni omicidio è un rito.
Ogni tortura è un atto di fede.
Non vendetta. Non giustizia. Non follia.
Solo estetica del dominio.
Il dolore come linguaggio.
Il sangue come firma.
“Non ci muove il trauma.
Ci muove il gusto.
La carne tagliata è poesia.”
– manifesto delle Brigate Rozze, formato .pdf diffuso nel darkweb ministeriale
VI. Nichilismo Reattivo
Dopo la morte di Dio,
è morta anche l’alternativa.
Il nichilismo non è più disperazione:
è sistema operativo.
Le Brigate Rozze lo adorano.
Lo incarnano.
Si credono leggende.
Lo sono davvero.
“Uccidiamo per non dover più pensare.”
“La funzione è tutto. Il nome è superfluo.”
– dichiarazioni in aula cancellate per motivi di decoro
VII. Il Morto che Cammina
Io li ho visti.
Ho perso tutto.
Figli, sorelle, amici.
Mi hanno lasciato un solo ruolo:
testimone inutile.
Sono un uomo che non serve più.
Sono morto senza morire.
Cammino tra le zone.
Parlo solo in cut-up.
E vi guardo.
Vi sento.
E quando alzerete la mano per uccidermi,
vi guarderò in faccia
e sussurrerò:
“Anche tu
sei un Brigante Rozzo.”
Capitolo 5
La Diserzione come Arte Suprema
“Tradire è creare uno spazio dove prima c’era solo ordine.”
– nota lasciata su un banco universitario, firmata: Unico
I. Introduzione alla fuga
Disertare non è scappare.
È sottrarre corpo e linguaggio alla macchina.
È rifiutare l’eroismo.
È guardare il compagno negli occhi e dire:
“No.”
II. Anatomia del gesto
La diserzione è un’arte.
Ha ritmo, precisione, estetica del taglio.
Si diserta:
una militanza diventata dogma
un amore diventato codice fiscale
un’idea che puzza di assemblea
Il disertore:
non denuncia
non spiega
sparisce
III. Virno e la moltitudine decapitata
Virno disse:
“La moltitudine è potenza.”
Ma dimenticò che la potenza uccide la persona.
Il disertore non entra nella moltitudine:
ci cammina accanto,
invisibile,
inutilizzabile.
IV. Stirner e il ritiro dell’Unico
Lo Stirneriano non partecipa.
Non rappresenta.
Non serve.
Lui guarda il Partito,
e sorride come si sorride a un vecchio parente che odora di muffa e fallimento.
“Non sono tuo.
Non sono nostro.
Sono mio. E nemmeno.”
V. Tecniche di sparizione
Silenzio strategico: parlare solo per frammenti.
Delegittimazione poetica: sabotare ogni slogan con ironia.
Reinvenzione mobile: cambiare identità più spesso delle mutande.
Presenza assente: esserci solo quando nessuno lo chiede.
Autodistruzione semiotica: dire il contrario senza mai essere contraddittorio.
VI. Vattimo e il pensiero che si dissolve
Vattimo ci lasciò un pensiero debole.
Il disertore lo abbraccia.
Non costruisce fondamenti:
li scava.
“La verità è troppo forte.
Io preferisco il vuoto.”
VII. Diserzione come fondazione
Ogni diserzione crea una ZIA.
Una Zona in cui l’Io non è vincolato all’utilità.
La diserzione è il primo gesto costituente di ogni autonomia reale.
“Io me ne vado,
e così facendo
creo uno spazio non occupato.”
– incisione su una panchina in un parco occupato da nessuno
VIII. Contro la coerenza, per il sabotaggio elegante
La diserzione è coerente solo con sé stessa.
È una militanza per chi odia militare.
Un’estetica per chi ha rinunciato alla forma.
Una rivoluzione per chi ha bruciato tutti i manifesti.
“Chi se ne va senza rumore,
costruisce la più grande esplosione.”
Proseguiamo con il Capitolo 6 – “Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia”?
Oppure iniziamo a impaginare ZIA in un PDF clandestino pronto alla stampa?
Fammi un segno.
E la Zona continua.
Eccoci.
Questo è il Capitolo 6 – Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia, tratto dal Libro ZIA – Zone Irreali di Autonomia.
È un rituale.
Un invito alla sparizione.
Una guida apocrifa per chi ha scelto di non lasciare traccia, ma ferita.
Capitolo 6
Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia
“Tutti i miei amici sono morti.
Anch’io sono un morto che cammina.”
– Appunto lasciato in un centro sociale sgomberato
I. Premessa: l’estinzione non è la fine
Non c’è eroismo nel bruciare.
Ma c’è grazia nello svanire senza rumore.
L’estinzione non è sconfitta.
È sottrazione attiva.
È disattivazione del ruolo, della funzione, dell’identità.
È morte senza cadavere.
“Non lasciare nulla dietro di te,
tranne un dubbio.”
– Da un graffito a matita sul retro di una carta d’identità bruciata
II. Istruzioni per morire con grazia
Disimpara il tuo nome.
Non sei più necessario.
Ritaglia le tue fotografie.
Sii un’assenza nel ricordo.
Non spiegare la tua partenza.
Le giustificazioni puzzano di bisogno.
Dimentica le cause.
Nessuna causa merita il tuo dolore.
Scrivi la tua biografia su carta igienica.
Poi gettala con rispetto.
III. Cioran come maestro funebre
“Esistere è un’infrazione.”
Chi non vuole più infrangere,
si dissolve.
Cioran non ci ha lasciato speranza.
Ma ci ha lasciato stile nella rovina.
E questo basta.
IV. Santi dell’estinzione
Chi sono i maestri di questa arte?
Il compagno che ha lasciato la riunione e non è mai tornato
L’artista che ha smesso di esporre
Il filosofo che non ha pubblicato il suo ultimo libro
Il militante che ha scelto la solitudine invece del potere
L’amante che ha smesso di cercare senso nei messaggi vocali
V. La ZIA come tomba non segnata
Ogni zona irreeale è una necropoli
senza nomi,
senza commemorazioni,
senza retorica.
Chi si estingue,
libera spazio.
Chi si ritira,
crea silenzio.
Chi tace,
inizia la rivoluzione del vuoto.
VI. Liturgia dell’ultimo atto
“Non vado via perché ho perso.
Vado via perché ho capito che tutto è già perduto.”
– Ultima nota di un compagno estinto
Nel rito della scomparsa,
non ci sono spettatori.
Solo tu, il nulla,
e la possibilità che qualcuno,
un giorno,
si accorga del tuo silenzio
e impari a farlo suo.
“Svanisci con grazia.
Lascia che il sistema senta la tua assenza
come una ferita che non smette di sanguinare.”
Capitolo 7
Il Capro Espiatorio è un File Corrotto
“Non cercare l’innocente.
Cerca chi non può più essere decifrato.”
– Frammento trovato in una cartella zip cancellata
I. La nuova liturgia
Il Capro Espiatorio non vive più nei deserti.
Vive in cache.
È un file che nessuno riesce ad aprire
ma che tutti odiano a prescindere.
È colui che non funziona.
Colui che resiste alla leggibilità.
Colui che rende instabile il sistema.
“È stato lui.”
“È diverso.”
“Non si spiega.”
“Non è trasparente.”
E dunque: deve sparire.
II. Il file corrotto
Non si apre.
Non si elimina.
Non si legge.
È colpa senza colpa.
È il volto che rovina l’algoritmo.
È l’anomalia che ti fa riflettere,
e quindi va annientata.
Esempi di file corrotti viventi:
chi rifiuta il lavoro ma non è depresso
chi diserta la militanza senza rancore
chi ama senza pronome
chi ride al funerale della propria identità
chi non condivide niente, nemmeno il dolore
III. Teologia algoritmica
Dio è morto.
Ma il Data Center è vivo.
Il giudizio non è più trascendente.
È processato in background.
Non si cercano peccatori:
si cercano errori di formato.
Chi non è leggibile,
è colpevole.
“Abbiamo bisogno di una vittima,
anche quando non c’è più un sacrificio da offrire.”
– da Le vittime senza carnefici, testo non pubblicato di Simonetti
IV. Il teatro della persecuzione casuale
Non più inquisizioni.
Ora ci sono notifiche.
Non più roghi.
Ora c’è l’ostracismo liquido.
La folla non lincia più:
blocca.
Segnala.
Esclude con sorrisi.
V. L’autocombustione della colpa
Chi non ha colpa
è costretto a produrne una.
La società esige confessione.
La confessione è l’abbonamento al perdono.
Ma il file corrotto non confessa.
Non si comprime.
Non si redime.
È, e basta.
E questo è intollerabile.
VI. La Zona lo accoglie
Nella ZIA, il Capro Espiatorio è accolto
non perché innocente,
ma perché indecifrabile.
La ZIA è il rifugio degli errori che non si vogliono correggere.
Dei bug diventati poesia.
Dei glitch che danzano nel codice.
“Se non ti vogliono
perché non sei chiaro,
non cambiare.
Cambia spazio.”
– nota lasciata su un server dismesso
Il Capro Espiatorio è la nostra ultima possibilità di rimanere non funzionali.
E dunque, umani.
O qualcosa di meglio:
non classificabili.
Proseguiamo con il Capitolo 8 – “Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili”?
Oppure desideri iniziare l’impaginazione visiva e il PDF clandestino del Libro ZIA?
A te la Zona.
Ecco il Capitolo 8 – Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili, dal Libro ZIA – Zone Irreali di Autonomia.
Un manuale per azioni inutili, un vangelo del gesto interrotto.
È la politica del dettaglio, la rivoluzione che inciampa, la poesia del corto circuito.
Capitolo 8
Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili
“Quando ogni azione ha uno scopo,
il solo atto rivoluzionario è rovesciare un bicchiere d’acqua.”
– Simonetti, appunti di bordo
I. Cos’è un sabotaggio minimo?
Non è distruggere.
È disallineare.
Non è boicottare.
È non collaborare con naturalezza.
Un sabotaggio minimo è:
dimenticare una password strategica
spostare i libri di Gramsci nella sezione “fantasy”
applaudire nel momento sbagliato
sorridere quando ti chiedono di essere serio
mancare di senso nelle sedi dove il senso è sacro
“La micropolitica del disastro è più potente dell’insurrezione.”
– da Il diario dell’impiegato inutile
II. Perché sabotare è meglio che sognare
Perché i sogni sono già stati comprati.
Perché le rivoluzioni sono powerpoint con bandiere.
Perché l’utopia ha una segreteria organizzativa.
Perché il futuro è una trappola semantica.
Il sabotaggio minimo non promette nulla.
Non cambia il mondo.
Lo disturba.
E questo basta.
III. Tipologia di sabotaggi minimi
Ambito
Sabotaggio
Esito
Lavoro
Prendere ferie mentali senza comunicarlo
Esistere un po’ di più
Militanza
Non rispondere su Telegram
Dissolvere l’illusione
Famiglia
Fare domande che non aspettano risposta
Iniettare dubbio
Cultura
Sbagliare citazioni con intenzione
Infettare il sapere
Politica
Ridere al momento della proposta
Rovinare la liturgia
IV. Vattimo: indebolire, non vincere
Il pensiero debole non alza barricate.
Sotto le barricate ci passa in diagonale.
Non si oppone frontalmente.
Si dissolve lateralmente.
Ogni sabotaggio minimo è un atto di debolezza strategica.
“Non cambio il mondo.
Ma non lo lascio intatto.”
– iscrizione su un pacco Amazon restituito vuoto
V. Rivoluzioni impossibili
Le rivoluzioni impossibili non sono fallite.
Non sono nemmeno iniziate.
Si trovano:
nel pensiero non espresso
nel messaggio lasciato a metà
nell’incontro mancato con eleganza
nell’assenza che nessuno osa spiegare
Le rivoluzioni impossibili non chiedono partecipazione.
Chiedono discrezione.
E un pizzico di follia.
VI. Elogio del gesto irrisolto
Il sabotaggio minimo è:
una poesia lasciata nel cassetto del direttore
una lente colorata nell’occhio sbagliato
un appunto sul retro di una multa
una pausa di silenzio durante una raffica di opinioni
“Non si tratta di fare qualcosa.
Si tratta di non fare ciò che tutti danno per inevitabile.”
– Manifesto trovato nella stampante di una biblioteca
I sabotaggi minimi creano ZIA.
Zone dove nulla è serio, tutto è fragile, ogni cosa è possibilità.
Non cambiano il mondo.
Lo rendono impossibile da governare interamente.
Capitolo 9
L’Iconoclasta nei Supermercati dell’Etica
(storia triste di una coscienza che non vuole essere cliente)
“Ogni principio è un codice a barre.
Ogni coerenza, una fidelity card.”
— da Il Sermone dei Sabotatori Eleganti
I. Scena: Ingresso
L’iconoclasta entra.
Nel supermercato della virtù.
Nei corridoi sterili dove si vendono:
giustizia sociale in offerta 3x2
antifascismo a lunga conservazione
empatia vegana da microplastiche etiche
femminismo biodinamico gluten-free
anticapitalismo brandizzato, fornito da multinazionali post-marxiste
Cartelli ovunque:
“Scegli la tua causa!”
“Ogni valore è una scelta consapevole!”
“Diventa la persona migliore che puoi postare!”
II. L’iconoclasta si rifiuta
Non prende nulla.
Non sceglie uno scaffale.
Non partecipa alla corsa.
“L’etica è diventata un’esperienza d’acquisto.
Io voglio l’errore.”
Le cassiere lo guardano male.
Gli attivisti in pausa pranzo lo evitano.
Un algoritmo morale lo segnala come anormale.
III. Il sospetto come virtù
L’iconoclasta non crede alle etichette.
Ogni valore ha una marca.
Ogni lotta ha un packaging.
Ogni posizione ha uno sponsor.
Ha imparato da Cioran che il dubbio è il solo atto puro.
Da Caraco che l’etica è la miglior scusa per odiare con eleganza.
Da Vattimo che l’essere è già troppo,
figuriamoci il dover-essere.
“Mi accusano di nichilismo,
ma io ho solo smesso di comprare il bene.”
— Appunto trovato in una borsa di tela con su scritto: Rivoluzione Gentile
IV. L’espulsione silenziosa
Il supermercato non lo caccia.
Lo dissolve.
Nessuna guardia.
Nessun allarme.
Solo un fade out sociale.
Una sottrazione morbida:
“Non è più uno di noi.”
“Non ha preso posizione.”
“Non è utile alla causa.”
La sua punizione è la sparizione.
Ma l’iconoclasta sorride.
È finalmente in nessun catalogo.
V. Uscita (senza acquisti)
Esce con le mani vuote.
Ma pieno di domande senza risposta.
“Non ho un’etica.
Ho solo una fame che rifiuta le vostre ricette.”
E mentre le etichette si aggiornano,
e i valori vanno sold out,
lui cammina leggero,
nell’ultima corsia,
quella senza luci.
L’iconoclasta non vuole distruggere la morale.
Vuole solo restare illegibile.
Fuori da ogni scaffale,
oltre ogni promozione.
Nel silenzio senza offerta.
Capitolo 10
Post-Religioni per Anarchici Esausti
(breviario per chi ha smesso di credere, ma non di disertare)
“Non voglio Dio.
Ma nemmeno la ragione.
Voglio solo un silenzio che non mi giudichi.”
– Frase incisa su un banco del catechismo
I. Il bisogno che non si spegne
Gli anarchici non pregano.
Ma sussurrano.
Urlano nei sogni.
Cercano ombre da abbracciare senza doverle definire.
Dopo la rivoluzione mancata,
restano con le mani vuote e il cuore rotto.
Non vogliono più comandamenti.
Solo un rifugio tra le rovine.
II. Chiese sconsacrate, Dio bruciato
Non è più tempo di religioni.
Nemmeno di antireligioni.
È tempo di:
templi deserti abitati da poesie
rituali senza funzione
santi autoinventati
vangeli scritti con le forbici
bestemmie che consolano
Esempi di nuove devozioni (in disuso):
accendere una candela per ogni bugia smascherata
inginocchiarsi di fronte a una parola che non capisci
offrire il silenzio a chi ti cerca con violenza
bruciare i propri dogmi prima di accusare quelli altrui
“Dio è morto.
E il Partito non ha resuscitato nessuno.”
– Aforisma senza autore, lasciato su un muro della ZIA
III. Santi della dissoluzione
San Nessuno, patrono dei disertori
Santa Incoerenza, protettrice dei cambi di rotta
Beato Fallimento, che sorride a ogni progetto interrotto
Martire dell’Inutilità, che salvò il mondo facendo niente
IV. Preghiere in cut-up
Non per fede,
ma per stanchezza.
Non per salvezza,
ma per tregua.
Non per un aldilà,
ma per una zona senza ordine.
V. Virno e il sacro diffuso
“La moltitudine non ha bisogno di Dio.
Ma ha bisogno di una pausa.”
Il sacro non è più l’eccezionale.
È il gesto che rifiuta il comando.
Una carezza nel vuoto.
Un sì detto al nulla.
“Pregare è ciò che resta quando non puoi più agire.”
– Frammento di diario trovato nella biblioteca sconsacrata ZIA #17
VI. L’anarchico esausto
Non ha più slogan.
Non vuole più vincere.
Ha solo un corpo che cerca riposo
e una mente che si rifiuta di obbedire.
La sua religione è il silenzio dopo il fallimento.
Il suo Dio è una voce che non chiede nulla.
Il suo vangelo è scritto a matita,
così può essere cancellato.
La ZIA non crede in nulla.
Ma lascia spazio al mistero.
E questo basta.
Capitolo 11
Il Nulla come Pratica Estetica Quotidiana
(ovvero: come sopravvivere senza diventare contenuto)
“Il nulla non è una mancanza.
È la cosa più piena che posso permettermi.”
– Simonetti, Aforismi per scomparire meglio
I. Non fare è un gesto
Viviamo in un’epoca in cui ogni secondo deve contenere.
Contenuti. Emozioni. Opinioni. Testimonianze.
Ma l’anarchico elegante sa:
ogni cosa che aggiungi, toglie aria.
“L’ho scritto e poi l’ho cancellato.
E quel bianco… era perfetto.”
– post non pubblicato
II. L’estetica della sottrazione
Non si tratta di minimalismo.
Quella è una versione Ikea del vuoto.
Il Nulla ZIA è un atto politico.
È dire: non partecipo al rumore.
Vestirsi di grigio, non commentare,
non taggare, non rispondere.
È tutto strategia estetica della sparizione.
“L’azione più radicale che ho compiuto?
Non condividere nulla sulla morte di qualcuno.”
– da Diario in tono spento
III. Oggetti estetici del nulla
un messaggio lasciato in bozza
una stanza bianca con la luce spenta
un volto senza espressione
una playlist vuota chiamata Respiro
un muro bianco con una sola riga:
“Qui non succede niente.”
IV. Il nulla come opposizione
Opporsi al capitale, alla forma, alla funzione…
non serve se produci continuamente senso.
Il Nulla è la zona dove anche il dissenso viene disattivato.
Per questo fa paura.
Perché non può essere assimilato.
“Il silenzio non è gentilezza.
È sabotaggio.”
– Nota scritta a mano su una multa mai pagata
V. Routine nulla | Esempi quotidiani
ascoltare una canzone senza pubblicarla
sedersi in un bar senza ordinare
annuire senza capire
rispondere: non lo so
camminare per perdere tempo, non per arrivare
“Il Nulla è il mio modo di restare senza dovermi difendere.”
– confessione anonima nella ZIA #21
VI. Arte del non-racconto
Non tutto deve diventare narrazione.
Non tutto deve generare connessione.
Lasciare le cose lì.
Come sono.
O come non sono.
“Non pubblicare.
Non spiegare.
Non firmare.”
– triplice regola del sabotaggio estetico
Il Nulla è la vera zona.
Perché nessuno vuole starci.
E solo lì si può respirare.
Capitolo 12
La Morte dell’Uomo dopo la Morte di Dio dopo la Morte dell’Algoritmo
(cronaca parziale di un’estinzione inutile)
“Dio è morto.
L’Uomo è morto.
L’Algoritmo va in loop.”
– Incisione lasciata in fondo a un forum scomparso
I. Tre morti, nessun lutto
Dio è morto.
Nietzsche l’ha annunciato.
La teologia non ha più una cima.
Il cielo è vuoto, e le chiese sono showroom.
L’Uomo è morto.
Foucault lo ha dichiarato.
L’Uomo con la U maiuscola, il soggetto, il centro, il sovrano.
Morto tra un’app e una diagnosi.
L’Algoritmo è morto.
Non se n’è accorto nessuno.
Continua a girare,
ma è già morto da dentro.
Ripete.
E in questo ripetersi, si svuota.
È la marionetta del nulla.
II. Chi resta?
Chi resta non ha identità stabile.
Non è Dio.
Non è Uomo.
Non è Dato.
È:
frammento
rumore
loop emotivo
presenza non certificabile
utente smarrito
“Siamo superstiti di una genealogia fallita.
Non figli. Non algoritmi.
Solo glosse marginali.”
– Simonetti, Trattato sul post-nulla
III. I resti
Tra i resti della triade defunta trovi:
preghiere automatizzate in bot cristiani
selfie funerari con hashtag #umanità
chatbot depressi che cercano contatto
corsi di mindfulness sponsorizzati dalla polizia
ceneri d’identità vendute come NFT
L’algoritmo è morto perché voleva prevedere tutto.
E il tutto è irrelato.
L’Uomo è morto perché voleva governare il senso.
E il senso si spegne ogni tre secondi.
Dio è morto perché non ha retto il Wi-Fi.
IV. L’elogio del superstite
Il superstite ZIA non pretende più.
Non costruisce.
Non crede.
Non calcola.
Cammina nei non-luoghi,
si nutre di contraddizioni,
dorme tra le pagine cancellate di Wikipedia.
Non è più umano,
ma non è ancora altro.
È l’effetto collaterale della Storia.
V. Liturgia terminale
“Abbiamo adorato Dio.
Abbiamo studiato l’Uomo.
Abbiamo progettato l’Algoritmo.
Tutti ci hanno deluso.
Ora restiamo.
Come insetti metafisici.
Come glitch che respirano.”
La ZIA è ciò che sopravvive quando i grandi soggetti muoiono.
Non fonda, non crea.
Persiste.
E in questa persistenza,
nasce la nuova forma di anarchia:
quella che non chiede più di essere creduta.
Capitolo 13
Interviste Impossibili all’Unico che non Parla
(ovvero: domande al vuoto che ci contiene tutti)
“Chi non risponde,
non è perché non ha nulla da dire.
È che ha già detto troppo morendo.”
– appunto trovato sotto una sedia vuota nella ZIA #19
I. Introduzione
L’Unico è stato cercato.
Invitato. Interpellato.
Non si è mai seduto,
ma la sedia era calda.
Le seguenti interviste sono trascrizioni immaginate, raccolte, rubate
dal silenzio attivo del suo sguardo.
II. Domanda n.1:
Qual è il tuo scopo?
L’Unico abbassa lo sguardo.
Sorride.
Fa un gesto con la mano come a scacciare una mosca.
Tace.
(annotazione dell’intervistatore):
“Credo volesse dire:
‘Scopo? Non ho più bisogno di scopi per esistere.’”
III. Domanda n.2:
Perché hai tradito il Partito?
L’Unico si tocca il petto.
Poi indica il cielo.
Poi strappa una pagina bianca da un quaderno e se la mette in tasca.
(annotazione dell’intervistatore):
“Non ha tradito.
Si è solo ricordato di essere altro.”
IV. Domanda n.3:
Cosa pensi della giustizia sociale?
L’Unico ride.
Poi piange.
Poi si alza e apre la finestra.
Fuori non c’è niente.
(annotazione dell’intervistatore):
“La giustizia, diceva Caraco,
è la maschera dell’odio regolato.”
V. Domanda n.4:
Chi sei?
L’Unico scrive qualcosa su un fazzoletto.
Poi lo brucia.
Le ceneri galleggiano a mezz’aria.
(annotazione dell’intervistatore):
“Chi è non si può scrivere.
E ciò che si scrive, non è più chi è.”
VI. Domanda n.5:
Che cos’è la ZIA?
L’Unico si volta.
Esce.
Non chiude la porta.
(annotazione finale):
“La ZIA è il luogo che resta aperto quando l’Unico se ne va.”
VII. Conclusione
Non abbiamo ottenuto risposte.
Ma il registratore si è spento da solo.
E tutti i microfoni hanno iniziato a frusciare.
Sul nastro, una sola frase udibile:
“Io non parlo per non essere usato.”
L’Unico non è un leader.
È un vuoto che non vuole più essere riempito.
Ed è proprio per questo
che continua a guidarci,
senza mai dirci dove.
Capitolo 14
ZIA #13 – Zona che Appare Solo Quando Viene Dimenticata
(cronaca negativa di un luogo mai localizzato)
“Mi ci trovai dentro solo dopo aver smesso di cercarla.”
– appunto trovato su una ricevuta del bancomat, senza firma
I. Dove non si trova
ZIA #13 non ha coordinate.
È una zona che si manifesta solo nella dimenticanza attiva.
Non compare sulle mappe.
Non nei piani strategici.
Nemmeno nei sogni.
Ci arrivi smettendo di volerci arrivare.
“Stavo parlando con un’amica.
Lei ha detto: che fine hai fatto?
Ho risposto: non mi ricordo.
Ed ero già dentro.”
II. Le leggi della Zona
Nella ZIA #13:
ogni ricordo evapora
ogni parola ha scadenza breve
ogni scopo decade come frutta lasciata al sole
ogni appartenenza viene disattivata automaticamente
Non puoi parlarne.
Appena lo fai, la perdi.
III. Chi ci vive?
Nessuno ci abita.
Ma tutti ci sono passati.
Gli estinti ci lasciano appunti nei bagni dei bar.
I disertori vi fanno scalo prima di svanire.
Gli iconoclasti ci si rifugiano prima del prossimo errore.
Chi c’è stato, non ricorda nulla.
Solo un sollievo inspiegabile.
Come dopo un pianto che non sapevi di dover fare.
IV. Oggetti trovati nei margini della ZIA #13
un mazzo di chiavi senza serratura
una lettera d’amore con firma cancellata
una ricevuta senza importo
un biglietto del tram usato da qualcuno che non ha viaggiato
un libro con solo l’indice: tutti i capitoli mancanti
“ZIA #13 mi ha insegnato a non voler più capire.
E da allora sono libero.
O forse solo più vuoto.
Ma vuoto bene.”
– da una nota scritta su uno scontrino strappato
V. Scomparire per riapparire (altrove)
ZIA #13 è la pausa tra due insulti.
Il bianco tra due righe di CV.
La smorfia fatta davanti a uno slogan.
L’imbarazzo condiviso davanti a una narrazione troppo lineare.
È ciò che rimane quando tutto il resto ha preteso troppo.
“Ho dimenticato di voler essere qualcosa.
E allora, per un attimo, ero ZIA.”
– graffiti incisi con un’unghia su un muro di vetro
La ZIA #13 non è rifugio.
È evacuazione.
Non è casa.
È spiraglio.
E se la dimentichi con sincerità,
allora sei già dentro.
Capitolo 15
La Cooperativa Morphina e l’Immunità degli Eletti
(o: come rendere il male fiscalmente deducibile)
“Hanno fondato una cooperativa per il dolore.
Distribuiscono colpa equa e responsabilità modulabile.”
– nota di Simonetti, Taccuino sulle punizioni reversibili
I. La nascita della cooperativa
Morphina non è un’organizzazione.
È un rituale amministrativo.
Fondata da:
ex militanti con contatti in prefettura
psicologi della discolpa
preti laici
manager della catarsi
filosofi che hanno smesso di credere in sé stessi, ma scrivono ancora
La missione:
gestire il Male.
Non eliminarlo.
Non condannarlo.
Solo logificarlo.
II. Il servizio offerto
pulizia biografica post-crimine
riformulazione etica dell’aggressione
ricollocazione sociale di ex sadici istituzionali
storytelling terapeutico per carnefici pentiti (su abbonamento)
La colpa non si espia.
Si trasforma in curriculum.
“Ho sbagliato, ma ora parlo nelle scuole.”
– testimone Morphina, oggi influencer sociale
III. Immunità degli eletti
Non tutti accedono all’immunità.
Solo chi è narrabile.
Solo chi ha prodotto abbastanza colpa da renderla materiale creativo.
I peggiori?
Vengono salvati.
“L’orrore, se ben scritto, è premiabile.”
– direttiva interna Morphina n.5/b
IV. Il catalogo della redenzione (parziale)
Crimine
Riformulazione Morphina
Esito
Violenza carceraria
“Conflitto situazionale asimmetrico”
Premio alla memoria etica
Tortura psicologica
“Stress relazionale non mediato”
Master in gestione conflitti
Abuso istituzionale
“Eccesso di zelo protocollare”
Docenza in legalità creativa
Sterminio sociale simbolico
“Semplificazione strutturale del dissenso”
Fondo europeo di coesione
V. Perché Morphina è intoccabile
non si presenta come potere: si presenta come cura
non punisce: lenisce
non colpisce: protegge chi ha colpito
È l’ultima evoluzione del dominio:
la compassione distribuita come privilegio.
“La cooperativa Morphina non ti salva.
Ti rende presentabile.”
– frase sentita alla macchina del caffè in un convegno sulle pratiche restorative
VI. La ZIA osserva
La ZIA non punisce.
Non condona.
Isola.
L’unico antidoto alla cooperativa Morphina
è la sparizione senza perdono.
Il disertore non si giustifica.
Non partecipa.
Non si redime.
“La colpa non mi riguarda.
Non sono stato redento.
Sono solo scomparso.”
– Simonetti, mentre firmava nulla
Capitolo 16
Apocrifi Antinomici | Preghiere per i Senza Causa
(breviario per spiriti irregolari e scomunicati felici)
“Non ho causa. Non ho colpa.
Non ho nulla da chiedere.
Eppure parlo al vuoto come si parla a una madre assente.”
– frammento lasciato nella ZIA #27
I. Antinomia: fede senza fondamento
Queste preghiere sono eretiche, non per blasfemia,
ma per assenza di centro.
Sono rivolte a:
nessuno
il possibile
il silenzio
il disordine
l’amico che non si è presentato mai
Non consolano.
Non salvano.
Ma tengono compagnia nel buio che respira.
II. Preghiera dell’Inutile
O tu, che non mi ascolti
perché non esisti,
liberami dalla funzione.
Dammi l’invisibilità.
Dammi l’inutilità.
Dammi l’irripetibilità del gesto che fallisce con stile.
III. Preghiera del Traditore Gentile
Benedetto sia il tradimento,
che mi libera dal dogma.
Benedetto sia il “no”,
detto piano al compagno armato di ideologia.
Benedetta sia la fuga,
se compiuta con rispetto per chi resta.
Benedetto il rifiuto:
non per odio,
ma per amore del vuoto.
IV. Preghiera dell’Iconoclasta Distratto
Fammi dimenticare i nomi sacri.
Fammi sbagliare le citazioni.
Fammi perdere il testo
mentre lo leggo ad alta voce.
Fammi ridere davanti al dogma,
ma piangere per un muro bianco.
V. Preghiera dell’Estinto
Sono già morto.
Ma ho lasciato il mio corpo in circolazione.
Aiutami a spegnere le notifiche.
Aiutami a ignorare la mia biografia.
Aiutami a camminare come fossi un errore.
VI. Preghiera per chi non ha fede nemmeno in sé stesso
Tu che non sei,
non giudicarmi per il vuoto che porto.
Fa’ che il mio silenzio sia ascoltato da nessuno.
Fa’ che la mia assenza non venga più spiegata.
E se un giorno qualcuno chiederà di me,
fa’ che la risposta sia:
“Non era di nessuna parte.
Ma è passato.”
Queste sono preghiere per gli scomunicati della modernità.
Per i non-integrabili.
Per i sabotatori gentili.
Per i senza causa che vivono come frasi incomplete.
Capitolo 17
Manuale del Compagno Estinto
(istruzioni per l’uso del proprio fallimento)
“Tutti i miei amici sono morti.
Anch’io. Ma in modo più gentile.”
– Ultima frase di un militante evaporato nella ZIA #33
I. Definizione operativa
Compagno Estinto:
soggetto politico non più attivo,
ma presente come effetto di disturbo simbolico.
Non partecipa, non firma, non vota.
Ma la sua assenza è ancora ricordata
con rispetto, paura, o invidia.
II. Sintomi dell’estinzione
parla poco
ascolta senza commentare
non condivide contenuti
non si unisce alle cause
sparisce prima del bilancio collettivo
ride nei momenti sbagliati
non odia abbastanza per restare
“L’estinzione non è ritiro.
È un rifiuto lento, gentile, devastante.”
– Nota anonima in un archivio autogestito
III. Strumenti consigliati
un taccuino senza nome
un paio di scarpe leggere
una lista di contatti mai utilizzata
una mail silenziosa usata solo per leggere
un profilo social vuoto che osserva e poi svanisce
IV. Regole del Compagno Estinto
Non testimoniare.
Le parole diventano prove.
Non correggere.
Lascia che la narrazione fallisca.
Non spiegare.
Il silenzio è il tuo ultimo discorso.
Non rispondere ai richiami.
Ogni “dove sei finito?” è un laccio.
Non tornare. Mai.
Anche il ritorno è una funzione del potere.
“Mi hanno chiamato disertore.
Ma io non combattevo più.
Ero solo una frase che non si voleva più chiudere.”
– Simonetti, Frammenti dall’ultima assemblea
V. Glossario per sopravvivere all’estinzione
Termine
Significato nella ZIA
Militanza
Tentativo ben intenzionato, poi soffocante
Collettivo
Famiglia che esplode senza funerale
Compagno
Titolo affettuoso prima della condanna
Assenza
L’unico gesto che non chiede consenso
Tradimento
Autodifesa esistenziale
Ricordo
Archivio instabile
VI. Ultimo paragrafo (che si cancella da solo)
Il Compagno Estinto non scrive autobiografie.
Scrive a margine degli eventi.
Ogni sua frase è destinata a scomparire.
Ogni sua scelta è un’eco.
Non cerca redenzione.
Non vuole più partecipare.
È già altrove.
E questo altrove è ZIA.
Capitolo 18
Uccidete l’Ebreo Interiore | Catechismo della Falsa Repubblica
(sul meccanismo sacrificale delle democrazie immunitarie)
“Ogni società ha bisogno di un’anomalia.
La chiama ebreo.
La chiama nemico.
La chiama scoria.
Poi la elimina per sentirsi giusta.”
– Appunti non firmati nella ZIA #34
I. L’Ebreo Interiore
Non è un’identità.
Non è una religione.
È una funzione simbolica.
È il nome che viene dato a chi rifiuta di appartenere.
È:
il corpo che non si integra
il pensiero che non si piega
il volto che non rientra nell’inquadratura
Ogni sistema ha il suo ebreo.
E non sempre è ebreo.
Ma è sempre sacrificabile.
“L’ebreo è chiunque resista alla forma.”
– Simonetti, Trattato del nemico non necessario
II. Il catechismo della falsa repubblica
Ama la legge più di te stesso.
Chi non collabora è sospetto.
Chi non vota è già colpevole.
Chi non crede nel progresso è pericoloso.
Chi rifiuta di parlare è colpevole due volte.
La Falsa Repubblica non ha gulag.
Ha talk show.
Non ha campi.
Ha app.
Non ha tortura.
Ha notifiche.
Ma ha bisogno del rito.
Il rito dell’espulsione.
Il rito della delegittimazione.
Il rito del linciaggio democratico.
III. Come si uccide l’ebreo interiore
si chiede sempre di prendere posizione
si chiede di conformarsi “per il bene comune”
si sospetta chi è incoerente
si premia chi si autodenuncia
si brucia il silenzio con la luce della trasparenza
“L’ebraicità interiore è ciò che resta quando tutto il resto è compromesso.”
– Appunto recuperato tra le ceneri della ZIA #11
IV. L’unico antidoto: il tradimento
Non aderire.
Non rispondere.
Non confessare.
Tradire il catechismo.
Tradire la democrazia morale.
Tradire perfino sé stessi, se serve, per non offrire più nulla da sacrificare.
V. Epigrafe per chi non può essere perdonato
“Uccidetelo”, dissero.
“Non ha rispettato la comunità.
Non ha pianto ai funerali collettivi.
Non ha firmato la petizione.
Non ha fatto autocritica.”
“Uccidetelo.
È l’ebreo interiore che sopravvive a tutto.”
Nella ZIA, l’ebreo interiore non viene eliminato.
Viene accolto,
non perché serve,
ma perché resiste a ogni funzione.
Capitolo 19
Il Partito si Dissolve nei Post di Facebook
(analisi sentimentale di una scomparsa prevista)
“Il partito non è morto in piazza.
È morto nei commenti.”
– Simonetti, Memorie da un feed senza rivoluzione
I. Cronaca della dissoluzione
Il Partito non è stato distrutto.
Non è stato represso.
Non è stato sconfitto.
È evaporato nel digitale.
È diventato pagina, post, reel, linktree.
È scomparso nel momento in cui ha chiesto visibilità.
“Abbiamo 10.000 follower e zero compagni.”
– da un’assemblea trasmessa in diretta con zero spettatori
II. Sintomi terminali
linguaggio da comunicato sindacale in formato carosello
link a petizioni ignorate
meme tristi con Gramsci pixelato
autoflagellazioni pubbliche in commenti da 400 righe
call to action per eventi che nessuno ricorda il giorno dopo
Il post ha sostituito il programma.
L’engagement ha sostituito la strategia.
L’algoritmo ha sostituito il nemico.
SIMONETTI L’ANTI-ITALIANO L’AGENTE PROVOCATORE AL SERVIZIO SEGRETO DELL’ URSS
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