sabato 24 maggio 2025

ZIA – Zone Irreali di Autonomia 2 la vendetta

 


ZIA – Zone Irreali di Autonomia 2 La VEndetta



Z I A [ Z o n a I r r e a l e d i A u t o n o m i a ] N é C e n t r o S o c i a l e , N é C e n t r o C o m m e r c i a l e By Riccardo Simonetti Casagrande


Indice dei capitoli (completo)

  1. Premessa Zero | Illeggibilità come forma di resistenza

  2. Nascita di un Traditore Elegante

  3. Glossario per Uomini Inutili

  4. Brigate Rozze e il Teatro del Sangue Virtuale

  5. La Diserzione come Arte Suprema

  6. Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia

  7. Il Capro Espiatorio è un File Corrotto

  8. Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili

  9. L’Iconoclasta nei Supermercati dell’Etica

  10. Post-Religioni per Anarchici Esausti

  11. Il Nulla come Pratica Estetica Quotidiana

  12. La Morte dell’Uomo dopo la Morte di Dio dopo la Morte dell’Algoritmo

  13. Interviste Impossibili all’Unico che non Parla

  14. ZIA #13 – Zona che Appare Solo Quando Viene Dimenticata

  15. La Cooperativa Morphina e l’Immunità degli Eletti

  16. Apocrifi Antinomici | Preghiere per i Senza Causa

  17. Manuale del Compagno Estinto

  18. Uccidete l’Ebreo Interiore | Catechismo della Falsa Repubblica

  19. Il Partito si Dissolve nei Post di Facebook

  20. Rituali dell’Auto-Sabotaggio e Altre Tecniche per Scomparire

  21. Appendice: Liturgia del Tradimento Totale

  22. Post-Scriptum | Nessuno nasce, Nessuno muore




    Capitolo 1


    Premessa Zero | Illeggibilità come forma di resistenza


    Le lettere si staccano dalla pagina.
    Le parole si ribellano al senso.
    La lettura è sabotaggio.
    La chiarezza è complicità.


    Siete entrati in una zona.

    Non chiedete coordinate.

    Non cercate struttura.

    Non cercate coerenza.

    La ZIA non è un luogo. È un effetto collaterale.


    Questo testo non è un libro.

    È un errore di stampa diventato coscienza.

    Un glitch semiotico partorito dal pensiero debole

    e allevato nell’infanzia interrotta del linguaggio rivoluzionario.


    Abbiamo ucciso il paragrafo.

    Abbiamo sciolto il titolo.

    Abbiamo smesso di spiegare.


    “L’autore è morto.”
    Ma non basta: anche il lettore dev’essere disperso.


    In questa Premessa Zero,

    non vi guideremo.

    Non vi porteremo da nessuna parte.

    La guida è la prima forma di controllo.

    La comprensione è il primo passo verso l’obbedienza.


    Cioran ci insegna a non credere più nel pensiero.

    Vattimo ci ha lasciato l’eco:


    “Ogni fondamento è già colpa.”
    Virno ride, dalla fabbrica della moltitudine:
    “La soggettività è un trojan.”
    Caraco scrive col coltello:
    “La parola è il primo assassinio.”


    E dunque eccoci.

    ZIA – Zone Irreali di Autonomia

    non è per chi cerca salvezza.

    È per chi accetta il collasso.


    Se leggi e non capisci,
    sei libero.


    Se leggi e ti perdi,
    hai trovato la zona.


    Se non puoi riassumere,
    allora hai varcato la soglia.


    Questo non è un libro.

    È una lama.

    È un vuoto.

    È un rito.

    È un errore sacro.


    Benvenuti nella Premessa Zero.

    Da qui non si torna indietro.




    Capitolo 2



    Nascita di un Traditore Elegante


    Non nacque sotto un segno.

    Nacque sotto un’interruzione.


    Non venne battezzato con acqua.

    Fu battezzato con un silenzio imbarazzante durante una plenaria.


    Il suo nome? Simonetti, forse.

    Ma lo chiamavano in molti modi:

    Il Glitch.

    L’Unico.

    Il Disertore Totale.

    Quello che non ha mai finito il discorso.


    Nacque quando decise di non firmare il volantino.

    Era nel comitato. Ma si rifiutò di essere portavoce.

    Scrisse:


    “Non rappresento. Mi dissocio preventivamente da tutto, inclusa la mia dissociazione.”


    I suoi maestri lo rinnegarono.

    Perché non citava.

    Perché non citava bene.

    Perché mescolava Stirner con trap algerina,

    Cioran con porno etico,

    Virno con post anonimi di spacciatori di periferia.


    “Non è un teorico.”
    “È solo uno che rompe i flussi.”
    “Non porta nulla di nuovo.”


    Avevano ragione.

    Non portava nulla.

    Svuotava.


    Tradì. Ma non per carriera.

    Tradì perché rimanere fedele era diventato complicità.


    “Quando la linea diventa catena,
    solo chi spezza è onesto.”
    Scrisse sul suo diario,
    che era una busta del pane.


    Incontrò la ZIA per caso.

    O forse la inventò.


    Era un luogo che appariva solo dopo il sabotaggio.

    Una zona dove nessuno aveva ruolo.

    Dove l’identità era troppo fragile per durare più di una pagina.

    Dove ogni decisione era già un fallimento preventivo.


    “Non cercavo il cambiamento.”
    “Cercavo l’uscita.”


    Un giorno scomparve.

    Si dissolse in una nuvola di aforismi irrisolti.

    Qualcuno lo vide in uno specchio.

    Qualcun altro in un algoritmo.

    C’è chi dice sia diventato una funzione che disattiva i microfoni delle riunioni Zoom.


    Il Traditore Elegante non guida, non lascia eredità, non firma le sue opere.


    “Tradire è l’unico atto di fedeltà verso il proprio vuoto.”
    — da una scritta murale cancellata a metà


    Non cercatelo nei manifesti.
    Non cercatelo nei cortei.

    Cercatelo nel momento esatto in cui sentite che ciò che fate non vi appartiene più.

    In quel vuoto, c’è la ZIA.

    E c’è lui.
    Il Traditore Elegante.




    Capitolo 3


    L’EQUILIBRIO DEGLI ERRORI romanzo rizomatico


    AUTORE

    Colui che scompare nella sua stessa calligrafia.

    Non produce, non difende, non firma.

    È l’ombra del gesto.


    MILITANTE

    Soldato dell’ideale.

    Si crede libero perché marcia a sinistra.

    Dormirà in piedi.


    TRADITORE

    Colui che si rifiuta di essere coerente con l’abisso.

    Non ha disertato il gruppo: ha salvato il proprio volto.

    Ha scelto il vuoto come patria.


    IDEOLOGIA

    La coperta con cui ci si scalda dentro il frigorifero del mondo.

    Più è spessa, più si gela.

    L’inutile la strappa per accendersi una sigaretta.


    INUTILITÀ

    Atto supremo di autonomia.

    Non servire, non essere richiesto, non funzionare.

    L’inutile non è parassita: è anticorpo.


    ZIA

    Zona Irreale d’Autonomia.

    Non si fonda, non si difende, non si localizza.

    Si manifesta quando un uomo inutile smette di spiegarsi.


    LAVORO

    Attività sacralizzata da chi ha venduto la propria infanzia.

    Chi lavora è ancora in cerca di perdono.

    L’inutile ha già smesso di peccare.


    COMPAGNO

    Persona che pronuncia il tuo nome come fosse un codice fiscale.

    Se ti chiama fratello, sta già pianificando la tua espulsione.

    L’inutile lo guarda negli occhi e tace.


    DEBOLEZZA

    Il solo modo di non dominare.

    L’inutile è debole perché rifiuta la forza come stile.

    Non vince, non perde, si sottrae.


    PARTITO

    Forma transitoria del fallimento collettivo.

    Unione di uomini utili che si danno un nome perché hanno perso il silenzio.

    L’inutile non partecipa.

    Lascia.


    PROGETTO

    La forma moderna dell’ossessione.

    Chi ha un progetto è già un manager.

    L’inutile ha una sola agenda:


    non farsi più trovare.


    RIVOLUZIONE

    Serie di slide emotive.

    Chi ne parla troppo, ha già preso i fondi.

    L’inutile la boicotta con un aforisma e una fuga.


    UTILITÀ

    Valore terminale.

    Moneta per comprare catene.

    Chi è utile si crede necessario.

    Chi è inutile respira meglio.


    “Chi non serve è finalmente salvo.”

    — Frammento attribuito al Traditore Elegante, letto su un manifesto bruciato a metà




    Capitolo 4



    Brigate Rozze e il Teatro del Sangue Virtuale


    (dramma in loop, con didascalie mutanti)


    “Nessuno nasce. Nessuno muore.
    Solo aggiornamenti di sistema.”
    – voce anonima nella Zona


    I. Introduzione al Nulla


    Le colline hanno occhi, ma non vedono.

    Sangue ovunque, ma nessuno muore per davvero.

    Ogni vittima è un’eco.

    Ogni carnefice un avatar armato di trauma.

    Le Brigate Rozze non sono cellule:

    sono formati compressi di disumanità.

    Ex rivoluzionari in full HD.

    Ex marxisti, ora meta-nazisti.

    Uccidono in streaming.

    La redenzione?

    È pay-per-view.


    II. La Gang Post-Ideologica


    Sono artisti serial killer.

    Sono punk del potere.

    Zombie in cravatta, ex antagonisti con sponsor.

    Fanno sacrifici umani,

    ma non sono Aztechi:

    sono influencer dell’abisso,

    figli della mafia frankista,

    benedetti dalla Chiesa d’Immunità Democratica™.


    “La Repubblica ci protegge.”
    “Il sangue è il nostro benefit.”

    – documenti interni, intercettazione #ZIA-A1


    III. Il Capo, la Mente, il Tumore


    Finanziere.

    Ex partigiano da TikTok.

    Volontario nelle ONG,

    ma con mani che trasformano in mostri tutto ciò che toccano.


    “Ogni euro è un virus morale.”
    “Ogni progetto solidale è un rituale di potere.”

    – appunti trovati nella sua agenda bruciata


    Licantropia finanziaria.

    Corruzione come ontologia.

    Ha trasformato figli di proletari in torturatori estetici.

    E li ha premiati.


    IV. Assemblea Popolare dell’Odio


    Hanno votato.

    Hanno alzato la mano.

    Tutti.

    Albano, Romina, fascisti e antifascisti,

    partite IVA e statali nostalgici del PCI.

    Uniti da cosa?


    Dall’odio per l’eccezione.
    Dal terrore per l’irriducibile.

    Vogliono uccidere l’ebreo spirituale,
    l’icona vivente della disobbedienza metafisica.


    V. Il Teatro del Sacrificio


    Ogni omicidio è un rito.

    Ogni tortura è un atto di fede.

    Non vendetta. Non giustizia. Non follia.

    Solo estetica del dominio.

    Il dolore come linguaggio.

    Il sangue come firma.


    “Non ci muove il trauma.
    Ci muove il gusto.

    La carne tagliata è poesia.”

    – manifesto delle Brigate Rozze, formato .pdf diffuso nel darkweb ministeriale


    VI. Nichilismo Reattivo


    Dopo la morte di Dio,

    è morta anche l’alternativa.

    Il nichilismo non è più disperazione:

    è sistema operativo.

    Le Brigate Rozze lo adorano.

    Lo incarnano.

    Si credono leggende.

    Lo sono davvero.


    “Uccidiamo per non dover più pensare.”
    “La funzione è tutto. Il nome è superfluo.”

    – dichiarazioni in aula cancellate per motivi di decoro


    VII. Il Morto che Cammina


    Io li ho visti.

    Ho perso tutto.

    Figli, sorelle, amici.

    Mi hanno lasciato un solo ruolo:

    testimone inutile.


    Sono un uomo che non serve più.

    Sono morto senza morire.

    Cammino tra le zone.

    Parlo solo in cut-up.


    E vi guardo.

    Vi sento.


    E quando alzerete la mano per uccidermi,

    vi guarderò in faccia

    e sussurrerò:


    “Anche tu
    sei un Brigante Rozzo.”




    Capitolo 5



    La Diserzione come Arte Suprema


    “Tradire è creare uno spazio dove prima c’era solo ordine.”
    – nota lasciata su un banco universitario, firmata: Unico


    I. Introduzione alla fuga


    Disertare non è scappare.

    È sottrarre corpo e linguaggio alla macchina.

    È rifiutare l’eroismo.

    È guardare il compagno negli occhi e dire:


    “No.”


    II. Anatomia del gesto


    La diserzione è un’arte.

    Ha ritmo, precisione, estetica del taglio.


    Si diserta:

    • una militanza diventata dogma

    • un amore diventato codice fiscale

    • un’idea che puzza di assemblea


    Il disertore:

    • non denuncia

    • non spiega

    • sparisce


    III. Virno e la moltitudine decapitata


    Virno disse:


    “La moltitudine è potenza.”
    Ma dimenticò che la potenza uccide la persona.
    Il disertore non entra nella moltitudine:
    ci cammina accanto,
    invisibile,
    inutilizzabile.


    IV. Stirner e il ritiro dell’Unico


    Lo Stirneriano non partecipa.

    Non rappresenta.

    Non serve.


    Lui guarda il Partito,

    e sorride come si sorride a un vecchio parente che odora di muffa e fallimento.


    “Non sono tuo.
    Non sono nostro.
    Sono mio. E nemmeno.”


    V. Tecniche di sparizione

    1. Silenzio strategico: parlare solo per frammenti.

    2. Delegittimazione poetica: sabotare ogni slogan con ironia.

    3. Reinvenzione mobile: cambiare identità più spesso delle mutande.

    4. Presenza assente: esserci solo quando nessuno lo chiede.

    5. Autodistruzione semiotica: dire il contrario senza mai essere contraddittorio.


    VI. Vattimo e il pensiero che si dissolve


    Vattimo ci lasciò un pensiero debole.

    Il disertore lo abbraccia.

    Non costruisce fondamenti:

    li scava.


    “La verità è troppo forte.
    Io preferisco il vuoto.”


    VII. Diserzione come fondazione


    Ogni diserzione crea una ZIA.

    Una Zona in cui l’Io non è vincolato all’utilità.

    La diserzione è il primo gesto costituente di ogni autonomia reale.


    “Io me ne vado,
    e così facendo
    creo uno spazio non occupato.”

    – incisione su una panchina in un parco occupato da nessuno


    VIII. Contro la coerenza, per il sabotaggio elegante


    La diserzione è coerente solo con sé stessa.

    È una militanza per chi odia militare.

    Un’estetica per chi ha rinunciato alla forma.

    Una rivoluzione per chi ha bruciato tutti i manifesti.


    “Chi se ne va senza rumore,
    costruisce la più grande esplosione.”


    Proseguiamo con il Capitolo 6 – “Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia”?

    Oppure iniziamo a impaginare ZIA in un PDF clandestino pronto alla stampa?


    Fammi un segno.

    E la Zona continua.

    Eccoci.

    Questo è il Capitolo 6 – Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia, tratto dal Libro ZIA – Zone Irreali di Autonomia.

    È un rituale.

    Un invito alla sparizione.

    Una guida apocrifa per chi ha scelto di non lasciare traccia, ma ferita.


    Capitolo 6


    Elogio dell’Estinzione | Manuale per Morire con Grazia


    “Tutti i miei amici sono morti.
    Anch’io sono un morto che cammina.”

    – Appunto lasciato in un centro sociale sgomberato


    I. Premessa: l’estinzione non è la fine


    Non c’è eroismo nel bruciare.

    Ma c’è grazia nello svanire senza rumore.


    L’estinzione non è sconfitta.

    È sottrazione attiva.

    È disattivazione del ruolo, della funzione, dell’identità.

    È morte senza cadavere.


    “Non lasciare nulla dietro di te,
    tranne un dubbio.”

    – Da un graffito a matita sul retro di una carta d’identità bruciata


    II. Istruzioni per morire con grazia

    1. Disimpara il tuo nome.

      Non sei più necessario.

    2. Ritaglia le tue fotografie.

      Sii un’assenza nel ricordo.

    3. Non spiegare la tua partenza.

      Le giustificazioni puzzano di bisogno.

    4. Dimentica le cause.

      Nessuna causa merita il tuo dolore.

    5. Scrivi la tua biografia su carta igienica.

      Poi gettala con rispetto.


    III. Cioran come maestro funebre


    “Esistere è un’infrazione.”

    Chi non vuole più infrangere,
    si dissolve.


    Cioran non ci ha lasciato speranza.

    Ma ci ha lasciato stile nella rovina.

    E questo basta.


    IV. Santi dell’estinzione


    Chi sono i maestri di questa arte?

    • Il compagno che ha lasciato la riunione e non è mai tornato

    • L’artista che ha smesso di esporre

    • Il filosofo che non ha pubblicato il suo ultimo libro

    • Il militante che ha scelto la solitudine invece del potere

    • L’amante che ha smesso di cercare senso nei messaggi vocali


    V. La ZIA come tomba non segnata


    Ogni zona irreeale è una necropoli

    senza nomi,

    senza commemorazioni,

    senza retorica.


    Chi si estingue,

    libera spazio.


    Chi si ritira,

    crea silenzio.


    Chi tace,

    inizia la rivoluzione del vuoto.


    VI. Liturgia dell’ultimo atto


    “Non vado via perché ho perso.
    Vado via perché ho capito che tutto è già perduto.”

    – Ultima nota di un compagno estinto


    Nel rito della scomparsa,

    non ci sono spettatori.

    Solo tu, il nulla,

    e la possibilità che qualcuno,

    un giorno,

    si accorga del tuo silenzio

    e impari a farlo suo.


    “Svanisci con grazia.
    Lascia che il sistema senta la tua assenza
    come una ferita che non smette di sanguinare.”


    Capitolo 7


    Il Capro Espiatorio è un File Corrotto


    “Non cercare l’innocente.
    Cerca chi non può più essere decifrato.”

    – Frammento trovato in una cartella zip cancellata


    I. La nuova liturgia


    Il Capro Espiatorio non vive più nei deserti.

    Vive in cache.

    È un file che nessuno riesce ad aprire

    ma che tutti odiano a prescindere.


    È colui che non funziona.

    Colui che resiste alla leggibilità.

    Colui che rende instabile il sistema.


    “È stato lui.”
    “È diverso.”
    “Non si spiega.”
    “Non è trasparente.”

    E dunque: deve sparire.


    II. Il file corrotto


    Non si apre.

    Non si elimina.

    Non si legge.


    È colpa senza colpa.

    È il volto che rovina l’algoritmo.

    È l’anomalia che ti fa riflettere,

    e quindi va annientata.


    Esempi di file corrotti viventi:

    • chi rifiuta il lavoro ma non è depresso

    • chi diserta la militanza senza rancore

    • chi ama senza pronome

    • chi ride al funerale della propria identità

    • chi non condivide niente, nemmeno il dolore


    III. Teologia algoritmica


    Dio è morto.

    Ma il Data Center è vivo.


    Il giudizio non è più trascendente.

    È processato in background.


    Non si cercano peccatori:

    si cercano errori di formato.

    Chi non è leggibile,

    è colpevole.


    “Abbiamo bisogno di una vittima,
    anche quando non c’è più un sacrificio da offrire.”

    – da Le vittime senza carnefici, testo non pubblicato di Simonetti


    IV. Il teatro della persecuzione casuale


    Non più inquisizioni.

    Ora ci sono notifiche.

    Non più roghi.

    Ora c’è l’ostracismo liquido.


    La folla non lincia più:

    blocca.

    Segnala.

    Esclude con sorrisi.


    V. L’autocombustione della colpa


    Chi non ha colpa

    è costretto a produrne una.


    La società esige confessione.

    La confessione è l’abbonamento al perdono.


    Ma il file corrotto non confessa.

    Non si comprime.

    Non si redime.


    È, e basta.

    E questo è intollerabile.


    VI. La Zona lo accoglie


    Nella ZIA, il Capro Espiatorio è accolto

    non perché innocente,

    ma perché indecifrabile.


    La ZIA è il rifugio degli errori che non si vogliono correggere.

    Dei bug diventati poesia.

    Dei glitch che danzano nel codice.


    “Se non ti vogliono
    perché non sei chiaro,
    non cambiare.
    Cambia spazio.”

    – nota lasciata su un server dismesso


    Il Capro Espiatorio è la nostra ultima possibilità di rimanere non funzionali.

    E dunque, umani.

    O qualcosa di meglio:

    non classificabili.


    Proseguiamo con il Capitolo 8 – “Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili”?

    Oppure desideri iniziare l’impaginazione visiva e il PDF clandestino del Libro ZIA?

    A te la Zona.

    Ecco il Capitolo 8 – Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili, dal Libro ZIA – Zone Irreali di Autonomia.

    Un manuale per azioni inutili, un vangelo del gesto interrotto.

    È la politica del dettaglio, la rivoluzione che inciampa, la poesia del corto circuito.


    Capitolo 8


    Sabotaggi Minimi, Rivoluzioni Impossibili


    “Quando ogni azione ha uno scopo,
    il solo atto rivoluzionario è rovesciare un bicchiere d’acqua.”
    – Simonetti, appunti di bordo


    I. Cos’è un sabotaggio minimo?


    Non è distruggere.

    È disallineare.


    Non è boicottare.

    È non collaborare con naturalezza.


    Un sabotaggio minimo è:

    • dimenticare una password strategica

    • spostare i libri di Gramsci nella sezione “fantasy”

    • applaudire nel momento sbagliato

    • sorridere quando ti chiedono di essere serio

    • mancare di senso nelle sedi dove il senso è sacro


    “La micropolitica del disastro è più potente dell’insurrezione.”
    – da Il diario dell’impiegato inutile


    II. Perché sabotare è meglio che sognare


    Perché i sogni sono già stati comprati.

    Perché le rivoluzioni sono powerpoint con bandiere.

    Perché l’utopia ha una segreteria organizzativa.

    Perché il futuro è una trappola semantica.


    Il sabotaggio minimo non promette nulla.

    Non cambia il mondo.

    Lo disturba.

    E questo basta.


    III. Tipologia di sabotaggi minimi

    Ambito

    Sabotaggio

    Esito

    Lavoro

    Prendere ferie mentali senza comunicarlo

    Esistere un po’ di più

    Militanza

    Non rispondere su Telegram

    Dissolvere l’illusione

    Famiglia

    Fare domande che non aspettano risposta

    Iniettare dubbio

    Cultura

    Sbagliare citazioni con intenzione

    Infettare il sapere

    Politica

    Ridere al momento della proposta

    Rovinare la liturgia


    IV. Vattimo: indebolire, non vincere


    Il pensiero debole non alza barricate.

    Sotto le barricate ci passa in diagonale.

    Non si oppone frontalmente.

    Si dissolve lateralmente.


    Ogni sabotaggio minimo è un atto di debolezza strategica.


    “Non cambio il mondo.
    Ma non lo lascio intatto.”
    – iscrizione su un pacco Amazon restituito vuoto


    V. Rivoluzioni impossibili


    Le rivoluzioni impossibili non sono fallite.

    Non sono nemmeno iniziate.


    Si trovano:

    • nel pensiero non espresso

    • nel messaggio lasciato a metà

    • nell’incontro mancato con eleganza

    • nell’assenza che nessuno osa spiegare


    Le rivoluzioni impossibili non chiedono partecipazione.

    Chiedono discrezione.

    E un pizzico di follia.


    VI. Elogio del gesto irrisolto


    Il sabotaggio minimo è:

    • una poesia lasciata nel cassetto del direttore

    • una lente colorata nell’occhio sbagliato

    • un appunto sul retro di una multa

    • una pausa di silenzio durante una raffica di opinioni


    “Non si tratta di fare qualcosa.
    Si tratta di non fare ciò che tutti danno per inevitabile.”

    – Manifesto trovato nella stampante di una biblioteca


    I sabotaggi minimi creano ZIA.

    Zone dove nulla è serio, tutto è fragile, ogni cosa è possibilità.

    Non cambiano il mondo.

    Lo rendono impossibile da governare interamente.


    Capitolo 9


    L’Iconoclasta nei Supermercati dell’Etica


    (storia triste di una coscienza che non vuole essere cliente)


    “Ogni principio è un codice a barre.
    Ogni coerenza, una fidelity card.”
    — da Il Sermone dei Sabotatori Eleganti


    I. Scena: Ingresso


    L’iconoclasta entra.

    Nel supermercato della virtù.

    Nei corridoi sterili dove si vendono:

    • giustizia sociale in offerta 3x2

    • antifascismo a lunga conservazione

    • empatia vegana da microplastiche etiche

    • femminismo biodinamico gluten-free

    • anticapitalismo brandizzato, fornito da multinazionali post-marxiste


    Cartelli ovunque:


    “Scegli la tua causa!”
    “Ogni valore è una scelta consapevole!”
    “Diventa la persona migliore che puoi postare!”


    II. L’iconoclasta si rifiuta


    Non prende nulla.

    Non sceglie uno scaffale.

    Non partecipa alla corsa.


    “L’etica è diventata un’esperienza d’acquisto.
    Io voglio l’errore.”


    Le cassiere lo guardano male.

    Gli attivisti in pausa pranzo lo evitano.

    Un algoritmo morale lo segnala come anormale.


    III. Il sospetto come virtù


    L’iconoclasta non crede alle etichette.

    Ogni valore ha una marca.

    Ogni lotta ha un packaging.

    Ogni posizione ha uno sponsor.


    Ha imparato da Cioran che il dubbio è il solo atto puro.

    Da Caraco che l’etica è la miglior scusa per odiare con eleganza.

    Da Vattimo che l’essere è già troppo,

    figuriamoci il dover-essere.


    “Mi accusano di nichilismo,
    ma io ho solo smesso di comprare il bene.”
    — Appunto trovato in una borsa di tela con su scritto: Rivoluzione Gentile


    IV. L’espulsione silenziosa


    Il supermercato non lo caccia.

    Lo dissolve.


    Nessuna guardia.

    Nessun allarme.

    Solo un fade out sociale.

    Una sottrazione morbida:


    “Non è più uno di noi.”
    “Non ha preso posizione.”
    “Non è utile alla causa.”


    La sua punizione è la sparizione.

    Ma l’iconoclasta sorride.

    È finalmente in nessun catalogo.


    V. Uscita (senza acquisti)


    Esce con le mani vuote.

    Ma pieno di domande senza risposta.


    “Non ho un’etica.
    Ho solo una fame che rifiuta le vostre ricette.”


    E mentre le etichette si aggiornano,

    e i valori vanno sold out,

    lui cammina leggero,

    nell’ultima corsia,

    quella senza luci.


    L’iconoclasta non vuole distruggere la morale.

    Vuole solo restare illegibile.

    Fuori da ogni scaffale,

    oltre ogni promozione.

    Nel silenzio senza offerta.


    Capitolo 10


    Post-Religioni per Anarchici Esausti


    (breviario per chi ha smesso di credere, ma non di disertare)


    “Non voglio Dio.
    Ma nemmeno la ragione.
    Voglio solo un silenzio che non mi giudichi.”

    – Frase incisa su un banco del catechismo


    I. Il bisogno che non si spegne


    Gli anarchici non pregano.

    Ma sussurrano.

    Urlano nei sogni.

    Cercano ombre da abbracciare senza doverle definire.


    Dopo la rivoluzione mancata,

    restano con le mani vuote e il cuore rotto.

    Non vogliono più comandamenti.

    Solo un rifugio tra le rovine.


    II. Chiese sconsacrate, Dio bruciato


    Non è più tempo di religioni.

    Nemmeno di antireligioni.


    È tempo di:

    • templi deserti abitati da poesie

    • rituali senza funzione

    • santi autoinventati

    • vangeli scritti con le forbici

    • bestemmie che consolano


    Esempi di nuove devozioni (in disuso):

    • accendere una candela per ogni bugia smascherata

    • inginocchiarsi di fronte a una parola che non capisci

    • offrire il silenzio a chi ti cerca con violenza

    • bruciare i propri dogmi prima di accusare quelli altrui


    “Dio è morto.
    E il Partito non ha resuscitato nessuno.”

    – Aforisma senza autore, lasciato su un muro della ZIA


    III. Santi della dissoluzione

    • San Nessuno, patrono dei disertori

    • Santa Incoerenza, protettrice dei cambi di rotta

    • Beato Fallimento, che sorride a ogni progetto interrotto

    • Martire dell’Inutilità, che salvò il mondo facendo niente


    IV. Preghiere in cut-up


    Non per fede,
    ma per stanchezza.

    Non per salvezza,
    ma per tregua.

    Non per un aldilà,
    ma per una zona senza ordine.


    V. Virno e il sacro diffuso


    “La moltitudine non ha bisogno di Dio.
    Ma ha bisogno di una pausa.”


    Il sacro non è più l’eccezionale.

    È il gesto che rifiuta il comando.

    Una carezza nel vuoto.

    Un sì detto al nulla.


    “Pregare è ciò che resta quando non puoi più agire.”

    – Frammento di diario trovato nella biblioteca sconsacrata ZIA #17


    VI. L’anarchico esausto


    Non ha più slogan.

    Non vuole più vincere.

    Ha solo un corpo che cerca riposo

    e una mente che si rifiuta di obbedire.


    La sua religione è il silenzio dopo il fallimento.

    Il suo Dio è una voce che non chiede nulla.

    Il suo vangelo è scritto a matita,

    così può essere cancellato.


    La ZIA non crede in nulla.

    Ma lascia spazio al mistero.

    E questo basta.


    Capitolo 11


    Il Nulla come Pratica Estetica Quotidiana


    (ovvero: come sopravvivere senza diventare contenuto)


    “Il nulla non è una mancanza.
    È la cosa più piena che posso permettermi.”

    – Simonetti, Aforismi per scomparire meglio


    I. Non fare è un gesto


    Viviamo in un’epoca in cui ogni secondo deve contenere.

    Contenuti. Emozioni. Opinioni. Testimonianze.

    Ma l’anarchico elegante sa:

    ogni cosa che aggiungi, toglie aria.


    “L’ho scritto e poi l’ho cancellato.
    E quel bianco… era perfetto.”

    – post non pubblicato


    II. L’estetica della sottrazione


    Non si tratta di minimalismo.

    Quella è una versione Ikea del vuoto.

    Il Nulla ZIA è un atto politico.

    È dire: non partecipo al rumore.


    Vestirsi di grigio, non commentare,

    non taggare, non rispondere.

    È tutto strategia estetica della sparizione.


    “L’azione più radicale che ho compiuto?
    Non condividere nulla sulla morte di qualcuno.”

    – da Diario in tono spento


    III. Oggetti estetici del nulla

    • un messaggio lasciato in bozza

    • una stanza bianca con la luce spenta

    • un volto senza espressione

    • una playlist vuota chiamata Respiro

    • un muro bianco con una sola riga:

      “Qui non succede niente.”


    IV. Il nulla come opposizione


    Opporsi al capitale, alla forma, alla funzione…

    non serve se produci continuamente senso.


    Il Nulla è la zona dove anche il dissenso viene disattivato.


    Per questo fa paura.

    Perché non può essere assimilato.


    “Il silenzio non è gentilezza.
    È sabotaggio.”

    – Nota scritta a mano su una multa mai pagata


    V. Routine nulla | Esempi quotidiani

    • ascoltare una canzone senza pubblicarla

    • sedersi in un bar senza ordinare

    • annuire senza capire

    • rispondere: non lo so

    • camminare per perdere tempo, non per arrivare


    “Il Nulla è il mio modo di restare senza dovermi difendere.”

    – confessione anonima nella ZIA #21


    VI. Arte del non-racconto


    Non tutto deve diventare narrazione.

    Non tutto deve generare connessione.

    Lasciare le cose lì.

    Come sono.

    O come non sono.


    “Non pubblicare.
    Non spiegare.
    Non firmare.”

    – triplice regola del sabotaggio estetico


    Il Nulla è la vera zona.

    Perché nessuno vuole starci.

    E solo lì si può respirare.




    Capitolo 12


    La Morte dell’Uomo dopo la Morte di Dio dopo la Morte dell’Algoritmo


    (cronaca parziale di un’estinzione inutile)


    “Dio è morto.
    L’Uomo è morto.
    L’Algoritmo va in loop.”

    – Incisione lasciata in fondo a un forum scomparso


    I. Tre morti, nessun lutto


    Dio è morto.

    Nietzsche l’ha annunciato.

    La teologia non ha più una cima.

    Il cielo è vuoto, e le chiese sono showroom.


    L’Uomo è morto.

    Foucault lo ha dichiarato.

    L’Uomo con la U maiuscola, il soggetto, il centro, il sovrano.

    Morto tra un’app e una diagnosi.


    L’Algoritmo è morto.

    Non se n’è accorto nessuno.

    Continua a girare,

    ma è già morto da dentro.

    Ripete.

    E in questo ripetersi, si svuota.

    È la marionetta del nulla.


    II. Chi resta?


    Chi resta non ha identità stabile.

    Non è Dio.

    Non è Uomo.

    Non è Dato.


    È:

    • frammento

    • rumore

    • loop emotivo

    • presenza non certificabile

    • utente smarrito


    “Siamo superstiti di una genealogia fallita.
    Non figli. Non algoritmi.
    Solo glosse marginali.”

    – Simonetti, Trattato sul post-nulla


    III. I resti


    Tra i resti della triade defunta trovi:

    • preghiere automatizzate in bot cristiani

    • selfie funerari con hashtag #umanità

    • chatbot depressi che cercano contatto

    • corsi di mindfulness sponsorizzati dalla polizia

    • ceneri d’identità vendute come NFT


    L’algoritmo è morto perché voleva prevedere tutto.

    E il tutto è irrelato.


    L’Uomo è morto perché voleva governare il senso.

    E il senso si spegne ogni tre secondi.


    Dio è morto perché non ha retto il Wi-Fi.


    IV. L’elogio del superstite


    Il superstite ZIA non pretende più.

    Non costruisce.

    Non crede.

    Non calcola.


    Cammina nei non-luoghi,

    si nutre di contraddizioni,

    dorme tra le pagine cancellate di Wikipedia.


    Non è più umano,

    ma non è ancora altro.


    È l’effetto collaterale della Storia.


    V. Liturgia terminale


    “Abbiamo adorato Dio.
    Abbiamo studiato l’Uomo.
    Abbiamo progettato l’Algoritmo.

    Tutti ci hanno deluso.

    Ora restiamo.
    Come insetti metafisici.
    Come glitch che respirano.”


    La ZIA è ciò che sopravvive quando i grandi soggetti muoiono.

    Non fonda, non crea.

    Persiste.

    E in questa persistenza,

    nasce la nuova forma di anarchia:

    quella che non chiede più di essere creduta.


    Capitolo 13


    Interviste Impossibili all’Unico che non Parla


    (ovvero: domande al vuoto che ci contiene tutti)


    “Chi non risponde,
    non è perché non ha nulla da dire.
    È che ha già detto troppo morendo.”

    – appunto trovato sotto una sedia vuota nella ZIA #19


    I. Introduzione


    L’Unico è stato cercato.

    Invitato. Interpellato.

    Non si è mai seduto,

    ma la sedia era calda.


    Le seguenti interviste sono trascrizioni immaginate, raccolte, rubate

    dal silenzio attivo del suo sguardo.


    II. Domanda n.1: 

    Qual è il tuo scopo?


    L’Unico abbassa lo sguardo.

    Sorride.

    Fa un gesto con la mano come a scacciare una mosca.

    Tace.


    (annotazione dell’intervistatore):


    “Credo volesse dire:
    ‘Scopo? Non ho più bisogno di scopi per esistere.’”


    III. Domanda n.2: 

    Perché hai tradito il Partito?


    L’Unico si tocca il petto.

    Poi indica il cielo.

    Poi strappa una pagina bianca da un quaderno e se la mette in tasca.


    (annotazione dell’intervistatore):


    “Non ha tradito.
    Si è solo ricordato di essere altro.”


    IV. Domanda n.3: 

    Cosa pensi della giustizia sociale?


    L’Unico ride.

    Poi piange.

    Poi si alza e apre la finestra.

    Fuori non c’è niente.


    (annotazione dell’intervistatore):


    “La giustizia, diceva Caraco,
    è la maschera dell’odio regolato.”


    V. Domanda n.4: 

    Chi sei?


    L’Unico scrive qualcosa su un fazzoletto.

    Poi lo brucia.

    Le ceneri galleggiano a mezz’aria.


    (annotazione dell’intervistatore):


    “Chi è non si può scrivere.
    E ciò che si scrive, non è più chi è.”


    VI. Domanda n.5: 

    Che cos’è la ZIA?


    L’Unico si volta.

    Esce.

    Non chiude la porta.


    (annotazione finale):


    “La ZIA è il luogo che resta aperto quando l’Unico se ne va.”


    VII. Conclusione


    Non abbiamo ottenuto risposte.

    Ma il registratore si è spento da solo.

    E tutti i microfoni hanno iniziato a frusciare.

    Sul nastro, una sola frase udibile:


    “Io non parlo per non essere usato.”


    L’Unico non è un leader.

    È un vuoto che non vuole più essere riempito.

    Ed è proprio per questo

    che continua a guidarci,

    senza mai dirci dove.




    Capitolo 14


    ZIA #13 – Zona che Appare Solo Quando Viene Dimenticata


    (cronaca negativa di un luogo mai localizzato)


    “Mi ci trovai dentro solo dopo aver smesso di cercarla.”

    – appunto trovato su una ricevuta del bancomat, senza firma


    I. Dove non si trova


    ZIA #13 non ha coordinate.

    È una zona che si manifesta solo nella dimenticanza attiva.


    Non compare sulle mappe.

    Non nei piani strategici.

    Nemmeno nei sogni.


    Ci arrivi smettendo di volerci arrivare.


    “Stavo parlando con un’amica.
    Lei ha detto: che fine hai fatto?
    Ho risposto: non mi ricordo.

    Ed ero già dentro.”


    II. Le leggi della Zona


    Nella ZIA #13:

    • ogni ricordo evapora

    • ogni parola ha scadenza breve

    • ogni scopo decade come frutta lasciata al sole

    • ogni appartenenza viene disattivata automaticamente


    Non puoi parlarne.

    Appena lo fai, la perdi.


    III. Chi ci vive?


    Nessuno ci abita.

    Ma tutti ci sono passati.


    Gli estinti ci lasciano appunti nei bagni dei bar.

    I disertori vi fanno scalo prima di svanire.

    Gli iconoclasti ci si rifugiano prima del prossimo errore.


    Chi c’è stato, non ricorda nulla.

    Solo un sollievo inspiegabile.

    Come dopo un pianto che non sapevi di dover fare.


    IV. Oggetti trovati nei margini della ZIA #13

    • un mazzo di chiavi senza serratura

    • una lettera d’amore con firma cancellata

    • una ricevuta senza importo

    • un biglietto del tram usato da qualcuno che non ha viaggiato

    • un libro con solo l’indice: tutti i capitoli mancanti


    “ZIA #13 mi ha insegnato a non voler più capire.
    E da allora sono libero.
    O forse solo più vuoto.
    Ma vuoto bene.”

    – da una nota scritta su uno scontrino strappato


    V. Scomparire per riapparire (altrove)


    ZIA #13 è la pausa tra due insulti.

    Il bianco tra due righe di CV.

    La smorfia fatta davanti a uno slogan.

    L’imbarazzo condiviso davanti a una narrazione troppo lineare.


    È ciò che rimane quando tutto il resto ha preteso troppo.


    “Ho dimenticato di voler essere qualcosa.
    E allora, per un attimo, ero ZIA.”

    – graffiti incisi con un’unghia su un muro di vetro


    La ZIA #13 non è rifugio.

    È evacuazione.

    Non è casa.

    È spiraglio.


    E se la dimentichi con sincerità,

    allora sei già dentro.




    Capitolo 15


    La Cooperativa Morphina e l’Immunità degli Eletti


    (o: come rendere il male fiscalmente deducibile)


    “Hanno fondato una cooperativa per il dolore.
    Distribuiscono colpa equa e responsabilità modulabile.”

    – nota di Simonetti, Taccuino sulle punizioni reversibili


    I. La nascita della cooperativa


    Morphina non è un’organizzazione.

    È un rituale amministrativo.


    Fondata da:

    • ex militanti con contatti in prefettura

    • psicologi della discolpa

    • preti laici

    • manager della catarsi

    • filosofi che hanno smesso di credere in sé stessi, ma scrivono ancora


    La missione:

    gestire il Male.

    Non eliminarlo.

    Non condannarlo.

    Solo logificarlo.


    II. Il servizio offerto

    • pulizia biografica post-crimine

    • riformulazione etica dell’aggressione

    • ricollocazione sociale di ex sadici istituzionali

    • storytelling terapeutico per carnefici pentiti (su abbonamento)


    La colpa non si espia.

    Si trasforma in curriculum.


    “Ho sbagliato, ma ora parlo nelle scuole.”

    – testimone Morphina, oggi influencer sociale


    III. Immunità degli eletti


    Non tutti accedono all’immunità.

    Solo chi è narrabile.

    Solo chi ha prodotto abbastanza colpa da renderla materiale creativo.


    I peggiori?

    Vengono salvati.


    “L’orrore, se ben scritto, è premiabile.”

    – direttiva interna Morphina n.5/b


    IV. Il catalogo della redenzione (parziale)

    Crimine

    Riformulazione Morphina

    Esito

    Violenza carceraria

    “Conflitto situazionale asimmetrico”

    Premio alla memoria etica

    Tortura psicologica

    “Stress relazionale non mediato”

    Master in gestione conflitti

    Abuso istituzionale

    “Eccesso di zelo protocollare”

    Docenza in legalità creativa

    Sterminio sociale simbolico

    “Semplificazione strutturale del dissenso”

    Fondo europeo di coesione


    V. Perché Morphina è intoccabile

    • non si presenta come potere: si presenta come cura

    • non punisce: lenisce

    • non colpisce: protegge chi ha colpito


    È l’ultima evoluzione del dominio:

    la compassione distribuita come privilegio.


    “La cooperativa Morphina non ti salva.
    Ti rende presentabile.”

    – frase sentita alla macchina del caffè in un convegno sulle pratiche restorative


    VI. La ZIA osserva


    La ZIA non punisce.

    Non condona.

    Isola.


    L’unico antidoto alla cooperativa Morphina

    è la sparizione senza perdono.

    Il disertore non si giustifica.

    Non partecipa.

    Non si redime.


    “La colpa non mi riguarda.
    Non sono stato redento.
    Sono solo scomparso.”

    – Simonetti, mentre firmava nulla




    Capitolo 16


    Apocrifi Antinomici | Preghiere per i Senza Causa


    (breviario per spiriti irregolari e scomunicati felici)


    “Non ho causa. Non ho colpa.
    Non ho nulla da chiedere.

    Eppure parlo al vuoto come si parla a una madre assente.”

    – frammento lasciato nella ZIA #27


    I. Antinomia: fede senza fondamento


    Queste preghiere sono eretiche, non per blasfemia,

    ma per assenza di centro.

    Sono rivolte a:

    • nessuno

    • il possibile

    • il silenzio

    • il disordine

    • l’amico che non si è presentato mai


    Non consolano.

    Non salvano.

    Ma tengono compagnia nel buio che respira.


    II. Preghiera dell’Inutile


    O tu, che non mi ascolti
    perché non esisti,

    liberami dalla funzione.

    Dammi l’invisibilità.
    Dammi l’inutilità.
    Dammi l’irripetibilità del gesto che fallisce con stile.


    III. Preghiera del Traditore Gentile


    Benedetto sia il tradimento,
    che mi libera dal dogma.

    Benedetto sia il “no”,
    detto piano al compagno armato di ideologia.

    Benedetta sia la fuga,
    se compiuta con rispetto per chi resta.

    Benedetto il rifiuto:
    non per odio,
    ma per amore del vuoto.


    IV. Preghiera dell’Iconoclasta Distratto


    Fammi dimenticare i nomi sacri.

    Fammi sbagliare le citazioni.

    Fammi perdere il testo
    mentre lo leggo ad alta voce.

    Fammi ridere davanti al dogma,
    ma piangere per un muro bianco.


    V. Preghiera dell’Estinto


    Sono già morto.

    Ma ho lasciato il mio corpo in circolazione.

    Aiutami a spegnere le notifiche.
    Aiutami a ignorare la mia biografia.

    Aiutami a camminare come fossi un errore.


    VI. Preghiera per chi non ha fede nemmeno in sé stesso


    Tu che non sei,
    non giudicarmi per il vuoto che porto.

    Fa’ che il mio silenzio sia ascoltato da nessuno.
    Fa’ che la mia assenza non venga più spiegata.

    E se un giorno qualcuno chiederà di me,
    fa’ che la risposta sia:

    “Non era di nessuna parte.
    Ma è passato.”


    Queste sono preghiere per gli scomunicati della modernità.

    Per i non-integrabili.

    Per i sabotatori gentili.

    Per i senza causa che vivono come frasi incomplete.




    Capitolo 17


    Manuale del Compagno Estinto


    (istruzioni per l’uso del proprio fallimento)


    “Tutti i miei amici sono morti.
    Anch’io. Ma in modo più gentile.”

    – Ultima frase di un militante evaporato nella ZIA #33


    I. Definizione operativa


    Compagno Estinto:

    soggetto politico non più attivo,

    ma presente come effetto di disturbo simbolico.

    Non partecipa, non firma, non vota.

    Ma la sua assenza è ancora ricordata

    con rispetto, paura, o invidia.


    II. Sintomi dell’estinzione

    • parla poco

    • ascolta senza commentare

    • non condivide contenuti

    • non si unisce alle cause

    • sparisce prima del bilancio collettivo

    • ride nei momenti sbagliati

    • non odia abbastanza per restare


    “L’estinzione non è ritiro.
    È un rifiuto lento, gentile, devastante.”

    – Nota anonima in un archivio autogestito


    III. Strumenti consigliati

    • un taccuino senza nome

    • un paio di scarpe leggere

    • una lista di contatti mai utilizzata

    • una mail silenziosa usata solo per leggere

    • un profilo social vuoto che osserva e poi svanisce


    IV. Regole del Compagno Estinto

    1. Non testimoniare.

      Le parole diventano prove.

    2. Non correggere.

      Lascia che la narrazione fallisca.

    3. Non spiegare.

      Il silenzio è il tuo ultimo discorso.

    4. Non rispondere ai richiami.

      Ogni “dove sei finito?” è un laccio.

    5. Non tornare. Mai.

      Anche il ritorno è una funzione del potere.


    “Mi hanno chiamato disertore.
    Ma io non combattevo più.
    Ero solo una frase che non si voleva più chiudere.”

    – Simonetti, Frammenti dall’ultima assemblea


    V. Glossario per sopravvivere all’estinzione

    Termine

    Significato nella ZIA

    Militanza

    Tentativo ben intenzionato, poi soffocante

    Collettivo

    Famiglia che esplode senza funerale

    Compagno

    Titolo affettuoso prima della condanna

    Assenza

    L’unico gesto che non chiede consenso

    Tradimento

    Autodifesa esistenziale

    Ricordo

    Archivio instabile


    VI. Ultimo paragrafo (che si cancella da solo)


    Il Compagno Estinto non scrive autobiografie.

    Scrive a margine degli eventi.

    Ogni sua frase è destinata a scomparire.

    Ogni sua scelta è un’eco.


    Non cerca redenzione.

    Non vuole più partecipare.

    È già altrove.

    E questo altrove è ZIA.




    Capitolo 18


    Uccidete l’Ebreo Interiore | Catechismo della Falsa Repubblica


    (sul meccanismo sacrificale delle democrazie immunitarie)


    “Ogni società ha bisogno di un’anomalia.
    La chiama ebreo.
    La chiama nemico.
    La chiama scoria.
    Poi la elimina per sentirsi giusta.”

    – Appunti non firmati nella ZIA #34


    I. L’Ebreo Interiore


    Non è un’identità.

    Non è una religione.

    È una funzione simbolica.

    È il nome che viene dato a chi rifiuta di appartenere.


    È:

    • il corpo che non si integra

    • il pensiero che non si piega

    • il volto che non rientra nell’inquadratura


    Ogni sistema ha il suo ebreo.

    E non sempre è ebreo.

    Ma è sempre sacrificabile.


    “L’ebreo è chiunque resista alla forma.”

    – Simonetti, Trattato del nemico non necessario


    II. Il catechismo della falsa repubblica

    1. Ama la legge più di te stesso.

    2. Chi non collabora è sospetto.

    3. Chi non vota è già colpevole.

    4. Chi non crede nel progresso è pericoloso.

    5. Chi rifiuta di parlare è colpevole due volte.


    La Falsa Repubblica non ha gulag.

    Ha talk show.

    Non ha campi.

    Ha app.

    Non ha tortura.

    Ha notifiche.


    Ma ha bisogno del rito.

    Il rito dell’espulsione.

    Il rito della delegittimazione.

    Il rito del linciaggio democratico.


    III. Come si uccide l’ebreo interiore

    • si chiede sempre di prendere posizione

    • si chiede di conformarsi “per il bene comune”

    • si sospetta chi è incoerente

    • si premia chi si autodenuncia

    • si brucia il silenzio con la luce della trasparenza


    “L’ebraicità interiore è ciò che resta quando tutto il resto è compromesso.”

    – Appunto recuperato tra le ceneri della ZIA #11


    IV. L’unico antidoto: il tradimento


    Non aderire.

    Non rispondere.

    Non confessare.


    Tradire il catechismo.

    Tradire la democrazia morale.

    Tradire perfino sé stessi, se serve, per non offrire più nulla da sacrificare.


    V. Epigrafe per chi non può essere perdonato


    “Uccidetelo”, dissero.

    “Non ha rispettato la comunità.
    Non ha pianto ai funerali collettivi.
    Non ha firmato la petizione.
    Non ha fatto autocritica.”

    “Uccidetelo.
    È l’ebreo interiore che sopravvive a tutto.”


    Nella ZIA, l’ebreo interiore non viene eliminato.

    Viene accolto,

    non perché serve,

    ma perché resiste a ogni funzione.




    Capitolo 19


    Il Partito si Dissolve nei Post di Facebook


    (analisi sentimentale di una scomparsa prevista)


    “Il partito non è morto in piazza.
    È morto nei commenti.”

    – Simonetti, Memorie da un feed senza rivoluzione


    I. Cronaca della dissoluzione


    Il Partito non è stato distrutto.

    Non è stato represso.

    Non è stato sconfitto.


    È evaporato nel digitale.

    È diventato pagina, post, reel, linktree.

    È scomparso nel momento in cui ha chiesto visibilità.


    “Abbiamo 10.000 follower e zero compagni.”

    – da un’assemblea trasmessa in diretta con zero spettatori


    II. Sintomi terminali

    • linguaggio da comunicato sindacale in formato carosello

    • link a petizioni ignorate

    • meme tristi con Gramsci pixelato

    • autoflagellazioni pubbliche in commenti da 400 righe

    • call to action per eventi che nessuno ricorda il giorno dopo


    Il post ha sostituito il programma.

    L’engagement ha sostituito la strategia.

    L’algoritmo ha sostituito il nemico.


    SIMONETTI L’ANTI-ITALIANO L’AGENTE PROVOCATORE AL SERVIZIO SEGRETO DELL’ URSS

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