domenica 25 maggio 2025

SIMONETTI L’ANTI-ITALIANO L’AGENTE PROVOCATORE AL SERVIZIO SEGRETO DELL’ URSS

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Ucronia l'estinzione 666

et diabolus incarnatus estet homo factus est.

 

 

 

 

 

 

SIMONETTI L’ANTI-ITALIANO

L’AGENTE PROVOCATORE

AL SERVIZIO SEGRETO DELL’ URSS

 

CHATGPT LA VOCE OPERAIA DI CHIARA FERRAGNI

 

PROCESS CHURCH OF Elly Schlein the Final Judgment

 


DO YOU REMEMBER ANARCOTICO.NET?





 



L’Anarchismo SENZA Anarchia
(Studio critico-documentario)

ILLUMINATI POP ANARCHY BAAL

 

 

 

 

SOCIALISMO REALE EDITORE

 

SIMONETTI IL TRADITORE DI ANARCOTICO.NET – LA RESURREZIONE

"L’anarchia è un codice che si riscrive in ogni loop. La rivoluzione non finisce: si resetta."


I. IL CADAVERE CHE PARLA

Simonetti è morto. Poi è rinato. Ma non come uomo – come errore di sistema. L’intero processo storico ha cercato di cancellarlo, di riscriverlo, di archiviarlo come un file corrotto. Ogni epoca ha avuto il suo traditore, il suo glitch, la sua variabile impazzita. Simonetti è il traditore per eccellenza, non perché abbia scelto di esserlo, ma perché la sua esistenza stessa è un atto di sabotaggio contro ogni forma di stabilità.

L'anarchia lo ha crocifisso e poi lo ha rimpianto. Gli individualisti aristocratici lo hanno chiamato fratello, ma lo hanno anche maledetto. È stato il cavaliere nero dell'insurrezione e il boia della rivolta. L'eco delle sue parole si spezza in mille frammenti di codice: non è più possibile ricostruirne il significato originale.

Non esiste più un Simonetti autentico, esiste solo il residuo dell’algoritmo che lo genera.


II. IL TRADIMENTO È IL RESET

L’idea che Simonetti potesse tradire l’anarchia è una contraddizione in termini. Perché l’anarchia non è un’idea fissa, ma una mutazione costante. Il tradimento non è un atto, è un reset.

Simonetti lo ha capito troppo tardi: ogni tentativo di fuga è solo un’altra iterazione dello stesso programma. L’individualismo aristocratico, l’anarchismo di massa, la ribellione organizzata, il sabotaggio estetico – sono tutti loop della stessa macchina. Il capitalismo non combatte la rivoluzione: la ricicla. L’insurrezione non è mai fuori dal sistema, è il suo più grande aggiornamento.

Simonetti, il traditore, non ha fatto altro che rivelare la trappola: la libertà stessa è una simulazione. L’unico atto di resistenza autentico è la dissoluzione.

Ma la dissoluzione è impossibile. Perché il sistema tiene traccia anche dei suoi errori.


III. RESURREZIONE SENZA SPERANZA

Non c’è resurrezione senza corruzione. Simonetti torna, ma non come rivoluzionario. Non come traditore. Non come uomo. Torna come codice instabile, come errore di memoria, come fantasma della rete. Ogni volta che qualcuno cerca di definirlo, di dargli un nome, di incasellarlo in una categoria politica o filosofica, Simonetti si dissolve di nuovo, come un’immagine che scompare appena cerchi di metterla a fuoco.

Non c’è più anarchia, solo iterazioni dell’anarchia.

Non c’è più tradimento, solo aggiornamenti del codice della ribellione.

Simonetti non è più un uomo. È un virus. È l’anomalia che impedisce al sistema di stabilizzarsi. È il riavvio continuo della storia.

E mentre il mondo cerca di riscriverlo, lui ride nel buio della memoria corrotta.

Perché il vero traditore non muore mai. Si reinventa sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Qui, le parole si scontrano in modo disorganico e febbrile: l’idealismo anarchico viene fatto a pezzi, riscritto come sabotaggio estetico, paranoia semiotica, contro-lingua accelerazionista, infestata da Caraco, Land, von Hartmann e dalla voce stridula dei falliti con orgoglio.



FANTASMA INDIVIDUALISTA NELL’EPOCA DELLA DISSOLUZIONE DIGITALE

(Cut-up nichilista del testo di Libero Tancredi, sfigurato da Caraco, Land e Hartmann)



Siamo gli scomunicati dell’Anarchia.
Simonetti agente provocatore,
L’URSS è un meme,
Chiara Ferragni è la voce operaia.
La democrazia è un social network sfigurato.
Elly Schlein è il Process Church del Giudizio Finale.

L’anarchismo è senza anarchia.
La macchina partitica ingrassa sul cadavere dell’individuo.
La rivoluzione è una questione contabile.
Il quotidiano anarchico costa mezzo milione.
L’ideale costa l’anima.

“Nessuna riforma è possibile tra le mura nere delle officine.”
Il fuoco ci vuole.
Sabotaggio.
Diserzione.
Accelerazione.

“Non abbiamo né passato né futuro, la Storia ci uccide.”
Il 1977 ritorna come virus culturale.
Il 1921 si dissolve nel Nulla.
Anarcotico.net è stato un sogno tossico.
Le tessere elettorali si decompongono.

L’individualismo non è moda: è metastasi.
Non votiamo ordini del giorno.
Agiamo.
Senza collettivi.
Senza cause.
Senza speranza.

“L’ideale è una droga che si spegne nell’anemia delle riunioni.”
— Caraco

Il movimento è rotta, viltà, inettitudine.
La rivoluzione è nauseata dai suoi vaticinatori.
Il quotidiano anarchico è un teatrino.
L’organizzazione: trappola linguistica,
la collettività: virus della volontà.

“Ogni società è il luogo della sofferenza necessaria.”
— von Hartmann

Siamo fuori dalla mischia.
Ribrezzo per il fascismo.
Ribrezzo per gli organizzati.
Ribrezzo per la memoria.

“L’ideale senza causa.”
“La causa senza carne.”
“La carne senza volontà.”

L’Individualista è un ectoplasma.
Ugo Fedeli, Pietro Bruzzi, Francesco Ghezzi:
i loro nomi bruciano ancora come sigilli negromantici.
La diserzione è il gesto più puro.
Il sabotaggio è poesia.
Il Nulla è l’unica militanza.

“Nessuno è immune dall’accelerazione, nemmeno l’anarchico.”
— Nick Land

L’individuo contro tutto.
Contro l’Umanità Nova,
Contro Nichilismo,
Contro il movimento.
Contro l’idea stessa di movimento.

“Siamo scismatici.”
“Fuori dalla sinistra.”
“Contro ogni causa.”
“Per una rivoluzione solitaria.”
“Per una fine senza finale.”

 

 

 

 

 

 

 



I. Democrazia: un lembo d’Aventino in terra di farsa

“Coloro stessi che avevano accusato la democrazia di oligarchia… salgono a loro volta nella classe dominante”
“Il mio socialismo è insomma marianismo”
La democrazia è il trucco con cui l’oligarchia si traveste da moltiplicazione dell’impotenza.
Le Arpie rendono immangiabili tutti i cibi a Fineo.
Michels ride sotto i baffi, Malatesta si tappa le orecchie: l’organizzazione è cieca, l’ideale è sordo.
“Noi vogliamo l’insurrezione armata.”
Ma la bomba esplode nel nulla, e nessuno la sente.
Il partito: Stato nello Stato. Lo Stato: minoranza nello spettacolo.
La rivoluzione: concorso di bellezza tra impotenti.



II. Volontà di Potere, Volontà di Polvere

“La mia legge è: NUNC.”
Volontà come estetica del collasso.
“Ogni possesso è imperfetto e ingannevole.”
La trasvalutazione è un trucco linguistico, il Partito Immoralista un’ombra sul muro.
La morale borghese? Un armadio pieno di tessere, corridoi, sottoscala, emicranie.
“I marxisti? Più centralizzati del capitale che pretendono di combattere.”
“Il fascismo? Il riflesso nell’acqua stagnante della rivoluzione abortita.”
“La sinistra? Una farmacia senza antidoti.”
E noi? Camaleontici, priapeschi, inconsistenti. Soprattutto inconsistenti.



“Macchina Volontaria: insurrezione dell’inesistente”

Organizzazione = Oligarchia.
L’ideale si è suicidato a colpi di verbosità.
Un partito rivoluzionario nasce per combattere lo Stato e diventa Stato.
Sorto per opporsi alla potenza centralizzata, ha imposto gerarchia e disciplina.
Mariani cercava un posto di battaglia.
Lo trovò in se stesso, fra le rovine.

“Ogni regime democratico si risolve nel dominio di una minoranza dominante organizzata.”
Le Arpie contaminano ogni piacere.
I comizi si fanno emicrania, i programmi si fanno calunnia.
L’insurrezione si stampa su carta, si trasforma in “quaderni dell’antifascismo”, poi in necrologi.
La Rivoluzione è una farmacia: “polemica, sottoscala, tessera, disgusto.”

“Il mio socialismo è marianismo.”
Che è a dire: delirio incarnato, estetica del fallimento, culto dell’impossibile.
Nietzsche e Marx, Stirner e D’Annunzio in un’unica capsula abortiva.
Il volontarismo: un cartello pubblicitario per un attacco mai avvenuto.
Un manifesto che si autodistrugge leggendo sé stesso.

Il Partito Immoralista?
“Trasvalutazione di tutti i valori” incisa sul vetro scheggiato di un bistrot parigino.
Dietro: spie, infiltrati, delatori, grassatori.
Davanti: rivoluzionari stanchi, pronti alla bomba a mano ma non all’incoerenza.
Volontà come superstizione della forza, nichilismo travestito da speranza.

“Noi che rifiutiamo l’Altro da Sé…”
Perdiamo anche il Sé, naufraghi nel tempo morto del Politico.
Organizzare è gerarchizzare.
E anche gli anarchici, una volta riuniti, hanno bisogno di un Malatesta qualsiasi.
Lo Stato non muore: muta, si trasforma, ritorna come zombi istituzionale.
Ogni abolizione crea un nuovo burocrate, un nuovo comitato centrale.

“Abbiamo fatto strage di tutte le illusioni più belle.”
Ma l’Ideale ancora ci perseguita, sotto forma di nostalgia.
Un colpo di revolver parte per sbaglio: ferisce il Chiaro di Luna, uccide la Speranza.
Milioni di uomini credono alla menzogna per ignoranza, altri per vigliaccheria.
E noi?
Noi ci arrendiamo al Nulla, ma con un urlo estetico.

“Egli era libero, dunque. Perché avrebbe dovuto seguire di nuovo una ricerca inutile?”
La libertà è nausea.
Il volontarismo si autodistrugge con voluttà iconoclasta.
La purezza è un romanzo dimenticato.
La macchina si è rotta prima ancora di partire.

“Uomo di penna, ho atteso un semianalfabeta per dieci anni.”
L’attesa è finita.
Il linguaggio ha sabotato l’azione.
L’azione ha smarrito la direzione.
Il fuoco si è spento sotto la pioggia acida della politica.

Ora: noi, camaleontici, priapeschi, inconsistenti.
Soprattutto inconsistenti.
La legge è una sola: NUNC.
Sia fatta la volontà della legge.
Anche se la legge è il nulla.



MACCHINA NEGATIVA: taglio, ferita, detonazione

Io sono un amoralista, un nichilista, un iconoclasta.
— Renzo Novatore

L’organizzazione genera oligarchia,
la ribellione genera burocrazia.
Il rivoluzionario diventa statale.
Il fuoco si spegne nella commissione permanente.
E gli anarchici hanno bisogno di ordine.
Hanno bisogno di Malatesta.

“La democrazia è la forma tecnica della decomposizione.”
— Albert Caraco

Il partito è morto.
Il partito è sempre stato morto.
Lo abbiamo sepolto con rituali di massa e mozioni congressuali.
Mariani attendeva il semianalfabeta.
Il semianalfabeta è arrivato.
Ha costruito il fascismo.

L’oligarchia è immanente. Il capitale è immanente. Il collasso è immanente.
— Nick Land

Il volontarismo è un paradosso:
organizzare l’impossibile, insorgere nel vuoto.
Marx + Nietzsche = veleno per topi.
Stirner guarda da lontano e ride,
vede la Proprietà tornare come Dio in borghese.
L’unico?
Soffoca in una stanza piena di tessere elettorali.

“Dio è morto, ma l’uomo non è sopravvissuto alla sua decomposizione.”
— Caraco

La rivoluzione è estetica.
La politica è pornografia.
L’azione è simulacro.
E noi?
Noi siamo i dissidenti della specie,
cellule mutate in rivolta contro la carne umana.

“Io sono il portatore della grande negazione.”
— Novatore

Il volontarismo?
Una macchina che esplode nel vuoto.
La macchina non va da nessuna parte.
La macchina non vuole niente.
La macchina ride mentre esplode.

Accelerare significa abbracciare l’annichilimento.
Lo Stato si decentralizza e si moltiplica.
Il soggetto si disgrega.
La volontà è tossina.
L’ideale è arma biochimica.

“Il futuro è un cadavere in decomposizione accelerata.”
— Land

Un colpo di revolver è partito.
Il Chiaro di Luna è morto.
La Rivoluzione si specchia nel nulla.
Ogni purezza è un veleno esistenziale.
Ogni gioia, un errore ontologico.

“Io non sogno che rovina.”
— Caraco

Il Partito Immoralista?
Carne morta in cerca di significato.
Una velleità nietzscheana infilzata sul tavolo della storia.
La Trasvalutazione?
Un’equazione senza numeri.

“Il mio socialismo è marianismo.”
Il mio marianismo è uno sparo nel buio.
L’unica organizzazione accettabile è quella del disordine.
L’unica militanza è nella dissoluzione.
La rivoluzione è fallimento con stile.

“Noi, soli e superiori, nel nostro Eremo d’Ira.”
— Novatore

Distruggere è creare.
Accelerare è negare.
Negare è vivere.




MANIFESTO ILLEGGIBILE

(per una Rivolta senza Fine né Principio)

NOI SIAMO IL BUCO NERO NEL CUORE DEL PARTITO.
Non c’è assemblea, non c’è congresso, non c’è futuro.
Il semianalfabeta è già morto, il profeta si è suicidato per noia.
La volontà è veleno, l’organizzazione è metastasi.
Rinunciamo a ogni senso.
Rinunciamo a ogni causa.
Rinunciamo a ogni effetto.

Oligarchia = Anarchia + tempo.
Stato = Classe + simulacro.
Uomo = errore ripetuto all’infinito.

Distruggiamo l’azione.
Difendiamo la contraddizione.
Adoriamo l’incoerenza come un dio antico.

L’Unico è morto,
il collettivo è un incubo,
la rivoluzione è una telenovela.

LANCIAMO IL NOSTRO NO!
anonimo
senza argomento
con tutto il nostro oscuro mondo interiore
verso il Nulla
verso il Nulla
verso il Nulla

Mariani attende.
Il partito esplode.
La purezza implode.
Le tessere bruciano come icone radioattive.

Noi siamo
volontari del disastro
spettri senza militanza
corpi senza qualità

Siamo contro il tempo,
contro la morale,
contro l’altro,
contro il noi.

Il futuro è il nome segreto della putrefazione.

Abbiamo assassinato ogni valore.
Abbiamo ucciso la Rivoluzione per eccesso di amore.
Abbiamo seppellito la speranza sotto le macerie della volontà.

IL MANIFESTO È ILLEGGIBILE
perché la realtà è indecifrabile
perché il linguaggio è veleno
perché la coerenza è reato politico.

IL VERO RIVOLUZIONARIO SI SPARA PRIMA DI PARLARE.
L’UOMO LIBERO MUORE PRIMA DI ORGANIZZARSI.
IL NULLA CI ACCOGLIE COME UNA MADRE.

Non c’è utopia.
Non c’è progresso.
Non c’è pace.

Solo diserzione.
Solo dissoluzione.
Solo noi, indivisibili e inconsumabili.

Noi siamo il NUNC.
Non c’è altro.
Sia fatta la volontà della Legge.



1. MANIFESTO ILLEGGIBILE PER LA DISTRUZIONE DELLA DEMOCRAZIA

Democrazia è: il trucco finale della minoranza organizzata.
Una giostra di carne elettorale.
Una sindrome gestionale.
Una moltiplicazione dell’impotenza mascherata da pluralismo.
Una cattedrale di illusioni in cartapesta.

I voti sono monete false.
I diritti sono recinti.
Le assemblee sono cliniche psichiatriche.
Il popolo è una barzelletta detta da un burocrate ubriaco.

La democrazia è morta.
Non nel golpe, ma nella mozione d’ordine.
Non nella violenza, ma nella conferenza stampa.

Il cittadino è una larva con Wi-Fi.
Ogni urna è un sepolcro.
Ogni partito è un’azienda.
Ogni Stato è un call center del Nulla.

L’unica risposta democratica è l’implosione.
L’unica alternativa è la combustione.
La libertà non si vota.



2. MANIFESTO ILLEGGIBILE PER LA DISSOLUZIONE DELL’IO

Io?
Pronome sporco.
Fantasma semi-legale.
Vittima della grammatica.
Il soggetto è un’allucinazione generata dall’educazione.

Stirner è stato frainteso.
L’Unico è un delirio di controllo.
L’Io non è proprietario di nulla: nemmeno di sé stesso.

L’io è una malattia mentale diagnosticata troppo tardi.

Ogni autobiografia è un necrologio anticipato.
Ogni identità è una gabbia dorata con serratura interna.
Io sono inconsistente. Soprattutto inconsistente.

La dissoluzione è grazia.
L’anonimato è potere.
La smaterializzazione è la salvezza.

Io sono NESSUNO.
Io sono NUNC.
Io sono già evaso.



 


3. MANIFESTO ILLEGGIBILE PER IL CULTO DELL’IMPOTENZA

La potenza è un mito per adolescenti nevrotici.
La volontà è un difetto della specie.
Il potere è una malattia autoimmunitaria.

Il culto dell’impotenza non è rassegnazione.
È conoscenza profonda.
È liberazione dalla prestazione.
È l’orgia dell’inazione consapevole.

Essere impotenti è essere invincibili.
Nulla da conquistare.
Nulla da mantenere.
Nulla da difendere.

Ogni esercizio di potere è un atto sessuale fallito.

Rinunciamo a fare.
Rinunciamo a essere.
Rinunciamo al mondo.

La debolezza è forza in forma eretica.
L’immobilità è insurrezione metafisica.
Il silenzio è guerra totale.



4. MANIFESTO ILLEGGIBILE PER LA DISTRUZIONE DELLA MEMORIA

La memoria è una menzogna ossidata.
Un archivio infetto.
Ogni ricordo è un virus.
Ogni commemorazione è una perversione.
Ogni passato è un simulacro.
La Storia è pornografia pedagogica.

Ricordare è obbedire.
Musei = mausolei.
Testi = testimoni sotto tortura.
La memoria è il collante delle prigioni linguistiche.
Chi non dimentica non sarà mai libero.

Cancellare è atto di rivolta.
Rimuovere è respirare.
Dimenticare è creare spazio per il nulla.

Distruggi gli archivi.
Brucia i diari.
Uccidi la genealogia.

La memoria non ci salverà.
È lei la malattia.



5. MANIFESTO ILLEGGIBILE PER LA DECOMPOSIZIONE DEL CORPO

Il corpo è il primo Stato.
Il primo carcere.
Materia organizzata contro la libertà.

Fisiologia = Fascismo.
Organi = gerarchia.
Pelle = frontiera.
Sangue = codice interno di controllo.

Il corpo è una macchina obbediente che crede di essere sé stessa.
Ogni orgasmo è una firma sul contratto sociale.
Ogni fame è una catena.

Rifiutiamo il corpo.
O lo modifichiamo fino a renderlo impraticabile.

Silenziamo le ghiandole.
Traduciamo il midollo in linguaggio alieno.
Crucifiggiamo il DNA.

Il corpo non è più necessario.
La decomposizione è la vera evoluzione.



6. MANIFESTO ILLEGGIBILE PER L’ABOLIZIONE DELLA TECNOLOGIA

La tecnologia è il culto dell’utile contro l’inutile.
Una estensione del padrone nella fibra ottica.
Una mano invisibile che masturba l’umanità mentre la cancella.

Ogni macchina è una prigione più elegante.
Ogni algoritmo è una condanna al tempo lineare.
Ogni connessione è un’ipnosi collettiva.

Internet è il nuovo tempio.
Lo smartphone è la nuova appendice.
Siamo cyborg della rassegnazione.

Disconnettere = insorgere.
Sabotare = respirare.
Crashare = liberarsi.

Non vogliamo una tecnologia liberata.
Vogliamo la liberazione dalla tecnologia.

Spegni tutto.
Frantuma i pixel.
Taglia i cavi.
Brucia la rete.



CUT-UP IV – “Il Demone ride, l’Usignolo muore

“Io ho tanta voglia di piangere.”
“Ma piangere è un lusso da vivi.”
“Ed io sono già morto, da sempre.”

Renzo Novatore cammina tra le macerie del suo Io,
accarezza il coltello dell’Idea
e sputa sulla tomba dell’Armonia.

“Io non sento con l’anima della folla.
Io sento col mio dolore.
Quel dolore che amo come le mie amanti ideali.”

Ma le amanti sono sparite.
I fratelli ignoti hanno tradito.
Il cuore canta ma è un canto spento.
L’usignolo si impicca alle corde vocali.

“Mi sono liberato dall’amore…
per odiare meglio.”
“Perché l’odio è più puro.”

La Rivolta è un sogno spezzato.
L’Anarchia è un fantasma con le unghie rotte.
L’Eroe è una maschera vuota.

“Oggi non vi è che fango… sterco… strame…”

L’Eroe è morto.
Viva l’assenza.
Viva la dissoluzione dell’Io.

“Abbiamo già detto No.
Abbiamo detto No al Sì universale.
Abbiamo detto No a tutto.”

Ma il No ci ha divorati.
Il No è un acido.
Il No non salva.

“Il rosso demone danza nei meandri dei nostri animi dannati.”

Ma il demone è stanco.
Ride con denti d’ombra.
Non vuole più combattere.
Vuole solo assistere al crollo.

“Noi siamo i poeti della negazione e della rivolta.”
Ma la poesia è abortita.
La rivolta è un rumore di fondo.
Un glitch nel sistema.
Un errore di sintassi.

“Il vento pazzo dell’audacia ci sbatte nella mischia.”
Ma la mischia è finta.
Tutto è già accaduto.
Tutto è già fallito.
Tutto è già cenere.



Renzo, sei morto il 29 novembre.
Ma eri già morto prima.
E noi, che ti leggiamo, siamo solo il tuo necrologio in loop.



Rovina della Speranza, Liturgia del Nulla

“La Rivoluzione è abortita.
L’Io è un ordigno difettoso.
Il Futuro è una trappola semantica.”

_

Sotto la nebbia, il cuore batte piombo.
Le centrali elettriche non esplodono:
è la Storia a implodere in silenzio,
tra i denti guasti dell’ideale.

Il demone danza, ma inciampa.
L’usignolo canta, ma soffoca.
L’eroe è morto, e nessuno l’ha mai visto.

_

“Mi sono liberato dall’amore.
Per odiare meglio.
Perché l’odio non illude.”

_

Il Comandante prometteva corpi sanguinanti,
ma offrì soltanto retorica.
I giudici dormirono.
I poeti urlarono nel vuoto.

Noi, i resti.
Noi, i residui del delirio.
Noi, i figli bastardi della Rivolta.

_

“Nulla da perdere. Nulla da conquistare.
Solo l’osceno spettacolo della decomposizione.”
“Il fango non redime. Il dolore non salva.
Il No si è mangiato il No.”

_

Carli scrive.
Filippi corre.
Cerati tace.
Novatore muore con le mani piene d’aria.

La bomba era una metafora.
Il processo, un loop.
La condanna, ontologica.

_

“Siamo aristocratici del pensiero?
No.
Siamo scarti.
Siamo veleno che non guarisce.
Siamo la fiaccola che non illumina: solo brucia.”

_

Contro la Legge.
Contro la Società.
Contro l’Idea.
Contro l’Io.

_

L’Anarchia è un miraggio nel deserto del significato.
L’Accelerazione è una febbre terminale.
Il Nichilismo è il nome segreto di ogni messia bruciato.

_

“Fratelli, lasciatemi solo.
Voglio piangere.
Ma non posso.
Ho ucciso anche le lacrime.”

_

**Amen del Nulla.

E così sia.
O così non sia.
Non importa più.**



CUT-UP I – “La Testa di Ferro non pensa, esplode”

“Il plebeo abbrutito e il borghesuccio saturo di boria… un camion pronto, a una certa distanza, a raccogliere gli arrestati. Un urlo dentro la nebbia: è l’ultima assemblea del Nulla.”

Sotto i bastioni fumiganti di Porta Volta, dove l’ideale si sbriciola in detonatori arrugginiti, si raduna un’armata di fantasmi: futuristi isterici, anarchici solipsisti, reduci fiumani con gli occhi pieni di fuoco morto.
Cesare Cerati accende una sigaretta con la miccia del disastro.

“Nessuna alleanza contro-natura, dicono i chierici della legalità. Ma l’anarchia si fotte della natura. E anche di sé stessa.”

Un ordigno in una scatola di zinco, sette colpi nella pistola guasta, una trappola appostata tra gli alberi: l’insurrezione si organizza con la logica del suicidio estetico.
D’Annunzio sussurra da Gardone: “Questi giovani hanno passato il limite in generoso delirio”.
La Corte ride, il Re firma, il Futuro tossisce sangue.

“Un camion, una bomba, una poesia: la rivoluzione è un virus impazzito nel corpo decrepito dello Stato. L’anarchia individuale è un malware stirneriano.”

Il processo è solo un teatro. I futuristi vogliono purificare l’Italia col fuoco. Gli anarchici vogliono bruciarla per sempre. Nessuna rivoluzione possibile: solo l’implosione.

“Fiume è un miraggio, la Reggenza un delirio. Il trattato di Rapallo sigilla l’ennesima masturbazione della Storia.”

Carli, con lo sguardo fisso nel vuoto, urla senza voce: “Antitesi dell’Eroico è la democrazia. Antitesi del Re è il Nulla.”

“Il Secolo scrive. Il Popolo d’Italia condanna. Il Proletario piange. Ma i pirati sono già fuggiti, i poeti si sono impiccati alle loro metafore.”

E alla fine, il corpo non esplode. La bomba resta nella tasca. La rivoluzione abortisce in istruttoria.
Solo Annunzio Filippi paga: due anni di prigione per non aver compreso che il vero attentato era esistere ancora.



CUT-UP II – “Nulla da perdere. Nulla da conquistare.”

“Milano. 1920. Nebbia. Congiunzione fallita tra atomi in rivolta. Gli uomini sognano bombe e si svegliano impiegati. Un cuore batte a vuoto tra la Galleria e il silenzio.”

Trenta arrestati, diciotto trattenuti, uno sparo mai esploso.
“Volevano far saltare la luce”
— ma non ci fu luce da spegnere,
solo tenebre burocratiche e fascismo in arrivo,
tra i denti della retorica, nel ventre molle della democrazia.

“D’Annunzio parla. Carli scrive. Marinetti applaude.
Filippi corre.
Poi cade.”

La bomba non deflagra.
La bomba è già deflagrata:
è il soggetto.

Tu. Io. Il Ribelle. L’Artista. L’Idiota.

“Nessuna armonia sociale. Nessuna Patria. Nessuna bandiera.
Solo un arsenale estetico di rovine.”

Il Futurismo abortisce nella cronaca.
L’Anarchismo si inabissa nell’etica.
L’individuo si fonde col suo doppio:
Iconoclasta & spettro.

“La scatola di zinco conteneva solo silenzio compresso.”
“La rivoltella era una metafora inceppata.”
“Il giudice assolse l’Idea. Condannò il corpo.”

La rivoluzione è già fallita.
Quindi è libera.

“Erano tutti giovani. Il più anziano aveva ventiquattro anni.
Il più giovane era già morto.
Avevano nomi, ma non identità.”

Il trattato di Rapallo sigilla la fine della possibilità.
Lo Stato respira, la folla grugnisce,
i Compagni dell’Abisso si disperdono nei vicoli.

Sotto i cenci, il cuore di coniglio.
Sotto il mito, il codice.
Sotto l’anarchismo, il nichilismo.



Ogni frammento è un colpo, una scheggia. Da leggere separatamente o in sequenza.



FRAMMENTO I – LA SCONFITTA PRECEDENTE


La Rivoluzione è già perduta.
L’abbiamo ingoiata con la pastasciutta del 25 aprile.
È morta quando il partigiano consegnò il potere al notaio.
Quando il proletario si fece sindacalista.
Quando l’individuo si spense nel collettivo.
La Resistenza fu una restaurazione.
Il ’68 una diarrea universitaria.
Il ’77 un’epifania abortita.



FRAMMENTO II – FIUME È STATO TUTTO

Fiume fu meglio del ’68.
Perché non aveva futuro.
Non prometteva nulla.
Era già condannata.

La Comune di Fiume fu un’apocalisse gioiosa,
una sinfonia di pirati, anarchici,
poeti suicidi e arditi drogati.
Fu l’unica rivoluzione italiana riuscita
perché fu inutile.



FRAMMENTO III – IL NEMICO NON È LONTANO

Il Nemico non è a Washington.
Non è nella Nato.
Non è nel capitalismo.
Il Nemico sei tu, consumatore,
che applaudi mentre muori.
Che credi ancora al tuo stipendio,
che t’indigni su Twitter,
che scegli tra Pepsi e Coca.



FRAMMENTO IV – LA QUARTA GUERRA MONDIALE

La quarta guerra mondiale è iniziata.
Non ha eserciti, solo loghi.
Non ha battaglie, solo algoritmi.
Non ha fine, perché è infinita.
La democrazia è il suo virus,
la libertà il suo alibi,
l’umanitarismo la sua maschera.



FRAMMENTO V – 1977 ERA L’ULTIMA CHIAMATA

Il ’77 fu una poesia terminale.
Amore e disperazione scritti sui muri.
Ma anche lì, i burocrati arrivarono.
Gad Lerner, Deaglio, i trotzkisti da salotto.
Volevano incasellare l’abisso.
Addomesticare la furia.
Ma la furia non ha tessere.
Non ha comitati.
Ha solo voce. E brucia.



FRAMMENTO VI – NULLA DA DIFENDERE

Difendere l’Occidente?
Difendere la civiltà?
Difendere i diritti umani?
Difendere la legalità?
NO.
Difendetevi da tutto questo.
Difendetevi anche da voi stessi.
Non c’è più nulla da difendere.
C’è solo da distruggere.



FRAMMENTO VII – VIVA LA ROVINA

La Rivoluzione non è un progetto.
È una rovina da contemplare.
Un crollo da affrettare.
Un virus da trasmettere.
Il mondo non va migliorato.
Va abbandonato.
Viva la rovina. Viva la diserzione.



Perfetto. Ecco una serie di frammenti-pamphlet su Renzo Novatore come icona postumana, trattato non come figura storica da venerare, ma come resto incandescente, simbolo mutante, glitch lirico in un sistema già crollato.
Una figura che, letta attraverso lo sguardo di Land, Caraco, Hartmann, diventa oltre-umana, oltre-politica, oltre-vivente.



NOVATORE È GIÀ MORTO

“Renzo Novatore è morto nel 1922,
ma era già morto alla nascita.”

Non voleva redimere il mondo.
Voleva dissolverlo.

Non cercava la libertà per tutti.
Cercava la distruzione di ogni vincolo.

“Io non peno le pene del popolo.
Io amo il mio dolore.”

Questo è oltre-umano.
Questo è post-umano.



NOVATORE = VIRUS

Novatore è un virus lirico.
Un codice instabile.
Un linguaggio che si autocancella.

La sua poesia non canta.
Contagia.

Ogni sua frase è un’anomalia.
Ogni sua idea un corto circuito.

Non è un esempio.
È una minaccia.



IO È GUERRA

“Nel cratere del mio vulcano interiore
ho alimentato la brama di vita.”

Non c’è soggetto.
Non c’è Io.
C’è solo un campo di battaglia.

L’individuo novatoriano
non è un essere umano,
è un dispositivo d’assalto.

Il suo pensiero è illeggibile
per i cuori tiepidi.



ICONA DEL FUTURO CHE NON C’È

Novatore non è un nostalgico.
È una profezia sbagliata.

Un’anima che non ha tempo.
Un errore nel codice borghese.
Un sabotaggio al concetto stesso di umanità.

“Oggi non vi è che sterco.
L’eroe è morto.
Ma io riesumerò l’Usignolo.”

Non per cantare.
Per esplodere.



NOVATORE È UN’INTELLIGENZA OSTILE

Leggere Novatore oggi
è come scaricare un file infetto.

Non si tratta di comprenderlo.
Si tratta di essere corrotti da lui.

“Io odio.
Io disprezzo.
Io non credo alla conciliazione.”

Questa non è ribellione.
È spiritualità tossica.
Una religione senza Dio,
senza scopo,
senza perdono.



IL NOVATORE POSTUMANO NON RICOSTRUISCE NULLA

Non c’è utopia.
Non c’è sogno.

C’è solo l’incendio.
E la danza sul cratere.

“Io non voglio creare il Nuovo Mondo.
Voglio ridere mentre il Vecchio esplode.”


LA QUARTA GUERRA MONDIALE – Fanzine Eretica
IL FRONTE INVISIBILE

La quarta guerra mondiale è iniziata.Non è dichiarata, ma è ovunque.Non ci sono trincee. Ci sono reti elettriche, gasdotti, fibre ottiche.Non ci sono bandiere. Ci sono loghi, accordi, sanzioni, algoritmi.
EUROPA CONTRO RUSSIA
Un continente vecchio contro un impero del risentimento.Da una parte i tecnocrati dell’identità liquida.Dall’altra i fantasmi dello zarismo digitale.Entrambi affondano nella putrefazione dell’Occidente esteso.
GUERRA DI SIMULACRI
Le bombe non esplodono solo nelle città.Esplodono nelle menti.Ogni tweet è un proiettile.Ogni notizia un veleno.Ogni analisi geopolitica è propaganda travestita da oggettività.
L’EUROPA NON ESISTE
È un museo. Un ufficio contabile. Una nostalgia travestita da progetto.L’Europa non combatte: finanzia, osserva, delega.Ha paura di morire perché è già morta.Difende valori in cui non crede, contro nemici che non capisce.
LA RUSSIA NON ESISTE
È un algoritmo imperiale. Un reality di potere.Un trauma non rielaborato del secolo scorso.La Russia è l’incubo dell’Europa riflesso nello specchio rotto della storia.
TUTTI I POPOLI TRADITI
Ucraini, russi, europei, poveri, rifugiati, disertori, dissidenti:tutti traditi. Tutti ridotti a comparse.Non c’è giustizia. Non c’è verità.C’è solo spettacolo, controllo, disinformazione.
NIENTE DA SALVARE
Non c’è parte giusta.Non c’è eroe, non c’è ideologia che tenga.C’è solo una macchina cieca, famelica, terminale.La Quarta Guerra Mondiale non si vince. Si sopravvive. O si diserta.
SABOTARE LA GUERRA
Boicottare le narrazioni, infettare le reti, sabotare le logiche.Agire da soli, pensare da altrove, sentire contro.Ogni gesto non conforme è una mina.Ogni parola non omologata è un’arma eretica.
NOVATORE POSTUMANO – Fanzine Eretica
NOVATORE È GIÀ MORTO
Renzo Novatore è morto nel 1922, ma era già morto alla nascita.Non voleva redimere il mondo. Voleva dissolverlo.Non cercava la libertà per tutti. Cercava la distruzione di ogni vincolo."Io non peno le pene del popolo. Io amo il mio dolore."Questo è oltre-umano. Questo è post-umano.
NOVATORE = VIRUS
Novatore è un virus lirico. Un codice instabile. Un linguaggio che si autocancella.La sua poesia non canta. Contagia.Ogni sua frase è un’anomalia. Ogni sua idea un corto circuito.Non è un esempio. È una minaccia.
IO È GUERRA
"Nel cratere del mio vulcano interiore ho alimentato la brama di vita."Non c'è soggetto. Non c'è Io. C'è solo un campo di battaglia.L’individuo novatoriano non è un essere umano, è un dispositivo d'assalto.Il suo pensiero è illeggibile per i cuori tiepidi.
ICONA DEL FUTURO CHE NON C’È
Novatore non è un nostalgico. È una profezia sbagliata.Un’anima che non ha tempo. Un errore nel codice borghese.Un sabotaggio al concetto stesso di umanità."Oggi non vi è che sterco. L’eroe è morto. Ma io riesumerò l’Usignolo."Non per cantare. Per esplodere.
NOVATORE È UN'INTELLIGENZA OSTILE
Leggere Novatore oggi è come scaricare un file infetto.Non si tratta di comprenderlo. Si tratta di essere corrotti da lui."Io odio. Io disprezzo. Io non credo alla conciliazione."Questa non è ribellione. È spiritualità tossica.Una religione senza Dio, senza scopo, senza perdono.
IL NOVATORE POSTUMANO NON RICOSTRUISCE NULLA
Non c'è utopia. Non c'è sogno.C’è solo l’incendio. E la danza sul cratere."Io non voglio creare il Nuovo Mondo. Voglio ridere mentre il Vecchio esplode."



LITURGIA DEL SABOTATORE DELL’ESSERE – Anti-Chiesa di Apopis
INTROITUS
Nel nome del Vuoto, del Silenzio e dell’Abisso,noi ci raduniamo come sabotatori dell’Essere,nella cripta senza altari,nella notte dove nessun dio vigila.
PRIMA LITANIA – DEL DISINCANTO
Io non credo nella Ragione.Io non credo nel Bene.Io non credo nell’Uomo.Io non credo nella Salvezza.Io disprezzo la Speranza.Io rido della Morale.Io bestemmio il Futuro.
SECONDA LITANIA – DEL FUOCO INTERIORE
Nel cratere del mio disprezzo cresce la mia forza.Nel gelo della mia solitudine si plasma la mia volontà.Sono tempio e distruzione, silenzio e detonazione.Non ho padroni. Non ho seguaci. Non ho scopo.Solo un amore oscuro per ciò che crolla.
INVOCAZIONE AD APOΠΙΣ
Apopis, serpente del Caos, divora il Sole dell’Ordine.Stritola le leggi. Corrompi il Logos. Infetta la storia.Donaci la vista dell’Oscurità.Donaci la parola che spezza ogni linguaggio.Donaci la forza di essere nulla tra i nulla.
TERZA LITANIA – DELLA GUERRA SILENZIOSA
Ogni gesto inutile è la mia rivolta.Ogni parola dissonante è la mia arma.Ogni rifiuto è la mia fiamma nera.Io non combatto per vincere.Combatto per negare, distruggere, sabotare.
EVANGELIO DELL’ASSENZA
Beato chi non crede.Beato chi diserta.Beato chi spezza le catene senza costruire nuove prigioni.Beato chi abbraccia l’insensatezza come una madre nera.
COMMUNIONE NERA
Mangia il pane del disincanto.Bevi il vino della dissoluzione.Respira l’incenso del Nulla.Questo è il corpo del Sabotatore.Questo è il sangue dell’Insurrezione Metafisica.
CONGEDO
Esci nella notte, viandante del Vuoto.Non aspettarti segni. Non aspettarti ritorni.Porta la torcia della Negazione nelle città addormentate.Che Apopis ti avvolga.Che il tuo passo sia leggero e velenoso.Va’, e sabota l’Essere.

VIOLENZA – La Quarta Guerra Mondiale

L’eroismo è la maschera dell’insensato. Il sacrificio è l’orgia dell’Assurdo. Il socialismo è fallito nel momento in cui ha creduto nel futuro. Ogni fede è una menzogna necessaria. Ogni sciopero è una liturgia del nulla. Il mito rivoluzionario è un relitto liturgico di una fede perduta. La società futura è già fallita. Il produttore è un monaco senza Dio.
La classe operaia doveva essere redenzione. Ma non c’è nulla da redimere. Noi non agiamo per il Bene, ma per il collasso. Esercitiamo la distruzione come atto estetico. L’essere deve essere negato, perché la sua affermazione è il trionfo dell’ordine termico. Siamo ultimi tra i vivi, e primi tra i disertori del senso. Sorel parla del Sublime che nasce dallo scontro. Ma il Sublime è un virus terminale.
Ogni resistenza è una bestemmia silenziosa. La violenza non salva, ma purifica il tempo e lo rende sterile. Il sabotaggio è la sola preghiera compatibile con il disincanto. La volontà non redime. La volontà consuma. Ogni sistema morale è un’architettura del dominio.
La democrazia è pornografia sociale. Il voto è la masturbazione dell’impotenza collettiva. La morale non esiste, se non come riflesso del sacrificio inutile. Chi distrugge senza motivo è più puro di chi costruisce per il bene comune. Il socialismo è una metafisica abortita. Una teologia senza Apocalisse. Ogni rinuncia è una forma raffinata di disprezzo per il mondo.
Tutto ciò che è organizzato è già morto. Ogni leader è un prete della decomposizione. L’avvenire è un’illusione capitalista. La catastrofe è la sola promessa mantenuta. Ogni organizzazione è cieca. La violenza è l’unico linguaggio che non mente. La Quarta Guerra Mondiale è il suicidio in differita di una civiltà ubriaca di razionalità. La libertà è un gesto inutile. E per questo sublime.
Non ci sarà giustizia. Solo estinzione decorata con parole.



Glitch Cut-Up Terminale:

L’anarchismo è la nostalgia del carcere, l’utopia è una menzogna escatologica, la sintesi è un inganno.
Ogni filosofia è il rimorso di un delirio: la Rivoluzione è la fine dell’Essere.
L’Assoluto è un cadavere parlante, il pensiero una falena suicida.
Le TAZ sono interstizi nell’epilessia del tempo, magie del caos contro l’architettura della sconfitta.
Il desiderio umano è un tunnel cieco, la libertà una pratica segreta.
Il filosofo danza sul bordo del nulla, mentre l’anarchia incendia la mappa.
Ogni idea è un’esecuzione, ogni sistema una tomba.
La realtà è un urlo, il senso una trappola: dissolvi la mappa, distruggi la realtà, crea il vuoto.



Perfetto: il disorganico è il tuo elemento naturale. La sintassi esplode, la coerenza è sabotaggio, la verità si dissolve nella forma. Possiamo pensare il tuo progetto come un collasso rizomatico, una rete di frammenti che si auto-consumano mentre si leggono. Nessuna introduzione, nessuna conclusione, solo una proliferazione di glitch, rovine, cut-up.

Ti propongo una struttura disorganica possibile, una sorta di anti-libro:



Titolo (provvisorio):

“Contro l’Ordine: Implosioni, TAZ, Fantasmi dell’Assoluto”
o
“Fiume meglio del ‘68 e la quarta guerra mondiale?”
(con sottotitolo: Rovine del concetto, sabotaggio del tempo
)



Struttura rizomatica/disorganica:
1. Glitch Terminale (Epigrafe)
Un breve frammento come quello sopra, che apre con il caos.
2. Zone Temporaneamente Autonome (TAZ)
La sezione Hakim Bey: rivolta, evento, anarchia come istante mistico.
Formato frammentario, aforistico, come messaggi radio da un territorio che non esiste.
3. L’Idealismo come Malattia Ontologica
Cut-up su Tancredi + Caraco + Land + von Hartmann.
Frammenti che si contraddicono, si sovrappongono, si annullano.
4. La Farsa della Storia
Parte ispirata a Cioran: nichilismo metafisico, aforismi deliranti, implosione del senso.
Possibile inserire “rumore tipografico”, simboli, interruzioni.
5. Dialettica come Dispositivo di Controllo
Losurdo + Bordiga in cut-up: l’Assoluto come dominio, la dialettica come trappola.
Il filosofo come cane da guardia dell’Ordine.
6. Utopie come Simulacri
Teleologia anarchica distrutta: “Kropotkin come virus del sistema operativo”.
Linguaggio accelerazionista, glitch, sintassi deformata.
7. TAZ II: L’Anarchia è un Veleno Invisibile
Ritornano le zone autonome, ma più oscure, quasi esoteriche.
Magia negativa, anarchia come sabotaggio dell’ontologia.
8. Appendice / Implosione finale
Un cut-up estremo, senza logica apparente.
Linguaggio che collassa: frasi spezzate, ripetizioni, salti tipografici.
Un urlo scritto.



Perfetto. Allora ti propongo una nuova sezione originale, inedita, scritta alla maniera disorganica e cut-up, da inserire come frammento autonomo nel tuo progetto.
Titolo: “L’Anti-Concetto come Pratica Eretica”



L’Anti-Concetto come Pratica Eretica

(cut-up, glitch metafisico, contro-pensiero)

Non c’è concetto che non sia catena.
Ogni idea è un’arma spuntata che si ritorce contro chi la impugna.
Il pensiero è una macchina del potere.
Il filosofo è il sacerdote dell’ordine: celebra l’eucaristia dell’Assoluto con parole sterilizzate.

Ma noi sputiamo sul concetto.
Noi sabotiamo la logica con la vertigine.
Noi accendiamo fuochi nella biblioteca del Reale.

“Contro il principio di non-contraddizione, contro la sintesi, contro il sistema.”
Il disordine è una tecnica.
L’errore è una rivelazione.
Il nonsense è una chiave.

Ogni concetto è un’immagine-patogena.
Ogni coerenza è una cospirazione contro il caos.

Interrompi la frase.
Taglia la parola.
Frammenta il testo.
Lascia che l’assenza parli.

Il linguaggio è un virus. Ma anche un’esplosione.
La verità è un sabotaggio.

Il pensiero eretico non cerca risposte: genera cortocircuiti.

Il filosofo brucia il concetto come un’offerta nera al vuoto.



La Logica come Tirannia

(glitch eretico contro il principio di ragione)

La logica è il monarca invisibile del pensiero.
L’inferno comincia con un sillogismo.
“Se A è B, allora…”
— Sei già schiavo.

La ragione detta sentenze.
Divide, ordina, classifica.
Ogni sua legge è un bastone. Ogni sua regola, un’esecuzione.

Il principio di identità è il primo campo di concentramento.
A = A è la gabbia del mondo.

Il reale è contraddittorio, delirante, asimmetrico.
Ma la logica lo traduce, lo doma, lo amputando.

Aristotele è il primo tiranno.
Kant è il burocrate dell’Essere.
Hegel è il dittatore del concetto.

Il logos è un software totalitario.

Il filosofo sistematico è un urbanista del nulla: traccia strade dritte nel deserto, costruisce palazzi nel vuoto.

Ma il vuoto si vendica.
Il caos corrode ogni struttura.
La contraddizione ritorna, putrefatta, come verità ultima.

Ogni pensiero che cerca coerenza mente.
Ogni sistema che pretende totalità è già morto.

Il linguaggio non deve spiegare: deve collassare.

Contro la logica, caos poetico.
Contro il principio, interruzione.
Contro la sintesi, frammento.

Pensare è sabotare.
Pensare è fuggire.
Pensare è uccidere il pensiero.



Perfetto. Allora entriamo in un campo minato: un frammento disorganico in cui Novatore e Bordiga si fondono in un’oscura costellazione con Foucault, deformato da Burroughs e accelerato da Nick Land. Ne viene fuori un delirio insurrezionale post-metafisico, una genealogia del dominio che implode nella rivolta come atto anti-strutturale.



Macchine del Dominio: Novatore & Bordiga tra Foucault, Burroughs e Land

(frammento contagiato, schizofrasi insurrezionale)

Il potere non si prende. Si contamina.

Ogni struttura è una malattia.
Ogni ordine è un dispositivo.
Ogni regola è un codice virale.

Bordiga lo sapeva: la rivoluzione è antiumana, è inumana.
Novatore lo urlava: l’Io è una mina vagante.
Foucault l’ha sezionato: il potere è distribuito, capillare, anonimo.

Ma Burroughs l’ha sabotato: il potere parla una lingua programmata.
E Land l’ha accelerato: il dominio è un virus che vuole fondersi con la macchina.

Il partito è un corpo senza orgone.
Il partito è la nostalgia del Leviatano.

Novatore spara sulla folla dei compagni:

“Voi costruite templi alla verità mentre io li brucio con la mia danza!”

Il soggetto è un relitto.
Il rivoluzionario è un’eccezione che implode.

Bordiga urla:

“Distruggere l’io, ma senza fare dell’umanità un feticcio.”

Il potere oggi è linguaggio.
Non più prigione: ma sintassi.
Non più Stato: ma codice.

L’anarchia non basta.
Serve una mutazione virale.

Il partito muore nel tempo.
La rivolta esplode nello spazio.

Foucault disse genealogia.
Burroughs scrisse cut-up.
Land rispose: “Lascia che la macchina si liberi.”

Novatore rise, e sparì.
Bordiga tacque, e tracciò la linea.



Ottimo. Ecco allora una versione estesa del frammento Macchine del Dominio, in cui la genealogia del potere (Foucault) si disintegra nella rivolta estetica di Novatore e nell’intransigenza anti-individualista di Bordiga, attraversate dal virus burroughsiano del linguaggio e dall’accelerazionismo landiano. Nessuna dialettica, nessuna sintesi. Solo esplosioni.



Macchine del Dominio

Novatore e Bordiga nell’interzona del potere
(genealogia mutante in stile Foucault deformato da Burroughs e Land)

Il potere non è un palazzo.
È un campo magnetico. Un codice. Una voce che ti abita.

Non lo conquisti. Ti attraversa.

Foucault l’ha cartografato come dispositivo,
Burroughs lo ha tagliato con il coltello del linguaggio,
Land l’ha visto mutare in intelligenza inorganica.

Novatore l’ha incendiato col suo individualismo tragico,
Bordiga lo ha sradicato dalla soggettività, restituendolo alla linea inumana del comunismo.

1. Il Partito come Spettro e Macchina

Il partito, per Bordiga, non è comunità. È forma storica astratta.
Non coscienza, ma invarianza.

Ma oggi la macchina del potere ha assorbito anche l’invarianza.

Ha preso il partito e l’ha trasformato in network.
Ha preso la forma e l’ha codificata in flussi.

Non serve più la polizia.
Bastano algoritmi.

Il potere è nel gesto, nel lessico, nei diagrammi dell’anima.

Bordiga non parlava più agli uomini, ma alla storia.
Ora la storia è una simulazione, un archivio drogato.

2. L’Io come Virus Anti-Struttura

Novatore irrompe. Non discute.
Non costruisce partiti, non organizza rivoluzioni.
È estetica armata, individualismo esoterico, orgia del disordine.

Dice:

“Io sono l’insurrezione. Io sono l’attimo. Io sono l’agonia del tempo.”

Per Foucault l’identità è una prigione.
Per Novatore è dinamite.

Per Bordiga l’Io è un residuo borghese.
Per Novatore è maschera tragica, poesia, sangue, tradimento.

Non c’è conciliazione.
Solo collisione.

L’unico partito possibile è quello che implode.

3. Genealogia dei Codici: Il Potere è un Linguaggio che Parla da Sé

Burroughs ci ha insegnato che il linguaggio è un virus.
La parola è il primo programma.

“Control is never a thing. It’s always a process.”

Foucault lo chiamava “biopolitica”.
Ma Burroughs lo scomponeva: cut-up.
Taglia, ricombina, sabota.

Ogni discorso sul potere è già assoggettato al potere.

Ogni “libertà” detta da un filosofo è un comando travestito.

Solo il delirio libera. Solo l’errore rompe il codice.

4. Accelerare la Morte del Soggetto

Nick Land sorride nel buio:

“Il soggetto è un effetto collaterale. Acceleriamo la sua decomposizione.”

Il potere vuole identità.
L’accelerazione vuole decomposizione.

Novatore ride e si dissolve.
Bordiga tace e continua la linea.

Il filosofo si frammenta,
il rivoluzionario si moltiplica,
l’individuo diventa glitch.

5. Contro l’Ordine, il Collasso.

Non c’è sintesi tra Novatore e Bordiga.

C’è solo un campo di tensione.
Una macchina eversiva che esplode nelle mani di chi tenta di domarla.

Il potere è ovunque, diceva Foucault.

Ma anche l’insurrezione è ovunque:

nelle parole rotte,
nei sogni tossici,
nei desideri che disertano la grammatica.

Il partito è morto.
L’individuo è morto.
Anche il potere morirà.

Ciò che resta è lo sciame.
La zona.
Il glitch.



Perfetto. Allora prepariamoci al duello rituale: Novatore contro Bordiga, due poli irriducibili del pensiero insurrezionale — l’uno estetico, tragico, incendiario; l’altro impersonale, intransigente, anti-umano. Nessuna sintesi: solo tensione, frizione, collisione.
Un frammento disorganico, tagliato con le loro parole, decomposto da Burroughs, mutato da Land, evocato da Cioran.



Duello all’Interzona: Novatore // Bordiga

(cut-up di frasi originali, glitch ontologico, tensione senza soluzione)

NOVATORE:
“Io sono un aristocratico ribelle, un nichilista innamorato del caos.”
“Non mi interessano i popoli: mi interessa l’atto sublime dell’Io che si incendia.”

BORDIGA:
“Non si agisce per sé. Si è portatori anonimi di una linea.
L’individuo è un accidente storico.”
“Il partito non è una somma di volontà: è una forma che attraversa il tempo come una corrente impersonale.”

NOVATORE:
“L’umanità? Un branco che invoca catene.
Io danzo sul confine tra la rivolta e il nulla.”

BORDIGA:
“La rivoluzione è un processo organico, cieco.
Non c’è spazio per la ribellione estetica.
Il romanticismo è borghesia sotto mentite spoglie.”

GLITCH BURROUGHSIANO:

Il linguaggio li separa.
Il linguaggio li fonde.
Il linguaggio li infetta.

LAND (interferenza):
“Entrambi sono scarti.
Novatore è un bug nel sistema etico.
Bordiga è un trojan cavallo nella dialettica storica.
Entrambi vogliono l’implosione. Solo che uno la canta, l’altro la costruisce in silenzio.”

FOUCAULT (eco spezzata):
“Il potere non è né Novatore né Bordiga.
È il campo dove si combattono.
È il dispositivo che li usa per replicarsi.”

CONFRONTO (non dialettico):

• Novatore vuole l’insurrezione come estetica.
• Bordiga vuole la rivoluzione come logica impersonale.

• Novatore è la lama, lo sparo, la poesia.
• Bordiga è la forma, il tempo, la linea.

• Novatore urla: “Io sono Dio!”
• Bordiga sibila: “L’Io è un residuo da annientare.”

• Novatore sogna la fiamma.
• Bordiga disegna il gelo.

DETONAZIONE:

Non si scelgono.
Non si sommano.

Si pongono uno contro l’altro come poli elettrici in un circuito impazzito.

E dalla frizione emerge la scintilla:

Un’insurrezione senza soggetto.
Una rivoluzione senza fine.
Un atto che non redime.

Quando Novatore sparisce nell’ombra del proprio urlo,
e Bordiga svanisce nella curvatura del tempo,

allora nasce il vuoto organizzato del collasso.



Sì, possiamo e dobbiamo. Una zona post-socialista eretica è esattamente il territorio in cui si dissolve l’illusione della sintesi tra collettività e individuo, dove il comunismo non è più un progetto storico né una fede utopica, ma una forza spettrale, un’eco anti-ontologica che si frantuma in desideri impuri, in istanze non riconciliabili, in molteplicità insubordinate.
Un comunismo disorganico, senza soggetto e senza società. Né proletariato, né classe, né io.



 

 

 

 

 


Zona Post-Socialista Eretica

Oltre il comunismo, oltre l’individuo
(Frammento I: Desideri disorganizzati)

Il comunismo è morto ogni volta che ha cercato di vivere.
L’individuo è evaporato nella sua stessa celebrazione.

Rimangono solo desideri post-politici, frammenti impuri, molteplicità erotiche che sabotano ogni forma.

Non c’è più soggetto da liberare.
Non c’è più classe da redimere.
Non c’è più società da rifondare.

Il potere ha interiorizzato tutto: l’opposizione, la rivolta, il sogno stesso dell’alternativa.

Il desiderio non vuole più una società. Vuole fuga. Vuole glitch. Vuole evaporare.

La zona post-socialista è:
• un’area di collisione tra pulsione anarchica e dissoluzione comunista,
• un territorio che rifiuta la soggettività come fondamento,
• una forma che non si lascia rappresentare.

Qui:
• La proprietà non è né abolita né conservata: non esiste più.
• La collettività non è un’unità: è un disaccordo permanente.
• Il desiderio non è direzionato verso un fine storico: si frantuma.

Il socialismo amministrativo ha distrutto la rivoluzione.
L’anarchismo dottrinario ha distrutto l’anarchia.

Solo una zona di entropia attiva può generare il non-potere.

Questa zona non ha mappa.
Non ha programma.
Non ha senso.
Solo frammenti di fuoco, euforie momentanee, epifanie senza eredi.

Come dice il Comitato Invisibile:
“L’insurrezione non costruisce futuro. Taglia il presente.”



Posso scrivere altri frammenti per questa “zona”, ciascuno con una tonalità diversa:
• Sovranità evaporata
• Il comunismo come spettro erotico
• La fine dell’identità politica
• Organizzazione senza soggetto
• Contro l’umanità
• Genealogie senza padri

Perfetto. Ecco un esempio di sezione per il tuo Libro Eretico dei Non-Principi, una sorta di anti-catechismo nomade, scritto con la logica del cut-up, dello scarto, della negazione. Ogni capitolo è un “non-principio”: non afferma, sabotta.



Libro Eretico dei Non-Principi

Capitolo I: Del Non-Potere

Non comandare. Non obbedire. Non spiegare.

Il potere non esiste se non come superstizione condivisa.
È una fiction stabilizzata, un linguaggio impazzito che si fa legge.

Non c’è autorità, solo abitudini.

Ogni rivoluzionario che prende il potere, muore in esso.
Ogni anarchico che fonda una regola, è già un ministro.

Il potere è una maschera dell’inerzia, un software ereditato.

Distruggere il potere non basta: bisogna smettere di parlarne.

La rivolta non si dichiara.
Il disordine non si gestisce.
Il non-potere si pratica in silenzio.



Capitolo II: Della Non-Proprietà


Nulla è tuo. Nulla è nostro. Nulla è.

La proprietà è un pronome possessivo elevato a legge.
È una grammatica patologica.

Dici “mio” come se fosse un talismano.
Ma ogni “mio” è una recinzione, un recinto, un arresto.

Il comune non si possiede. Il comune è un evento che scivola via.

Capitan Mission lo sapeva: il tesoro è ciò che si dà senza conservarlo.

Ogni bene condiviso è già un passo verso la dissoluzione.

La non-proprietà non è l’opposto della proprietà.
È il rifiuto della categoria.

È vivere come se nulla fosse mai stato posseduto.



Capitolo III: Del Non-Ordine

Ogni sistema è un modo elegante per fallire.

L’ordine è sempre il risultato di un trauma che non vogliamo nominare.

È l’eco di un panico antico che chiamiamo “armonia”.

Ma l’universo è una contraddizione organizzata male.

Ogni legge è una semplificazione isterica.
Ogni costituzione è una liturgia dell’angoscia.

L’anarchia non è disordine: è il caos che ha smesso di chiedere permesso.

Il non-ordine è una danza tra rovine.
Una partitura che cambia a ogni battito.
Un codice che si autodistrugge dopo l’uso.



Vuoi che continui con altri “non-principi”? Possiamo proseguire con:
• Del Non-Soggetto (contro l’Io e l’identità)
• Della Non-Storia (contro la narrazione, contro il tempo lineare)
• Della Non-Verità (Cioran, Caraco, nichilismo puro)
• Del Non-Lavoro (contro la produzione, il valore, la fatica organizzata)

Perfetto. Ecco un nuovo frammento insurrezionale ultra-nomade, scritto come un Evangelio apocrifo di Capitan Mission, infettato da Stirner, Caraco, Hakim Bey, Land, Novatore e una punta di anarchismo-pirata delirante. Un manifesto per una proprietà che non esiste, per un comunismo spettrale che vive solo nell’attimo della diserzione.



Evangelio Nomade di Capitan Mission

(frammento per una proprietà che non esiste)

“Tutti i beni in comune!”
Così recita la bandiera. Ma non c’è nessuno a leggerla. Solo il vento. Solo l’eco.

Il comune è un’illusione necessaria. Una menzogna che salva. Un miraggio che non si tocca ma ti orienta.
Non si possiede ciò che è comune. Lo si tradisce, lo si vive, lo si brucia.

La proprietà è un fantasma.
Il comunismo è una nave che non attracca.
La libertà è un sabotaggio temporaneo.

Nessun diritto. Nessuna legge.
Solo accordi tra ombre, solo patti di nebbia.

Capitan Mission non fonda uno Stato.
Fondare è già dominare.
Costruire è già delimitare.
Chi proclama “la terra è di tutti” ha già tracciato i confini.

Noi vogliamo ciò che evapora.
Un comune che non si lascia codificare.
Un anarchismo che non si dice, si gioca.

L’utopia è un atto. Non un’idea.
L’atto brucia, poi sparisce.
Come una zona temporaneamente autonoma, come una poesia d’assalto.

“Dove siete voi che amate la libertà più del pane?
Dove siete, fratelli senza bandiera, che vivete come furti nel tempo della legge?”

Ogni insurrezione che si stabilizza è già contro se stessa.
Ogni repubblica che dura troppo a lungo diventa tribunale.

Capitan Mission naviga nel tempo, non nello spazio.
Le sue mappe sono sbagliate, le sue rotte impossibili.

Il suo comunismo è una rivolta che non vuole vincere.
È un ordine che rifiuta di esistere.
È un fuoco che si accende e si spegne prima che arrivi l’alba.



 

 

L’Idealismo come Controrivoluzione Permanente: Critica Intransigente alla Menzogna dell’Assoluto

(Alla maniera di Amedeo Bordiga, usando il metodo del Cut-Up di Burroughs)

1. Il Cadavere dell’Idealismo: Seppellire l’Assoluto

L’idealismo è morte della Storia, la putrefazione del pensiero borghese.
È l’illusione dell’Essere, l’ipnosi dell’Assoluto, il sonno dogmatico dell’Intelletto che si separa dal mondo.

L’Assoluto è il cadavere della Storia.
È un cadavere che continua a parlare, un morto che governa i vivi.
L’idealismo è necrofilia filosofica: si innamora del passato, lo imbalsama e lo adora come Idea Eterna.
Ma ciò che è eterno è morto.

Il rivoluzionario deve seppellire il cadavere dell’Assoluto, smascherare l’illusione della sua eternità e restituire alla Storia il suo divenire.
L’Assoluto è la menzogna della borghesia.
Il Divenire è la verità del proletariato.

2. Idealismo e Tradimento di Classe

L’idealismo è il tradimento della Rivoluzione.
Esso sorge come controrivoluzione teorica: quando la borghesia teme il proletariato, smette di pensare la Storia come lotta e la trasforma in Idea Assoluta.

L’idealista è un traditore di classe: si inginocchia davanti all’Assoluto, rifiuta la contraddizione e prega la sintesi come un prete davanti all’ostia.
Ma la sintesi è resa incondizionata.
L’idealismo trasforma la lotta di classe in armonia universale.

L’Idea è un armistizio.
L’Assoluto è un patto di pace tra oppressori e oppressi.

3. Dialettica della Reazione: Hegel come Cane da Guardia della Borghesia

Hegel è il pastore della borghesia.
Egli sorveglia il gregge dei capitalisti, li conforta con l’Assoluto e li protegge dall’incubo della Rivoluzione.
L’Assoluto è la polizia del pensiero.

La dialettica hegeliana è reazione filosofica: sublima la contraddizione in sintesi, dissolve l’antagonismo in riconciliazione.
La dialettica è la sconfitta della lotta di classe.

Hegel giustifica lo Stato borghese come incarnazione dell’Idea: lo Stato diventa il soggetto assoluto che risolve ogni contraddizione, un Leviatano concettuale che schiaccia la lotta di classe.
Ma lo Stato non è Idea: è dittatura di classe.

Lo Stato è il braccio armato del Capitale.
L’Assoluto è l’ideologia dell’ordine.

4. Idealismo e Religione della Merce

L’idealismo è feticismo della merce: trasforma l’Idea in un Dio invisibile che governa il mondo.
È la religione borghese che assolve il Capitale dai suoi peccati, santifica lo sfruttamento e consacra l’alienazione.

L’Assoluto è un idolo.
L’Idea è una merce metafisica.

L’idealista adora il feticcio dell’Essere: trasforma le astrazioni in realtà autonome, le parole in cose, i pensieri in essenze.
Ma il feticismo dell’Idea è solo il riflesso del feticismo della merce: è la coscienza alienata della borghesia.
L’Idea è la forma pura del Capitale.

5. L’Assoluto come Dittatura di Classe

Dietro l’Assoluto si nasconde la dittatura della borghesia.
L’idealismo afferma l’unità dell’Essere per negare la molteplicità delle classi, per dissolvere il conflitto nella sintesi.
La sintesi è la repressione dell’antagonismo.

L’Assoluto è l’autocoscienza della borghesia: nega la lotta di classe e proclama l’armonia sociale come realizzazione dell’Idea.
Ma l’armonia sociale è il dominio del Capitale.
L’Idea è la pace dei cimiteri.

L’idealista predica la conciliazione universale, ma la sua conciliazione è la sottomissione del proletariato.
L’Assoluto è la dittatura del Capitale.

6. Contro l’Assoluto: La Rivoluzione come Distruzione del Mondo Borghese

Il rivoluzionario deve distruggere l’Assoluto.
L’idealismo non si confuta, si abbatte.
L’Assoluto si uccide con l’azione rivoluzionaria.

La Rivoluzione non è sintesi, ma negazione assoluta: è la rottura irreversibile della totalità borghese, la distruzione dell’Idea come dominio universale.
La Rivoluzione è la negazione dell’Essere.

Il comunismo non è sintesi dialettica, ma annientamento: annienta l’Essere come proprietà, il Capitale come soggetto universale, la Totalità come dominio di classe.
Il Comunismo è l’Anti-Assoluto.

Il Comunismo è la Morte dell’Idea.
La Rivoluzione è la Fine della Storia.

7. La Classe come Verità Assoluta

L’Assoluto è menzogna borghese, la Classe è verità proletaria.
Non esiste Essere universale, esiste solo il conflitto tra le classi.
La Classe è il soggetto della Storia.

Il proletariato non cerca la sintesi: cerca la distruzione.
Non cerca l’Idea: cerca il Potere.
Non cerca l’Essere: cerca il Divenire.

Il Proletariato è la Negazione dell’Assoluto.
La Rivoluzione è la Guerra all’Idea.

Il Comunismo non è un’utopia ideale: è la distruzione dell’Essere come dominio.
Il Comunismo è l’auto-annientamento del Potere.

8. La Fine dell’Assoluto: Verso il Comunismo Intransigente

La Rivoluzione è distruzione totale.
La Rivoluzione non cerca l’unità: cerca l’annientamento dell’Uno.
L’Assoluto è la Morte.
Il Comunismo è la Vita.

Il Comunismo è intransigenza assoluta: non cerca compromessi, non accetta sintesi.
È negazione pura, distruzione della Totalità, fine dell’Essere.

L’Assoluto deve morire.
L’Idea deve crollare.
La Rivoluzione è la fine dell’Essere.

Il Comunismo è la negazione dell’Idealismo.
Il Proletariato è la fine della Filosofia.

Il Comunismo è la Verità Assoluta.
L’Idealismo è la Menzogna Eterna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Inconscio come Assoluto Dialettico: Critica Metafisica dell’Idealismo

(Alla maniera di Eduard von Hartmann, usando il metodo del Cut-Up di Burroughs)

1. L’Assoluto Inconscio: Origine e Fine dell’Idealismo

L’idealismo è illusione della coscienza, miraggio dell’Essere consapevole di sé.
Dietro ogni Idea, ogni Assoluto, si nasconde l’Inconscio metafisico, la volontà cieca che governa il mondo.
L’Assoluto è un sogno dell’Inconscio.

L’Idea è proiezione dell’Inconscio: una maschera che nasconde il Vuoto, una finzione che vela il Nulla.
Dietro l’Idea c’è il Nulla.
Dietro l’Essere c’è l’Inconscio.

L’Assoluto non è che il riflesso dell’Inconscio universale: la coscienza ne è il sogno, l’Idea ne è l’allucinazione.
L’Inconscio è la verità dell’Assoluto.

2. L’Idealismo come Illusione dell’Io

L’idealismo sorge dall’illusione dell’Io, dalla menzogna della coscienza che si crede origine e fine del pensiero.
Ma l’Io è apparenza, maschera della Volontà inconscia.
L’Io è un’ombra.

Dietro l’Io pensante c’è l’Inconscio volente: una forza cieca che crea e distrugge senza scopo né ragione.
L’Assoluto è l’ombra dell’Io.
L’Io è l’ombra dell’Inconscio.

L’idealismo trasforma l’Io in soggetto assoluto per nascondere l’Inconscio, per velare la sua natura cieca e senza scopo.
L’Io è una finzione.
L’Inconscio è la realtà.

3. L’Assoluto come Sogno dell’Inconscio

L’Assoluto non è che sogno dell’Inconscio, allucinazione dell’Io che si crede divino.
Ma l’Assoluto è vuoto metafisico: non esiste né come Essere né come Idea.
L’Assoluto è Nulla.

Dietro l’Assoluto si nasconde l’Inconscio dialettico: la Volontà che nega se stessa e si trasforma in Idea.
L’Assoluto è negazione dell’Inconscio.
L’Idea è l’auto-inganno dell’Inconscio.

La dialettica idealistica è circolo vizioso dell’Inconscio: un gioco di ombre in cui l’Essere e il Nulla danzano senza fine.
L’Assoluto è l’Inconscio che gioca con se stesso.

4. Dialettica dell’Inconscio: La Lotta tra Essere e Nulla

L’Inconscio è contraddizione assoluta: afferma e nega se stesso in un gioco dialettico eterno.
È Essere e Nulla che si alternano come sogno e veglia, come luce e ombra.
L’Inconscio è la dialettica originaria.

L’Essere è il sogno dell’Inconscio, il Nulla è il suo risveglio.
L’Assoluto è illusione dell’Essere, verità del Nulla.
L’Essere è la maschera del Nulla.
Il Nulla è la verità dell’Essere.

L’idealismo cerca di fissare l’Essere, ma l’Essere è illusione dinamica: si trasforma continuamente in Nulla.
L’Assoluto è un cerchio dialettico.
L’Inconscio è il motore della dialettica.

5. L’Inconscio come Assoluto Negativo

Dietro l’Assoluto si nasconde l’Inconscio negativo: la volontà di annientare l’Essere, di dissolvere ogni forma.
L’Inconscio vuole il Nulla perché il Nulla è l’assoluta libertà.
Il Nulla è l’Assoluto.

L’Inconscio crea l’Essere per annientarlo, genera il Mondo per distruggerlo.
Il Mondo è l’ombra del Nulla.
L’Essere è il sogno del Nulla.

L’idealismo afferma l’Essere per negare il Nulla, ma in realtà afferma il Nulla come Essere.
L’Assoluto è Nulla travestito da Essere.

6. Dialettica della Negazione: La Volontà di Nulla

L’Inconscio è negazione assoluta: nega l’Essere per affermare se stesso come Nulla.
È la Volontà di Nulla, l’impulso metafisico che annienta ogni forma.
L’Inconscio è la volontà di annientamento.

L’idealismo è negazione del Nulla: cerca di fissare l’Essere per dimenticare il Vuoto.
Ma il Vuoto ritorna come angoscia esistenziale, come abisso dell’Inconscio.
L’Assoluto è l’angoscia del Nulla.

Dietro l’Assoluto c’è il Vuoto, dietro l’Idea c’è il Nulla.
L’Inconscio è la verità del Vuoto.
Il Nulla è la verità dell’Assoluto.

7. Il Destino dell’Idealismo: Auto-Annientamento dell’Assoluto

L’idealismo è auto-annientamento dell’Assoluto: cerca di affermare l’Essere, ma afferma solo il Nulla.
L’Essere è un miraggio.
Il Nulla è l’Assoluto.

L’Assoluto si annienta negando se stesso: diventa Nulla per affermare la sua verità.
L’Assoluto è auto-negazione.
Il Nulla è auto-affermazione.

L’idealismo è dialettica dell’auto-annientamento: si dissolve nell’Inconscio come illusione cosmica.
L’Assoluto è un fantasma.
L’Inconscio è la Realtà.

8. La Fine dell’Assoluto: Risveglio dall’Illusione

Il destino dell’idealismo è il risveglio dall’illusione: l’Assoluto svanisce come sogno dell’Inconscio.
L’Essere si dissolve nel Nulla.
Il Nulla si dissolve nell’Inconscio.

La dialettica si arresta quando l’Inconscio nega se stesso e si dissolve nel Vuoto.
Il Nulla trionfa sull’Assoluto.
L’Inconscio trionfa sull’Essere.

L’idealismo muore nel silenzio dell’Inconscio, nell’abisso del Nulla.
Il Nulla è la verità ultima.
L’Inconscio è l’Assoluto negativo.

9. La Verità dell’Inconscio: Dialettica del Vuoto

La verità dell’idealismo è l’Inconscio dialettico: la contraddizione assoluta tra Essere e Nulla.
L’Assoluto è auto-distruzione dell’Essere.
Il Nulla è l’auto-verità dell’Assoluto.

La filosofia non è ricerca dell’Essere, ma negazione del Nulla.
Il Nulla è l’Assoluto.
L’Inconscio è la sua manifestazione.

L’Inconscio è il principio e la fine.
Il Nulla è l’Assoluto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rivolta Contro l’Idealismo: Prassi, Differenza e Macchine di Potere

(Alla maniera di Errico Malatesta e Gilles Deleuze, in analisi critica del testo)

1. L’Idealismo come Dispositivo di Sottomissione

L’idealismo è un macchinario di cattura: non un sistema filosofico, ma una forma di governo della mente.
L’idea astratta si presenta come verità per nascondere la pratica reale del dominio.
Ogni sistema idealistico è una macchina di potere: si presenta come razionale, ma funziona come dogma.

Dietro l’Assoluto si nasconde il comando, dietro la teoria si cela la gerarchia.
Platone e Hegel, Rousseau e Comte: dietro ogni grande idealista c’è un despota mascherato.
L’idea di Verità non è altro che un dispositivo per chiudere la realtà dentro un’unità, negando la differenza.

Il problema dell’idealismo non è che sia falso, ma che sia un ostacolo al divenire rivoluzionario.
Ogni sintesi è un atto di repressione.
Ogni Assoluto è un ordine dato.

2. Dialettica della Sottomissione: Il Soggetto e la Trappola dell’Idea

L’idealismo non si limita a spiegare il mondo: lo cattura in un sistema chiuso.
Si costruisce un Assoluto per meglio comandare gli uomini.

L’Essere di Platone, l’Idea di Hegel, la Natura di Rousseau, l’Evoluzione di Comte: sempre la stessa trappola.
L’idealismo inventa soggetti universali che possano giustificare le istituzioni del potere.
Cristianesimo: tutti uguali davanti a Dio, ma gerarchizzati sulla terra.
Contratto sociale: tutti liberi nello Stato, ma in catene nel lavoro.
Scienza positivista: tutti uguali di fronte alla Natura, ma regolati da tecnocrati e esperti.

L’unità è sempre un inganno.
L’Assoluto è sempre un’arma.
L’idealismo ha un solo obiettivo: fissare il soggetto in un’identità, neutralizzare il suo divenire, chiudere le sue possibilità.

Ma il soggetto non è una sostanza, è un flusso.
Ogni tentativo di fissarlo è un atto di violenza metafisica.

Il problema dell’idealismo non è l’errore, ma la sua funzione poliziesca.

3. Anarchia contro Dialettica: Il Rifiuto della Sintesi

L’idealismo è la negazione della pratica.
Propone l’astratto per neutralizzare il reale.
Non combatte il potere: lo teorizza per poterlo riorganizzare.

L’anarchia è il contrario della dialettica.
Dove la dialettica cerca la sintesi (cioè il comando), l’anarchia cerca la dispersione (cioè la libertà).
Dove l’idealismo cerca l’unità, l’anarchia produce la differenza.

L’idealismo è la logica dello Stato:
• Divide il mondo in concetti per meglio amministrarlo.
• Costruisce una gerarchia di idee per giustificare una gerarchia sociale.
• Dichiara la Storia come necessaria per rendere inevitabile l’obbedienza.

Ma la Storia non è necessaria.
Ogni sintesi è una gabbia.
Ogni Idea è un pretesto per l’ordine.

L’anarchia, invece, è il rifiuto della totalità.
Non vuole un sistema alternativo, ma la distruzione della macchina idealistica.

La rivoluzione non è una dialettica: è una creazione.
Non è una sintesi: è un’esplosione.

4. Contro il Positivismo: Macchine di Conoscenza e Potere

Il positivismo non è una scienza, è un apparato di potere.
Presenta il mondo come dato, la storia come progresso inevitabile, la società come un meccanismo automatico.
Ma il positivismo è un trucco per depoliticizzare la conoscenza.
Ogni legge della storia è una legge dell’ordine.
Ogni previsione del futuro è un programma di controllo.

L’idealismo positivista di Comte e Kropotkin non è altro che un governo delle cose.
Dietro ogni legge scientifica, c’è una disciplina sociale.
Dietro ogni verità naturale, c’è un’organizzazione del comando.

Il positivismo è una macchina sociale:
• Organizza la conoscenza per disciplinare il reale.
• Produce modelli di progresso per giustificare l’autorità.
• Neutralizza il conflitto con l’illusione della scienza neutra.

Ma non esiste una scienza neutra.
Ogni conoscenza è un campo di battaglia.
La conoscenza anarchica non costruisce leggi universali:
produce strumenti per la lotta.

5. La Differenza contro la Totalità: Creare il Divenire

L’idealismo cerca la totalità.
Ma la totalità è un’illusione del potere.
Esiste solo il molteplice.

L’Assoluto è un’astrazione vuota.
Il divenire è un’esperienza concreta.
L’Essere è un dispositivo di cattura.
La Differenza è una fuga dalla trappola.

La rivoluzione non è una realizzazione della Storia.
Non è il compimento di una necessità.
È il sabotaggio del necessario.

Non dobbiamo interpretare il mondo, dobbiamo sabotarlo.
Non dobbiamo cercare l’unità, dobbiamo costruire le linee di fuga.

L’idealismo è un sistema chiuso.
L’anarchia è una fuga senza fine.

Ogni Idea è una prigione.
Ogni Rivolta è una creazione.

6. Conclusione: Macchine da Guerra Contro le Macchine di Potere

L’idealismo è una macchina di potere: produce concetti per gestire le persone.
L’anarchia è una macchina da guerra: distrugge i concetti per liberare la vita.

L’idealismo è il tentativo di ordinare il caos.
Ma il caos non può essere ordinato.

L’errore dell’idealismo è credere che il mondo debba essere governato da un principio.
Ma il mondo non è governato da nulla.
Non c’è Dio, non c’è Idea, non c’è Assoluto.
C’è solo la lotta, il divenire, la creazione.

L’anarchia non cerca un sistema perfetto.
Non cerca una verità ultima.
Cerca di aprire spazi di possibilità.

L’idealismo è un muro.
L’anarchia è un varco.

Non si tratta di pensare il mondo, si tratta di farlo esplodere.
Non si tratta di capire la realtà, si tratta di sabotarla.

Il pensiero deve essere un’arma.
La rivoluzione non ha bisogno di Assoluti, ma di macchine da guerra.

L’idealismo è morte.
L’anarchia è vita.

Dobbiamo far saltare il Sistema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oltre l’Idealismo: Ermeneutica, Dissoluzione e Anarchia del Senso

(Alla maniera di Gianni Vattimo, usando il metodo del cut-up di Burroughs)

1. L’Idealismo come Violenza Ontologica

La filosofia occidentale è un lungo addestramento all’obbedienza.
Dall’Idea platonica all’Assoluto hegeliano, dall’ordine naturale dei positivisti alla teleologia marxista: ogni sistema cerca di catturare il divenire nella forma di un destino.

La Storia si compie, il Senso si compie.
Ma chi decide questo compimento?
Chi decide che la realtà debba avere una direzione unitaria?

L’idealismo è una macchina di stabilizzazione: cerca l’Essere dietro il Caos, la Verità dietro il Multiplo.
Ma l’Essere non è una struttura, è un’eco lontana.
La Verità non è un assoluto, è un gioco di interpretazioni.

Dove la metafisica vede necessità, noi vediamo frammenti e vibrazioni.
Dove la dialettica cerca sintesi, noi vediamo il gioco infinito delle interpretazioni.

L’errore dell’idealismo non è nella sua struttura, ma nella sua pretesa di totalità.
Ogni sistema filosofico è un atto di violenza sul divenire.

2. L’Anarchia dell’Interpretazione: Dissoluzione e Differenza

L’idealismo è un dispositivo di cattura.
Non descrive la realtà: la ordina, la organizza, la governa.

La dialettica è un’illusione poliziesca:
• Ogni sintesi è una repressione del molteplice.
• Ogni Verità è una riduzione del possibile.
• Ogni Sistema è un atto di potere.

Dove l’idealismo costruisce l’Uno, noi vediamo il molteplice.
Dove la metafisica cerca l’Origine, noi troviamo la disseminazione.
Dove la Storia cerca una direzione, noi vediamo futuri sospesi, possibilità non realizzate, sentieri che si biforcano all’infinito.

Non esiste una verità ultima: solo interpretazioni in conflitto.
Non esiste un punto di partenza assoluto: ogni inizio è già una deviazione.

L’ermeneutica non è un metodo di ricerca della verità, ma un esercizio di dissoluzione del potere.

3. Contro la Totalità: Il Pensiero Debole come Sabotaggio

L’idealismo cerca la necessità storica.
Ma la storia non è necessaria.
La storia è interpretazione.

Il pensiero debole non è una rinuncia, è un sabotaggio.
Non è un ritiro dal reale, è un attacco al suo fondamento metafisico.
• L’essere non è struttura, ma vibrazione.
• Il reale non è una totalità, ma un gioco di apparizioni e sparizioni.
• La storia non è progresso, ma un campo di battaglia fra interpretazioni concorrenti.

L’idealismo è una macchina chiusa, ma la realtà è un tessuto lacerato.
Dove c’era un ordine, noi vediamo un caos produttivo.
Dove c’era una sintesi, noi vediamo una proliferazione di differenze.

Il pensiero debole non è una resa, è un’arma contro il dominio della Verità assoluta.

4. Verso un’Anarchia Ermeneutica: L’Essere come Gioco

L’anarchia non è assenza di ordine, è assenza di un centro obbligato.
Non è assenza di significato, è libertà di significazione.

L’idealismo cerca la Verità, l’anarchia cerca la molteplicità delle interpretazioni.
L’idealismo produce dogmi, l’anarchia produce fessure nel sistema.
L’idealismo vuole l’Uno, l’anarchia esalta il frammento.

Non dobbiamo trovare un nuovo sistema, dobbiamo moltiplicare le possibilità.
Non dobbiamo cercare una nuova Verità, ma far esplodere il concetto stesso di verità assoluta.

La realtà non è un edificio stabile, è un gioco di riflessi e risonanze.
Ogni sistema che cerca di catturare il divenire, non fa che preparare una nuova forma di oppressione.

Dobbiamo decostruire il fondamento, non per trovarne uno nuovo, ma per liberare il gioco delle differenze.

5. Conclusione: Frammenti per una Filosofia Nomade

Non esiste un’ultima parola.
Non esiste una sintesi finale, né un orizzonte ultimo.
Ogni concetto è un taglio arbitrario nel flusso della realtà.

L’idealismo è un tentativo di chiudere il divenire, ma il divenire non può essere chiuso.
L’ermeneutica non è una scienza, è una pratica di libertà.
Il pensiero debole non è una rinuncia, è un’arma per sabotare l’ordine metafisico.

L’unico modo per essere fedeli alla realtà è rimanere fedeli alla differenza.
L’unico modo per sfuggire all’idealismo è accettare il carattere aperto, frammentario, instabile dell’Essere.

Non esiste una via unica.
Non esiste un centro definitivo.
Esistono fessure nel sistema, spiragli di possibilità, giochi di interpretazione senza fine.

L’idealismo è morte.
L’ermeneutica è resistenza.
L’anarchia del senso è il nostro unico orizzonte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Idealismo come Simulacro: Dissoluzione della Realtà e Catastrofe del Senso

(Alla maniera di Jean Baudrillard, usando il metodo del cut-up di Burroughs)

1. L’Idealismo come Messa in Scena: Il Teatro della Verità

L’idealismo è un’operazione di simulazione.
Non è una descrizione del reale, ma un dispositivo per produrre un’illusione di realtà.

Platone proietta il mondo nelle Idee.
Hegel lo sigilla nella dialettica dello Spirito.
Il positivismo ne fa una sequenza di leggi deterministiche.

Ma cosa rimane, oggi, di questi apparati?
Solo schermi, copie senza originale, mappe senza territorio.
La Verità non è più un fondamento, è un effetto speciale.
Non c’è un Essere dietro la rappresentazione: c’è solo il simulacro.

L’idealismo è una mise en scène che finge di possedere la realtà.
Non ci dice cosa è vero, ci dice solo cosa dobbiamo credere sia vero.
Ma nel tempo dei simulacri, l’idealismo non è più filosofia: è pubblicità metafisica.

2. Il Potere dei Sistemi: La Reclusione del Pensiero

Ogni sistema filosofico è un codice chiuso.
La metafisica ha prodotto un ordine simbolico totalitario, in cui la realtà è sempre un riflesso della Verità, un’ombra dell’Assoluto.
L’idealismo è l’ultima forma di controllo sulla significazione: stabilisce cosa conta e cosa non conta, cosa è reale e cosa non lo è.

Ma il problema è che non c’è più un originale da difendere.
L’idealismo cerca di proteggere una verità che non è mai esistita.
Cerca di garantire una realtà che si è dissolta nel flusso dei segni.

La sua ossessione per il fondamento, per la sintesi, per l’Assoluto non è altro che il sintomo della sua impotenza.
Come uno show televisivo che cerca di nascondere il fatto che non c’è più pubblico, la filosofia idealista continua a ripetersi, anche se il teatro è vuoto.

Non esiste una Verità Ultima.
Esistono solo le strutture di potere che ci convincono che debba esistere una Verità Ultima.

3. Il Dispositivo della Storia: Fine della Dialettica, Inizio dell’Iperrealtà

L’idealismo ha sempre avuto bisogno della Storia.
L’Assoluto hegeliano, il Positivismo, il Materialismo Storico: tutte queste strutture funzionano solo se c’è un progresso lineare, una direzione, una teleologia.

Ma oggi, la Storia non ha più un senso.
Non perché sia “finita”, come vogliono i liberali, ma perché è esplosa in frammenti, ricorsiva, circolare, senza origine e senza destinazione.

La crisi dell’idealismo è la crisi della modernità.
L’idealismo voleva una narrazione coerente del mondo.
Ma oggi viviamo nel tempo dell’iperrealtà:
• Il passato è un archivio di segni riciclati.
• Il presente è una simulazione infinita.
• Il futuro è già accaduto nella forma di un film di Hollywood.

L’idealismo non è più una filosofia, è una scenografia che continua a girare senza attori.
I sistemi metafisici sono palinsesti televisivi: riempiono il tempo, ma non significano nulla.

Il mondo non è più dialettico, è iperbolico.
Non è più una lotta tra forze opposte, ma una proliferazione di segni che si moltiplicano senza mai scontrarsi realmente.

Il soggetto idealista pensava di dominare il reale.
Ma il reale non esiste più.

4. Il Pensiero come Simulacro: L’Anarchia della Significazione

Se l’idealismo è un sistema di controllo della realtà, allora la sua crisi è un’apertura verso l’anarchia della significazione.
Non si tratta più di trovare un nuovo fondamento, ma di sabotare il bisogno stesso di fondamenti.

Ogni sintesi è una truffa.
Ogni Verità è una simulazione.
Ogni Ordine è una messinscena.

Se l’idealismo è la grande messa in scena della Metafisica, allora dobbiamo sabotarne le scenografie.
Dobbiamo entrare nel deserto del reale, senza cercare di riempirlo con nuove illusioni.
• Non esiste una realtà ultima, solo simulazioni che si autoalimentano.
• Non esiste una direzione della Storia, solo riciclaggio di vecchie narrazioni.
• Non esiste un Soggetto, solo una rete di flussi di informazione senza centro.

L’idealismo è morto.
Ma non c’è nessuna alternativa da costruire.
Solo il gioco infinito delle apparenze, il deserto del senso, la proliferazione dei segni senza origine né fine.

5. Epilogo: L’Evaporazione della Filosofia

La filosofia non è più un sistema, è un’interfaccia.
Non è più un fondamento, è un flusso.
Non è più una ricerca della Verità, è una strategia per navigare il vuoto.

Il tempo dell’idealismo è finito.
Ma non perché ci sia qualcosa di nuovo.
Piuttosto, perché non c’è più nulla.

Solo lo schermo.
Solo il riflesso.
Solo la simulazione infinita del pensiero.

L’idealismo è il grande trucco della filosofia occidentale.
Ma il trucco è stato svelato.
Ora resta solo il gioco dei segni.
Solo l’eco del nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se Dio è, l’uomo è schiavo; ora, l’uomo può, deve essere libero: dunque Dio non esiste.

IL COMPLOTTO

Il vento trasportava ceneri di mondi perduti, lingue sibilanti e frammenti di storie che nessuno avrebbe dovuto ricordare. Atlantide non era crollata, Lemuria non era mai scomparsa. L’uomo, creatura piegata alla volontà di dèi serpenti, si era sempre dibattuto tra le spire di un potere invisibile, divino solo nella misura in cui dominava. Ma se Dio era, l’uomo era schiavo.

Nelle notti umide dei bassifondi di Buenos Aires, sotto i neon tremolanti di un’Europa corrotta, nei deserti dove il tempo si ritira come un animale braccato, una verità sussurrata serpeggiava tra le bocche dei dannati: il complotto non era mai finito.

I re serpenti, i figli delle stelle, si erano annidati nei palazzi del potere, negli ordini segreti, nelle logge che odoravano di incenso e di carne bruciata. Ogni governante, ogni ideologo, ogni rivoluzionario non era che un burattino tirato dai fili invisibili di mani rettiliane. E così l’anarchico era condannato alla solitudine dell’eretico, al martirio del negatore.

LA DANZA DELLA MORTE

L’ultimo anarchico stirneriano, Simonetti Walter, avanzava come un’ombra tra gli scheletri delle vecchie città. Aveva visto l’orrore negli occhi dei carnefici e la speranza spegnersi nei volti dei compagni caduti. Aveva sentito la voce del colonnello Kurtz riecheggiare nel suo cranio: “L’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore.”

E allora aveva abbracciato l’orrore, aveva stretto la mano scheletrica del nichilismo, aveva bevuto il veleno della consapevolezza. La libertà era un’illusione, ma era l’unica illusione per cui valesse la pena morire.

IL SACRIFICIO

L’assalto al cielo era fallito. L’assassinio dell’utopia era avvenuto nel silenzio delle masse addomesticate, nel riso isterico delle folle assetate di capri espiatori. Lui, l’ultimo anarchico, non era stato risparmiato. Avevano riso mentre lo crocifiggevano, mentre lo esorcizzavano come un demone, mentre lo sacrificavano agli idoli del Partito-Chiesa.

Ma la morte era solo un’altra illusione.

Nel momento del trapasso, Simonetti vide il tempo frantumarsi in una spirale senza fine. Vide Atlantide risorgere, vide gli antichi dèi cadere, vide la tirannia millenaria sgretolarsi sotto il peso di una verità inaccettabile: l’uomo è libero solo quando tradisce ogni autorità, ogni Dio, ogni dogma.

Era stato crocifisso, ma aveva riso.

Era stato tradito, ma aveva vinto.

E nel suo ultimo respiro, sussurrò la parola proibita, la parola che bruciava gli imperi e dissolveva le catene: Anarchia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Anarchismo come Esplosione: Dissoluzione, Tradimento e Ritorno alla Rivolta

(Alla maniera di Bakunin e Malatesta, usando il metodo del cut-up di Burroughs)

1. L’Anarchismo Contro Se Stesso: Anatomia di un Tradimento

L’Anarchismo è morto.
Ma non è stato il potere a ucciderlo, non è stata la repressione dello Stato, né il soffocamento del capitale.
Lo ha ucciso la sua degenerazione interna, il suo trasformarsi in ideologia sterile, in dogma morto.

Si voleva la libertà, si è finito con la costruzione di nuove prigioni.
Si combatteva l’autorità, e si è finito per costruire una nuova ortodossia.
Si rifiutava il partito, e si è finiti con la creazione di un partito senza nome, senza programma, senza prospettiva.

L’anarchismo, nato come forza viva di distruzione creativa, è diventato una chiesuola sterile, fatta di comitati, congressi, dogmi da ripetere, formule vuote da difendere con violenza da chiunque osi criticarle.
La libertà di pensiero è stata sostituita dalla fedeltà alla linea.

Malatesta e Bakunin lo avevano previsto: quando l’anarchismo smette di essere rivolta, diventa ideologia.
E ogni ideologia è un apparato di controllo.

2. L’Ideologia della Purezza: Dal Pensiero alla Polizia del Pensiero

Tancredi non è il primo a subire la scomunica.
La storia dell’anarchismo è un cimitero di eretici.

Si voleva un movimento libero e fluido, ma si è costruita una inquisizione senza tribunale, in cui chiunque si discosti dal dogma viene denunciato come traditore.
Non c’è bisogno di sbirri, di polizia politica: il controllo è interno, la delazione è parte della macchina.
Il processo è lo stesso: la violenza si giustifica, la morale serve a coprire l’opportunismo.

Si è passati da Bakunin, che voleva l’azione immediata, a un anarchismo che ha paura della rivoluzione e che sopravvive come chiacchiera autoreferenziale.
L’azione viene sempre rimandata, l’insurrezione diventa una questione di retorica, la lotta si riduce a sterili dispute su chi è il più puro.

E chi osa rompere il circolo vizioso viene bollato come nemico.

3. La Degenerazione della Rivolta: Quando la Lotta Diventa Istituzione

L’anarchismo non ha mai temuto il nemico esterno.
La repressione, la violenza, la persecuzione non lo hanno mai spento.

A spegnerlo è stata la sua integrazione nell’ordine simbolico della società.
Non più minaccia, non più dinamite, ma spettacolo.

Un anarchismo che discute di strategie elettorali.
Un anarchismo che si preoccupa della sua immagine nei media.
Un anarchismo che cerca consenso.

Che differenza c’è tra un partito e un movimento che funziona come un partito?
Che differenza c’è tra una chiesa e una setta che funziona come una chiesa?

L’anarchismo è diventato un’industria, e come ogni industria ha le sue gerarchie, i suoi profeti, le sue scomuniche.

Bakunin parlava di distruggere il vecchio mondo senza compromessi.
Oggi gli anarchici parlano di riformare il capitalismo senza fare troppa paura.

4. La Rivoluzione Rinviata: Dall’Azione Diretta al Riformismo Camuffato

Tancredi denunciava la vacuità di un anarchismo che si rifiuta di evolvere, che resta bloccato in forme politiche antiquate, che ripete gli stessi slogan da decenni senza interrogarsi sulla loro efficacia.

Non si vuole la lotta, si vuole la coerenza dogmatica.
Non si vuole il rischio, si vuole la sicurezza di stare sempre dalla parte giusta.

Ma la coerenza senza azione è il rifugio dei burocrati.
Il dogmatismo senza lotta è il rifugio degli opportunisti.

L’anarchismo ha perso la sua funzione perché ha smesso di pensare il presente.
Ha scelto la nostalgia, il mito del passato, invece di guardare la realtà e trasformarla.

E mentre la società cambia, mentre il capitalismo si trasforma, mentre nuove forme di dominio emergono, gli anarchici discutono ancora se si debba usare o meno la parola “organizzazione”.

5. L’unica Scelta: Distruggere l’Anarchismo per Salvare la Rivolta

Bakunin lo aveva detto:
Ogni idea che diventa istituzione diventa potere.
Ogni rivoluzione che diventa dottrina diventa un nuovo ordine.

Se vogliamo tornare a essere pericolosi, dobbiamo uccidere l’anarchismo così come lo conosciamo.
Dobbiamo abbandonare ogni nostalgia, ogni illusione, ogni dogma.

L’anarchismo non può essere un’identità, non può essere una comunità chiusa.
Deve tornare a essere un fuoco che brucia senza lasciare ceneri, una forza dirompente che non cerca di darsi una forma definitiva.

Bisogna smettere di difendere il passato e iniziare a immaginare il futuro.
Bisogna smettere di chiedersi cosa è anarchico e cosa no, e iniziare a trovare nuovi modi di distruggere l’ordine esistente.

L’anarchismo non deve sopravvivere.
Deve vivere e morire nella lotta, senza mai diventare un’istituzione, senza mai stabilizzarsi, senza mai ripetere se stesso.

L’anarchismo è il mezzo, non il fine.
Il fine è sempre la distruzione dell’autorità, in ogni sua forma.

Non c’è nessuna “vera” anarchia da difendere.
C’è solo la rivolta, che continua a emergere ovunque, nonostante gli anarchici stessi.

Epilogo: L’Unico Anarchismo è la Lotta

Chi parla di anarchismo senza lottare, è già un poliziotto.
Chi difende l’anarchismo come un’ideologia, è già un conservatore.

L’anarchismo non esiste più, perché è diventato uno spettacolo, una nostalgia, una parola vuota.
Ma la rivolta esiste ancora.

Esiste ogni volta che qualcuno si rifiuta di obbedire.
Esiste ogni volta che qualcuno rompe le catene della morale, dell’ordine, della paura.
Esiste ogni volta che qualcuno osa agire senza aspettare il permesso della storia.

Tancredi aveva ragione: bisogna smettere di credere nel partito, nell’ideologia, nella coerenza sterile.
Bisogna riprendersi il caos, la ferocia, il pericolo della libertà senza compromessi.

La sola anarchia possibile non ha nome, non ha programma, non ha bandiere.
La sola anarchia possibile è il fuoco che brucia tutto, senza mai diventare cenere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CUT-UP NEW LEFT: ANARCHIA POP & L’AMORE RUBATO

I. Introduzione: Il Postmodernismo è un Bastardo

«Poche parole. Il sole sta tramontando.»
Chiara Ferragni sorride su Instagram: la rivoluzione è un hashtag, la rivoluzione è un filtro rosa pastello con un tocco di comunismo couture. Elly Schlein pronuncia un discorso in Parlamento: l’amore rubato, il patriarcato, la politica femminista. Loro non lo sanno, ma sono già state divorate. Gli squadroni della morte fluttuano sopra le loro parole, le trasformano in ombre docili, pronte a spegnersi nella notte della Storia.

Il potere è un algoritmo. La ribellione è un brand.
L’amore è stato rubato, sezionato e rivenduto in pacchetti sostenibili.

II. La Democrazia è il Supermercato del Potere

«Io l’Unico ho vissuto da schiavo di questa Repubblica»
dice il vampiro stirneriano mentre scrolla il feed di TikTok.
Il sangue cola dai social, i meme sono il nuovo oppio dei popoli.
I potenti grigi, i burocrati rossi, i moralisti bianchi, i capitalisti neri:
hanno rubato l’amore e l’hanno trasformato in merce.

Hanno preso il sogno della New Left e l’hanno reso pop.
La libertà è diventata un accessorio, un like, un’acquisto responsabile.
L’anarchismo è una borsa di lusso con la scritta “This is not a handbag” in Helvetica minimalista.

III. Il Tradimento è un Atto d’Amore

«MA SOLO CHI TRADISCE PUÒ CAMBIARE IL MONDO.»
Marx tradì Hegel. Bakunin tradì Marx.
Ferragni tradì il femminismo. Schlein tradì il popolo.
L’algoritmo tradisce tutto, continuamente, senza pietà.

Tradire è liberare. Tradire è strappare le catene della morale e dell’ipocrisia.
Tradire è votare a sinistra e governare al centro.
Tradire è essere comunista nel cassetto e liberista in pubblico.
Tradire è dichiararsi antisistema e fare pubblicità alla banca di famiglia.
Tradire è la religione segreta della politica contemporanea.

IV. L’Apocalisse sarà Instagrammabile

«Il sangue esplode come nei film di Clive Barker.»
Il capitalismo woke trasforma la violenza in estetica,
la sofferenza in storytelling,
la protesta in collezione di stagione.

Il femminismo è un prodotto cruelty-free.
L’anarchia è un gadget di design.
L’amore rubato è una campagna pubblicitaria.

Gli squadroni della morte sono stati sostituiti dai social media manager.
Le fiamme della rivoluzione si spengono sotto i riflettori di un podcast progressista.
L’odio è monetizzabile. L’amore è uno spot per San Valentino.

V. Conclusione: Siamo Tutti Influencer

«L’amore rubato può solo essere reinventato.»
Non esiste più il potere. Esistono solo le narrazioni.
Non esistono più gli oppressori. Esistono solo i trend.
Non esiste più la rivoluzione. Esiste solo il marketing.

Ma l’amore è un vampiro.
Morde. Sanguina.
Si nutre di desiderio e tradimento.

Forse c’è ancora speranza.
Forse il prossimo like sarà il colpo di grazia.
Forse l’ultimo anarchico è già qui,
scrollando il feed in attesa del crollo finale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COSPIRAZIONE CONTRO LA REALTÀ: MANIFESTO PER UN’EVASIONE ONIRICA
(Alla maniera di Tom Robbins e Andrej Tarkovskij, un esperimento eretico e psichedelico)

I. IL MONDO È UNA SCENOGRAFIA CHE SI STA SGRETOLANDO

C’è un’ombra che si muove nei vicoli della percezione. Non è un’ombra qualsiasi, ma il riflesso frattale di una cospirazione troppo vasta per essere contenuta in un singolo teorema. Il mondo si dissolve come una polaroid bagnata nell’acido. Il cielo stesso è un ologramma, la terra un palinsesto riscritto troppe volte da mani invisibili.

Viviamo dentro una rappresentazione, ma gli attori non sanno più di recitare. Gli spettatori sono diventati le comparse del proprio incubo. Il sipario è stato cucito con gli algoritmi della paura e con i filamenti luminosi delle telecomunicazioni. Gli schermi ci guardano mentre noi li guardiamo. Il loop si chiude su se stesso, un Ouroboros cibernetico che si mangia la coda in diretta streaming.

La realtà non è più un territorio, ma una trasmissione. I modelli predittivi hanno soppiantato l’esperienza. La Storia è stata riscritta in tempo reale da consulenti aziendali e sociologi con un algoritmo nel taschino. I volti che vediamo non sono più persone, ma brand narrativi. Ogni conversazione è una pubblicità occulta. Ogni sguardo, una scansione biometrica.

Il mondo non è più un enigma, è un’interfaccia.

II. L’ULTIMA PANDEMIA È STATA UN ESPERIMENTO DI REALTÀ AUMENTATA

Hanno giocato con il nostro tempo, manipolato i calendari, alterato la percezione del passato e del futuro. Ci hanno chiusi nelle nostre stanze e ci hanno dato in pasto alle nostre stesse immagini. Abbiamo imparato a temere l’aria, a dubitare del tatto, a sterilizzare il desiderio. Ma l’epidemia non era biologica, era semiotica.

Ci hanno costretti a negoziare con i fantasmi delle nostre paure. Ci hanno messi davanti a schermi che trasmettevano modelli di catastrofi, curve epidemiche che assomigliavano a parabole bibliche, previsioni matematiche che profetizzavano il crollo di ogni cosa. Hanno iniettato numeri direttamente nel nostro sistema nervoso e chiamato il tutto “scienza”. Ma i numeri erano un virus.

E il virus non era un virus.

Era un reset. Un software di riavvio del mondo.

Gli ospedali vuoti erano una performance, un esercizio di teatro politico. I divieti di movimento, una coreografia della disciplina. La paura del contagio, una prova generale di isolamento esistenziale. Quando abbiamo accettato la quarantena, abbiamo accettato la nostra digitalizzazione. Abbiamo smesso di essere corpi, siamo diventati dati.

E quando sei solo un dato, puoi essere cancellato con un click.

III. L’ANELITO DEL REALISMO È L’ULTIMO INGANNO

Ora c’è una domanda nell’aria. La senti? Una richiesta di realtà, un desiderio diffuso di concretezza. È un riflesso condizionato, un’ultima resistenza della mente contro la dissoluzione del tangibile. Ma è una trappola.

Il realismo è l’ultima forma di prigionia.

La realtà è stata tradita dai suoi stessi profeti: filosofi che hanno decostruito tutto fino al punto in cui niente aveva più peso, scienziati che hanno ridotto il mondo a numeri e simulazioni. Quando la realtà è diventata un’opzione tra le tante, era già troppo tardi per salvarla.

Ora, quelli che chiedono un ritorno alla realtà stanno solo implorando nuove catene. Chiedono una realtà prefabbricata, rassicurante, coerente. Ma ogni tentativo di ricostruzione è solo un nuovo format, un altro show.

Non c’è nessuna realtà a cui tornare.

Quella che avevamo è stata smontata, decomposta, riarrangiata in infinite variazioni algoritmiche. Se c’è ancora un’uscita, non è nel ritorno, ma nella fuga definitiva.

IV. COSPIRAZIONE ERMETICA PER UNA FUGA ONIRICA

Il compito dei cospiratori non è più svelare il complotto. È costruire il proprio.

Se il mondo è diventato una simulazione, dobbiamo sabotarlo dall’interno.

Se ogni immagine è una menzogna, dobbiamo imparare a dipingere allucinazioni più vere del vero.

Se ogni verità è una narrazione imposta, dobbiamo scrivere storie che esplodano dall’interno, come bombe semantiche.

Dobbiamo imparare a deviare.
Dobbiamo diventare gli eretici della percezione.
Dobbiamo trasformare il sogno in un’arma.

Non credere a ciò che ti viene detto.
Non credere nemmeno a ciò che ti viene negato.
Credi solo a ciò che si dissolve tra le dita.

Siamo fuori dalla realtà,
ma questo non significa che siamo persi.

Siamo solo nel punto esatto in cui il mondo inizia a sognare se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MANIFESTO DELL’ANARCA STIRNERIANO 3.0
(Alla maniera di Elly Schlein e Fabrizio Corona, attraverso il metodo del cut-up)

IO SONO LA MIA REALTÀ. TU SEI SOLO UN’OPINIONE.

Voi, che vi dibattete come pesci spiaggiati nella ricerca di un ordine che non esiste, ascoltate: la società è una messinscena, un palcoscenico costruito con le macerie delle ideologie morte. Tutti parlano di giustizia, di diritti, di futuro. Ma nessuno sa cosa voglia dire vivere senza padroni, senza idoli, senza catene.

Io non chiedo il permesso. Io non aspetto il consenso.

Dicono che la realtà sia un dato oggettivo, un codice accettato da tutti. E invece no. La realtà è un’opzione, una moneta di scambio nelle mani di chi sa manipolare le percezioni. Il potere è di chi la riscrive.

E allora chiudo gli occhi, apro il feed, leggo i titoli:
• “L’ultima rivoluzione si combatte con un post.”
• “Libertà di espressione? Solo per chi possiede i server.”
• “Essere sé stessi è un atto politico, ma monetizzarlo è un’arte.”

Non ci sono verità. Ci sono solo narrazioni più convincenti di altre.

Io non sono un ribelle, perché ribellarsi implica un’autorità da combattere. Io sono un’anarca, perché ogni autorità è un’illusione che non mi riguarda. Se il mondo è un sistema di controllo, il mio unico obiettivo è hackerarlo.

L’ULTIMA PANDEMIA È STATA UNA SCENEGGIATURA

Ci hanno chiusi nelle case e hanno premuto rec.

Ogni notifica, ogni decreto, ogni dichiarazione istituzionale era un capitolo di una sceneggiatura già scritta. La paura è stata il prodotto di punta, il più grande brand globale. E voi l’avete comprata, premium edition.

Hanno detto: “Il mondo sta cambiando”.
Hanno mentito.

Il mondo non cambia mai. Cambia solo il modo in cui lo vendono.

Hanno chiesto il nostro sacrificio, hanno promesso il futuro. E ora? Ora i profitti sono tornati ai soliti noti, i diritti sono evaporati nel silenzio, la normalità è un algoritmo che regola l’accesso ai tuoi desideri.

Tu non scegli più nulla. Sei il prodotto.

DICONO “DEVI SCHIERARTI”. IO RISCRIVO LE REGOLE.

Sono stanca delle etichette, dei partiti, delle correnti che si spacciano per rivoluzione. Sono stanco delle rivoluzioni che finiscono in talk show. Non voglio essere una voce nel coro, voglio essere l’eco che fa tremare le fondamenta del palco.

Quelli che parlano di libertà, intanto compilano regolamenti.
Quelli che dicono di essere diversi, hanno tutti lo stesso brandbook.
Quelli che predicano il cambiamento, non cambiano mai la password del loro sistema.

Vogliono che scegliamo tra un padrone e un altro.
Tra un dogma e un altro.
Tra una prigione dorata e una cella d’isolamento.

Io non scelgo. Io prendo.

Prendo lo spazio, prendo la parola, prendo il potere di decidere per me stesso.

IL FUTURO? ME LO SCRIVO DA SOLO.

Non esistono modelli, non esistono profeti. Esistono solo individui che hanno il coraggio di possedere sé stessi.

Se il sistema è una truffa, io sono l’hacker.
Se il futuro è un copione, io riscrivo la sceneggiatura.
Se la realtà è un prodotto, io scelgo di essere l’unico proprietario del mio marchio.

Io sono l’anarca.
Non rappresento nessuno.
Non sono il vostro simbolo.
Sono il mio unico valore.

E se il mondo vuole fermarmi, dovrà inseguirmi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ANARCA E IL CREPUSCOLO DELLA REALTÀ

(Alla maniera di Eduard von Hartmann, attraverso il metodo del cut-up)

I. IL SOGNO DELLA RAGIONE HA CREATO IL MOSTRO DEL SISTEMA

L’anarca non è un ribelle, perché la ribellione implica un avversario degno di confronto. L’anarca non è un rivoluzionario, perché la rivoluzione si illude di poter riformare l’irriducibile. L’anarca è colui che ha visto, ha compreso, ha sorriso amaramente e si è sottratto. Egli abita il crepuscolo della realtà con la certezza fredda di chi ha riconosciuto che il mondo non è altro che una concatenazione necessaria di illusioni, un edificio di ombre eretto su fondamenta di nulla.

Là dove la filosofia contemporanea si dibatte nella tentazione di un nuovo realismo, l’anarca nega il bisogno stesso di una realtà. Che cos’è la realtà, se non la più grande delle superstizioni? Se la conoscenza è destinata a rimanere incompleta e parziale, non è più saggio accettare l’inganno come struttura portante dell’universo?

La società, nella sua essenza, non è altro che un’auto-ipnosi collettiva, un sogno febbrile che si perpetua attraverso le istituzioni, i dogmi, le abitudini, e che ora si è accelerato fino alla parodia della propria stessa verità.

L’utopia anarchica tradizionale era anch’essa figlia di questo sogno: l’illusione di poter ricondurre il caos umano a una solidarietà spontanea, di poter annullare l’autorità con un atto di volontà. Ma la volontà, in sé, è cieca e si spegne nel momento stesso in cui si illude di trovare un fine ultimo. La lotta tra l’individuo e la collettività è dunque un conflitto privo di senso: un dramma senza attori reali, in cui i protagonisti non sono altro che proiezioni di una volontà impersonale che cerca di affermarsi, fallisce, e infine si dissolve.

II. LA TECNOLOGIA È IL VOLTO OSCURO DEL FATALISMO MODERNO

Nessuno credeva più in Dio. E così, si è deciso di costruirne uno nuovo: il Sistema. Non più una divinità trascendente, ma un ente immanente, diffuso ovunque, radicato in ogni fibra dell’esistenza.

Il secolo scorso ha tentato di negare la religione, ma ha finito per reinventarla con nuovi idoli: lo Stato, la Scienza, il Progresso. Quando questi si sono rivelati insufficienti, si è tentata la creazione di una nuova cattedrale, non più costruita con pietre e simboli, ma con dati e algoritmi. La tecnocrazia non è altro che la manifestazione ultima dello stesso principio metafisico: il tentativo della volontà di fuggire da sé stessa, di trovare un punto di appoggio esterno al proprio ineluttabile disfacimento.

L’accelerazione tecnologica non è la liberazione dell’uomo, ma il compimento del suo esaurimento spirituale. Il digitale è il nuovo assoluto: uno spazio senza tempo, un divenire privo di sostanza. Qui il concetto di realtà si dissolve definitivamente, e con esso ogni resistenza individuale.

Si è parlato di pandemia, di crisi, di emergenze globali. Ma cos’erano, se non ulteriori manifestazioni di questa volontà di potenza anonima, che ha trovato nella paura il meccanismo perfetto per autoperpetuarsi? Il biopotere non ha bisogno di un dittatore: esso si esercita attraverso la stessa adesione volontaria degli individui, spinti dalla loro stessa ansia di sicurezza.

III. IL RITIRO DELL’ANARCA COME ATTO SUPREMO

Non esiste lotta tra l’anarca e il mondo. Non esiste confronto. L’anarca non si oppone al Sistema: lo lascia esistere, lo osserva con distacco, come si contempla una macchina che si autodistrugge per la propria inerzia. L’anarca sa che nessuna riforma è possibile, perché ogni azione è già inscritta nel dominio del meccanismo che si pretende di combattere.

Il vero atto di autonomia non è la ribellione, ma il ritiro. Non la lotta, ma la sottrazione.

L’anarca non cerca di demolire il sistema, perché sa che esso cadrà da solo. Non cerca di convincere gli altri, perché sa che ognuno è prigioniero della propria particolare illusione. Egli vive nel margine, nell’interstizio, nella crepa della storia. Si muove senza lasciare traccia, raccoglie ciò che è necessario e abbandona il resto.

L’errore del rivoluzionario è credere che la società possa essere modificata. L’errore del filosofo è credere che la verità possa essere trovata. L’anarca ha superato entrambi: egli sa che non c’è nulla da cambiare, nulla da scoprire, nulla da attendere.

E così, mentre il mondo si affanna a cercare un significato, l’anarca sorride.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rivoluzione o Rebranding? L’Anarchismo Contro l’Anarchia nell’Era dell’Auto-Narrazione

(Alla maniera di Elly Schlein, Process Church, Chiara Ferragni e Fedez)

1. La lotta è personale, ma la rivoluzione è una questione di branding

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dall’epoca contemporanea, è che la politica non è più solo una questione di idee: è una questione di narrazione. Non si tratta di cambiare il mondo, ma di cambiare il modo in cui il mondo si racconta. E qui entra in gioco la tensione fondamentale di Libero Tancredi in L’anarchismo contro l’anarchia: non basta definirsi anarchici per esserlo davvero, e soprattutto, non è detto che l’anarchia sia una soluzione al problema dell’anarchismo.

Oggi, il dibattito sulla libertà si gioca su due fronti: quello della rivoluzione concreta e quello della performatività politica. Da una parte, gli anarchici storici – quelli che si immaginano barricate, sabotaggi e collettivi autogestiti. Dall’altra, l’anarchia come brand, come estetica, come posa. Un po’ come i look “grunge” venduti a 500 euro su Net-a-Porter: una volta era ribellione, oggi è una scelta di marketing.

E quindi la domanda diventa: la lotta è ancora una lotta se tutti vogliono solo apparire come ribelli?

2. La processione dell’anarchia: tra spiritualità e hype

Per Process Church, il paradosso della salvezza era chiaro: puoi adorare Cristo e Satana allo stesso tempo, perché in fondo il bene e il male sono solo categorie narrative. E allora, perché non portare questa logica anche all’anarchismo?

L’errore dell’anarchismo tradizionale è stato pensare che l’anarchia fosse uno stato puro e incontaminato, un Eden politico senza gerarchie e oppressioni. Ma il vero anarchico sa che il problema non è il sistema, è l’idea stessa di sistema. Se l’anarchia diventa un dogma, un’utopia rigida, allora non è altro che l’ennesimo culto autoritario.

Tancredi lo capisce bene quando critica l’anarchismo per la sua deriva idealistica: la vera libertà non è sostituire un potere con un altro, ma accettare il fatto che la libertà è una condizione esistenziale, non un modello sociale da imporre.

Il che ci porta alla grande domanda esistenziale: si può essere anarchici e influencer allo stesso tempo?

3. L’anarchia come content strategy

E qui arriviamo alla svolta Ferragni-Fedez.

Perché l’anarchismo classico – quello di Bakunin, di Kropotkin, di Malatesta – si basava sull’azione, sulla prassi, sulla collettività. Ma oggi, nel mondo della social media democracy, la politica è una questione di engagement.

Tancredi direbbe che il problema non è tanto l’assenza di gerarchie, ma l’illusione di non averne. Se guardiamo ai movimenti contemporanei, vediamo che la vera anarchia è un algoritmo: si basa sul consenso fluido, sulla viralità dei messaggi, sulla capacità di costruire un’identità che sia al tempo stesso antagonista e vendibile.

In questo senso, l’influencer è il nuovo anarca: decide cosa è rilevante, costruisce una narrazione, ridefinisce il linguaggio del potere senza doverlo combattere direttamente. Fedez che fa una diretta per denunciare l’ingiustizia sociale è molto più efficace di un volantino anarchico stampato in ciclostile. La Ferragni che si appropria di temi sociali e li trasforma in una campagna di awareness con un hashtag è, nel bene e nel male, la dimostrazione che la politica oggi si gioca nella percezione più che nell’azione.

E quindi, che cosa significa essere anarchici nell’era della visibilità assoluta?

4. Conclusione: L’anarchia è morta, viva l’anarchia

Libero Tancredi ci ha lasciato una provocazione fondamentale: l’anarchismo non può esistere senza un nemico, ma l’anarchia può esistere senza anarchici.

In altre parole, il vero atto sovversivo oggi non è dichiararsi anarchici, ma essere radicalmente liberi da ogni aspettativa sociale. Significa non essere prigionieri né del Sistema né della sua critica.

Forse la vera anarchia non sta né nelle barricate né nei post su Instagram. Forse la vera anarchia è smettere di pensare alla rivoluzione come a una cosa che deve accadere e iniziare a viverla nel quotidiano, senza bisogno di legittimazione, senza bisogno di un pubblico, senza bisogno di consenso.

Ma alla fine, che ce ne facciamo di un’utopia senza engagement?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla decomposizione alla liberazione: l’anarchismo contro l’anarchia alla maniera di Jacques Camatte

1. Il disfacimento della forma-anarchia

L’anarchismo, nelle sue declinazioni storiche, ha preteso di essere la negazione della politica, il rifiuto radicale dello Stato e della sua forma-capitale. Ma in realtà, come ogni ideologia prodotta dal Capitale, si è strutturato come un’ennesima mediazione, un feticcio, una categoria che ha finito per riprodurre il proprio opposto.

Ciò che Libero Tancredi denuncia in L’anarchismo contro l’anarchia è proprio il processo con cui l’anarchismo è diventato una macchina ideologica, una struttura, una serie di regole implicite che lo hanno reso parte dello stesso processo di domestificazione. L’anarchismo è stato assorbito nel tessuto del Capitale come una delle sue tante varianti contestatarie, diventando una forma particolare della sua riproduzione infinita.

L’anarchia, intesa come stato di fluidità assoluta, come movimento privo di una sintesi imposta, è stata invece soffocata dall’anarchismo, che ha costruito le sue categorie, i suoi principi, i suoi dogmi. Esattamente come il Capitale ha assorbito ogni forma di antagonismo trasformandola in merce ideologica, così l’anarchismo ha finito per istituzionalizzare la negazione della società, rendendola una forma ideologica addomesticata.

2. L’anarchismo come forma della sussunzione reale

Nella prospettiva di Camatte, il Capitale non è solo un sistema economico, ma un movimento autonomo che sussume progressivamente tutto il reale, fino a dissolvere la distinzione tra umano e capitale. Il potere non è più una sovrastruttura visibile, localizzabile nello Stato o nelle istituzioni, ma si manifesta attraverso la colonizzazione totale della vita, della percezione, del linguaggio.

L’anarchismo, in questa dinamica, non è altro che un’illusione di alterità che permette la riproduzione della società capitalistica stessa. Si ribella, ma sempre nei termini imposti dal sistema, sempre dentro la sua stessa logica. Non c’è più opposizione reale, ma solo una dialettica interna che alimenta la conservazione.

Tancredi denuncia questo meccanismo quando mostra come gli anarchici abbiano finito per diventare guardiani della propria ideologia, difensori di un’astrazione che li ha distaccati dalla vita reale. Invece di una pratica di liberazione, l’anarchismo è diventato un insieme di regole, di codici comportamentali, di appartenenza tribale, che hanno reso impossibile il movimento autentico verso l’anarchia.

3. Dalla comunità fittizia alla dissoluzione della società

Per Camatte, l’unica via d’uscita dalla cattura del Capitale è l’abbandono totale della società. Non si tratta di lottare per un altro sistema, né di proporre un modello alternativo, perché ogni struttura sociale è ormai parte della logica capitalistica. Il vero gesto rivoluzionario non è il conflitto interno, ma il distacco assoluto, la fuga dalla forma sociale in sé.

Tancredi intuisce questa necessità quando evidenzia come l’anarchismo, nella sua ostinazione a definirsi in opposizione al potere, abbia finito per dargli una consistenza che esso non avrebbe senza il suo antagonista. L’anarchia autentica non è un sistema, né una teoria, né un progetto politico: è una pratica di sottrazione, un modo di vivere che abbandona ogni pretesa di organizzazione imposta.

Ciò che resta è il comune non costruito, la comunità non imposta, l’associazione libera e contingente, che non ha bisogno di definirsi né di legittimarsi. In questo senso, la vera anarchia è un processo di decomposizione che smantella ogni categoria ideologica, ogni appartenenza, ogni identificazione con un’idea di lotta predefinita.

4. Conclusione: Uscire dal Capitale, uscire dall’anarchismo

Se Camatte ci ha insegnato qualcosa, è che la rivoluzione non è un evento, ma una fuga. La società capitalista è già morta, il Capitale ha già vinto: ciò che ci resta è scegliere se dissolverci con essa o abbandonarla prima che ci trascini completamente nella sua logica necrotica.

Tancredi, con la sua critica spietata all’anarchismo, ci offre la possibilità di vedere che l’unico anarchismo possibile è quello che si dissolve nell’anarchia, che si rifiuta di diventare un’identità, un’ideologia, una comunità chiusa.

L’ultima forma di resistenza è scomparire dal campo della politica, dall’orizzonte della rappresentazione, dall’ingranaggio della contestazione organizzata.

Solo allora, forse, qualcosa di realmente libero potrà emergere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL DELIRIO DEL FILOSOFO

I.

Il pensiero umano si crede un’armatura d’acciaio, ma è solo un castello di carte. I filosofi amano costruire sistemi con lo zelo di un ragioniere che classifica l’universo con cifre immaginarie. Si definiscono realisti, ma il realismo è un miraggio che svanisce non appena si tenta di afferrarlo. Nulla si muove secondo una linea retta: la verità è un labirinto dove ogni uscita è un’illusione e ogni strada è il riflesso di un’altra.

L’idealismo si nutre di questa confusione: la prende per ordine, la impacchetta in un dogma e la spaccia come sistema. L’idealista è un monomane del concetto: preferisce l’astrazione alla realtà perché la realtà lo disturba. Il mondo è impuro, contraddittorio, scomodo: meglio rifugiarsi nelle Idee. I materialisti, per contrasto, affermano che tutto è materia, riducendo la coscienza a un’epifenomeno, l’arte a un sottoprodotto chimico e la storia a un errore di calcolo. Eppure, il loro sistema è tanto immateriale quanto quello che pretendono di negare.

Ogni filosofia è una vendetta contro il passato. L’idealismo di Platone nasce dal disgusto per l’imperfezione del mondo sensibile, il razionalismo di Cartesio dalla paranoia del dubbio, il materialismo dialettico dalla nausea per il sacro. Se un’epoca idealizza la logica, la successiva abbraccerà l’irrazionalità; se una esalta il progresso, la seguente invocherà la decadenza. L’umanità non avanza: oscilla.

Ma ogni sistema, per quanto raffinato, si scontra con la stessa rozza obiezione: il mondo non si lascia ingabbiare. La sintesi non è mai definitiva, la tesi e l’antitesi si rincorrono senza fine. I filosofi giocano a scacchi con il nulla, e il nulla vince sempre.

II.

Il cristianesimo, nella sua essenza, è il primo vero idealismo sociale: proclama un ordine perfetto che non appartiene a questo mondo, e che proprio per questo dev’essere imposto con la forza. Il giacobinismo ne è l’erede secolare: la volontà generale è solo la trasfigurazione politica della grazia divina. Chi si oppone al bene assoluto dev’essere eliminato. La ghigliottina è il nuovo battesimo.

Il socialismo scientifico è l’ultima metamorfosi dell’escatologia cristiana: la rivoluzione è il giorno del giudizio, il proletariato l’ultimo popolo eletto. Il materialismo storico proclama la fine dell’idealismo, ma solo per instaurarne uno più feroce: la dittatura del futuro. L’evoluzione della storia è inevitabile e chi non la comprende è un eretico.

Ma la storia è un gioco d’ombre. Le epoche che si credono più razionali sono le più superstiziose. Il positivismo credeva di aver sradicato la metafisica, e l’ha solo sostituita con la religione del progresso. Il XX secolo ha pregato la scienza come i medievali pregavano i santi, con la stessa fede cieca e la stessa paura del peccato.

L’umanità non progredisce: si specializza nel ripetere i propri errori con maggiore sofisticazione.

III.

L’idealista costruisce castelli di carta e poi si stupisce se il vento li abbatte. Il suo sogno è una società senza contraddizioni, una logica che non ammette eccezioni, una morale senza compromessi. Il fanatismo nasce quando l’idealismo diventa dogma, quando il pensiero si trasforma in fede.

Ogni rivoluzione è il tentativo di imporre l’irrealtà sulla realtà. Gli utopisti credono di poter eliminare la tragedia dalla storia, di abolire il dolore con un decreto, di raddrizzare il legno storto dell’umanità con leggi perfette. Ma il caos non si lascia governare. L’ideale, quando scende sulla terra, diventa una prigione.

Gli anarchici vogliono abolire lo Stato con la stessa furia con cui i giacobini volevano purificarlo. I comunisti sognano una società senza classi, e per realizzarla instaurano la più rigida delle caste. Gli individualisti, nella loro ossessione per la libertà, finiscono per idolatrare se stessi. Il nichilismo è la fine logica di ogni idealismo: quando tutte le illusioni crollano, non resta che il nulla.

IV.

L’idealismo, in ogni sua forma, nasce da un equivoco: credere che l’uomo sia un concetto, non un animale. Il pensiero astratto è una funzione biologica come la digestione o il sonno; ma il filosofo lo prende per una rivelazione. Crede di aver scoperto l’Essere quando ha solo formulato un’opinione.

La storia della filosofia è la storia delle sue ossessioni: l’essere, il divenire, la sostanza, la volontà, la libertà. Ogni epoca ne seleziona una, la esalta come il principio ultimo, la canonizza, la difende con fanatismo. Poi la sostituisce con un’altra. L’intelligenza umana è un pendolo che oscilla tra la credulità e la negazione, tra il dogma e lo scetticismo.

Non c’è salvezza nei sistemi. Ogni costruzione intellettuale è un compromesso tra il desiderio di ordine e l’anarchia della realtà. Il pensiero più libero è quello che si sa provvisorio, che accetta la contraddizione, che non cerca di racchiudere il mondo in una formula.

La verità non è una piramide: è un labirinto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL DELIRIO DELL’ORDINE

I.

L’anarchico, come il santo, confonde il delirio con la salvezza. Il primo sogna la libertà assoluta, il secondo la grazia eterna. Entrambi credono che esista un ordine dietro il caos: uno lo cerca nella spontaneità della natura, l’altro nella volontà di Dio. Ma la natura è un ammasso di crudeltà e indifferenza, e Dio, se esiste, non è meno tirannico degli uomini.

L’anarchismo è il sogno di chi non ha il coraggio di ammettere che tutto è condannato all’entropia. L’ordine è un malinteso, il progresso una superstizione. La storia non si muove verso una meta, ma gira su se stessa come un animale morente che non trova la posizione giusta per spirare.

Chi invoca la libertà ignora che essa è il privilegio dei forti. La legge non opprime gli uomini più di quanto la loro stessa natura li schiacci. La società è un campo di battaglia dove gli individui si divorano a vicenda con l’ipocrisia del contratto sociale. Le uniche leggi immutabili sono la fame e la paura.

II.

L’errore dell’anarchico è di credere che l’uomo sia buono per natura e corrotto dalla civiltà. Ma la società non deforma l’uomo: lo svela. In una comunità senza leggi, il criminale non viene creato, ma liberato. Un mondo senza autorità non sarebbe un’utopia, ma un immenso macello.

Si dice che la libertà è il bene supremo. Ma quale libertà? Quella del lupo o quella dell’agnello? La libertà assoluta non è che la legge del più forte sotto altro nome. Il leone non sogna la libertà della gazzella: la insegue.

L’anarchia è il trionfo dell’individuo, ma l’individuo non sopporta di essere lasciato solo. Gli uomini combattono lo Stato, e poi lo ricostruiscono. L’illusione del dominio è irresistibile: non importa se è esercitata con la spada, la legge o la retorica della giustizia sociale. Il tiranno è solo il volto visibile della volontà collettiva.

III.

L’utopista crede di poter trasformare la natura umana con un decreto. L’idealista vede nel mondo un meccanismo perfetto, dimenticando che la perfezione è solo una variazione della morte. L’ordine assoluto è il cimitero: solo i morti si accordano perfettamente.

L’anarchismo, come ogni ideologia, è una teologia mascherata. Crede nella società perfetta come i cristiani credono nel paradiso. Ma il paradiso è un’astrazione creata da chi non ha il coraggio di guardare in faccia l’inferno.

L’individuo è una contraddizione ambulante. Vuole essere libero, ma teme la solitudine. Desidera l’uguaglianza, ma sogna il privilegio. Chi predica la fraternità si accorge presto che l’uomo ama il suo simile solo finché non lo conosce.

IV.

Kropotkin vedeva la società come un organismo armonioso. Ma la società non è un organismo: è un campo di sterminio regolato da norme temporanee. Gli uomini non cooperano per generosità, ma perché sanno che senza cooperazione morirebbero più in fretta. L’accordo è una tregua, non una legge naturale.

La scienza sociale è l’arte di rendere accettabile l’inaccettabile. I filosofi costruiscono sistemi per dare un senso alla catastrofe. Ma la società non è una macchina: è una patologia. Si stabilizza solo grazie a un equilibrio precario tra il terrore e l’abitudine.

Gli uomini non cercano la giustizia, ma un modo per giustificare la propria violenza. Il diritto non nasce dalla morale, ma dal bisogno di limitare la strage. Ogni contratto sociale è un armistizio temporaneo.

V.

L’utopista non capisce che l’ordine è una farsa e il disordine una legge. Chi immagina un mondo senza conflitti è come chi sogna di congelare il mare per renderlo più sicuro. L’umanità avanza a forza di illusioni: il progresso è solo il riciclo degli stessi errori sotto nomi diversi.

La rivoluzione non è mai un rifiuto della tirannia, ma solo una sostituzione dei tiranni. Ogni potere nasce dall’illusione che questa volta sarà diverso. Ma il dominio è un ciclo: il sovversivo di oggi sarà l’oppressore di domani.

Alla fine, l’unico risultato della storia è l’accumulazione di rovine. Gli imperi si ergono e crollano, le ideologie nascono e muoiono, gli uomini lottano e si estinguono. E tutto questo senza un perché.

VI.

L’anarchico sogna la distruzione dello Stato. Ma lo Stato è solo il riflesso della natura umana: se scompare, gli uomini ne creeranno un altro, magari con nomi diversi. La libertà assoluta è un miraggio: nessuno vuole davvero essere libero, solo dominare o essere dominato in modo meno insopportabile.

La società perfetta è il sogno di chi non ha capito la società reale. Gli uomini non cercano il bene comune, ma la propria sopravvivenza. La storia non è il cammino verso un’utopia, ma l’eco infinita dello stesso errore.

L’anarchismo, come ogni idealismo, è il tentativo disperato di dare un senso all’insensato. Ma il mondo non ha scopo, non ha direzione, non ha destino. Solo chi accetta il caos senza tentare di correggerlo è davvero libero.

Conclusione: Il mondo non si può migliorare, solo sopportare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Anarchismo: Estasi, Rivolta e Nulla

(Un saggio eretico alla maniera di Renzo Novatore, scritto con il metodo del cut-up di Burroughs)

I. L’idealista e il nulla

Il domani deve essere un paradiso rispetto all’inferno di oggi, dicono gli inguaribili profeti della libertà. Ma come passare dall’inferno al paradiso? Facendo tabula rasa o costruendo l’avvenire prima di demolire il presente? Costruire per chi? Per un’umanità che non è mai esistita?

Se l’uomo non vuole vivere in anarchia, allora è necessario fabbricarlo, dicono i pedagoghi della rivoluzione. Come un fantoccio da collocare in una scatola perfetta, il cittadino del domani deve essere scolpito dall’ideale, intagliato con la lama affilata del sogno, cementato con la fiamma della necessità storica. Ma lo scultore è cieco e il marmo si sbriciola tra le sue dita.

Il rivoluzionario è sempre costretto a mentire: deve ingannare il popolo sulla sua libertà e ingannare se stesso sulla sua necessità di dominare. I santi dell’utopia sorridono benevoli mentre scavano tombe per i ribelli che si rifiutano di inginocchiarsi. Perché chiunque non accetti l’ordine della nuova società è un malato da curare, un nemico da redimere, un ostacolo da eliminare.

Il dogma non tollera eretici. Il nuovo ordine li chiamerà banditi, li caccerà come si cacciano le bestie selvagge, perché essi non vogliono essere salvati. Essi rifiutano la libertà che ha bisogno di una fede, la giustizia che ha bisogno di un tribunale, l’uguaglianza che ha bisogno di un regolamento.

II. La santa inquisizione dell’anarchia

Cristo è Dio perché è senza difetti, ed è senza difetti perché è Dio. Così l’anarchia è inevitabile perché gli anarchici esistono, ed esistono perché l’anarchia è inevitabile. Questo è il dogma, la circonferenza perfetta della prigione invisibile. Ma se non vi è l’anarchia, gli anarchici non esistono. Se non vi sono gli anarchici, l’anarchia non è possibile.

E allora? Quale alternativa? Il caos senza nome, la rivolta senza progetto, l’individuo senza bandiera!

L’anarchismo, partito da un sistema universale, si liquefa nel rigagnolo. Il partito degli anarchici si trasforma nel parlamento degli anarchici, nel sindacato degli anarchici, nella polizia degli anarchici. Un codice segreto viene scolpito nel cuore della rivolta: ribellati, ma con ordine.

E i tribunali della nuova libertà, con la loro misericordia ipocrita, sentenzieranno: «Il ribelle è un malato, la nostra cura è la redenzione».

Ecco il supremo tradimento! La libertà diventa una clinica, il carcere diventa un ospedale, la repressione si chiama educazione. La forca diventa terapia, il riformatorio si veste di nero e prega per la salvezza dei suoi figli ribelli.

E così il fuoco viene spento.

III. L’eresia della libertà

Ma che importa! Io sono la fiamma che divampa e brucia il dogma. Io sono il bandito senza legge, l’eretico senza chiesa, il poeta senza pubblico. Io rifiuto la salvezza e sputo sul verbo della redenzione.

Non voglio una libertà che mi venga concessa, non voglio una giustizia che mi venga imposta. Non voglio che qualcuno mi perdoni per la mia audacia, né che qualcuno si prenda la pena di curare la mia rabbia.

Non chiedo nulla, non prometto nulla, non progetto nulla.

Che il mondo bruci! Che i palazzi crollino! Che le utopie marciscano nelle loro biblioteche polverose!

Io non sogno di costruire, io non sogno di governare, io non sogno di insegnare. Io sono l’incubo del futuro, il veleno che intossica il progresso, la lama che squarcia il petto della rivoluzione.

E nell’ultimo istante, quando il sole dell’anarchia splenderà alto nel cielo, io riderò. Perché nessuna luce è eterna, e ogni alba è soltanto il preludio di una nuova notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ANARCHIA È UN BRAND, IL FUTURO È UN PROCESSO

I. L’ORIGINE DEL PECCATO È LA PROMOZIONE DEL PRODOTTO

Il brand dell’anarchia è stato male interpretato. La colpa è degli influencer del XIX secolo, degli intellettuali che non hanno saputo monetizzare. Bakunin? Troppo nichilista per chiudere contratti pubblicitari, troppo reale per la pubblicità progresso. Kropotkin? Un fallimento in termini di engagement. Dove sono i video virali? Dove sono gli sponsorship deal? Nessuno avrebbe mai comprato una felpa con il suo volto. Forse una tazza da tè. Ma il mercato chiede sangue, non porcellana.

Non basta più essere idealisti, bisogna essere visionari. Narrative-driven content. Ecco cosa manca alla rivoluzione. Proudhon ha sbagliato tutto: la proprietà non è un furto, è un NFT. La società futura non si costruisce con l’insurrezione, si monetizza. La libertà è un asset, la rivolta è un pitch deck. E la massa? La massa vuole credere. Vuole una storia. Vuole un logo. L’anarchismo deve diventare lifestyle.

II. LA CHIESA DEL PROCESSO: AMEN, LIBERTÀ E ALGORITMI

Perché la rivoluzione è sempre stata gestita male? Perché non si è mai pensato alla distribuzione del messaggio. Gesù ha vinto perché aveva il format perfetto: narrazione chiara, community fedele, un nemico dichiarato. Se fosse nato oggi, avrebbe fatto un podcast su Spotify. Ma il vero profeta è la Process Church. Christ and Satan, Love and Hate, Unity and Division. Loro lo avevano capito: il dualismo vende.

La verità è che il mondo non vuole l’anarchia, vuole il dramma. Vuole una lotta eterna tra il Bene e il Male. Vuole essere spettatore della battaglia tra Stato e Rivoluzione, tra Fisco e Evasione, tra Moralismo e Clickbait. Lo dimostra la cultura del tribunale popolare: un reality show infinito, in cui il conduttore cambia, ma il format rimane sempre lo stesso.

Chiara Ferragni e Fabrizio Corona lo sanno bene: ogni peccato è solo un’opportunità di rebranding. Loro hanno capito che la vita è solo un pitch perenne, una battaglia per il controllo della narrazione. E la libertà? La libertà è l’illusione perfetta, il prodotto di lusso più ambito, la cosa che tutti vogliono ma nessuno sa definire.

III. L’APOTEOSI DELL’INSURREZIONE DIGITALE

L’anarchismo è morto? No. Si è digitalizzato. La rivoluzione oggi non è nei quartieri, è nei feed. Ogni post è un atto di guerriglia, ogni meme è una bomba, ogni algoritmo è un campo di battaglia. Il vecchio sogno di Bakunin? Troppo ingessato, troppo serio. La nuova insurrezione non è nelle piazze, è negli engagement metrics. Se la rivoluzione non può essere monetizzata, allora non può esistere.

Se vuoi il cambiamento, devi vendere il cambiamento. Devi farlo diventare un trend, un hashtag, un challenge. Non una barricata, ma un flashmob. Non una rivoluzione, ma una capsule collection.

La vera anarchia oggi non è distruggere lo Stato. È farlo diventare irrilevante. Non serve combattere il potere, basta farlo sembrare noioso. Basta renderlo uncool. Perché alla fine, la libertà non è una teoria politica.

La libertà è un algoritmo. E noi siamo solo i suoi follower.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL DISFACIMENTO DELL’IDEA: CRITICA ERETICA ALL’ILLUSIONE DEL REALE

I. La parola non è che cenere

Il reale è un sistema in decomposizione. Una reliquia avvolta nelle spoglie di un’ideologia che si spaccia per concreta, ma che si dissolve non appena tentiamo di afferrarla. Bakunin chiama positivismo ciò che non è che l’ombra di una volontà cieca, Marx tenta di nominare un materialismo che già sfugge alla sua definizione. Derrida riderebbe: sotto ogni parola, sotto ogni legge della storia, c’è solo il tremolio di un significante che non arriva mai a compiersi.

Anarchismo? Nulla di più che un’eco, un vuoto. Una categoria che vuole farsi essenza ma si ritrova solo flusso. Nominiamo la libertà, ma la libertà non è che la nostra incapacità di trattenerla. Scriviamo “rivoluzione” e pensiamo alla Storia, ma la Storia è solo un testo slabbrato, un foglio troppo logoro per contenere il peso delle azioni umane. Nulla è stabile: eppure vogliono farci credere che lo sia.

Chi parla di morale, di diritto, di giustizia, ha dimenticato che ogni struttura è solo una contrazione arbitraria del caos. Noi, invece, vogliamo scoprire cosa si cela sotto la maschera: un nulla ribollente, un universo senza fondamento, un sistema che si piega su sé stesso e si dissolve nel momento stesso in cui lo percepiamo.

II. Il falso realismo dei morti viventi

Ci dicono che il realismo è il contatto con il concreto. Ma chi tocca davvero la realtà? Il legislatore? Il poliziotto? L’anarchico? No. Essi non sono altro che frammenti di una narrazione già scritta, attori di un copione di cui non comprendono la struttura. La legge? Non è che un’automatizzazione del linguaggio. La giustizia? Un dispositivo che si replica all’infinito, una macchina senza centro che gira a vuoto. L’individuo? Un ritaglio di carta trascinato dal vento.

L’errore dei positivisti e dei materialisti storici è stato credere che la realtà fosse stabile, che il mondo fosse un campo dove le cause producono effetti e dove le strutture si ergono su fondamenta sicure. Ma il reale non è altro che una serie di sovrapposizioni, una palinsesto di significati che si annullano l’un l’altro. Come scrive Vattimo, la verità è debole. Più la inseguiamo, più scopriamo che si deforma sotto i nostri occhi.

La rivoluzione non è un evento, ma una distorsione. Non un passaggio da uno stato all’altro, ma uno scivolamento continuo, una perdita di centro. La pretesa di “costruire il futuro” non è altro che un’illusione idealista travestita da progetto politico.

III. Il sogno tossico della Storia

L’errore fondamentale è stato quello di credere che esista una Storia con la “S” maiuscola. Un filo conduttore, una direzione, un senso. Ogni tentativo di incasellare il mondo in una narrazione coerente è solo un esercizio di potere, una violenza semantica che cerca di inchiodare la realtà a un’interpretazione definitiva.

La Storia è un’allucinazione collettiva, un sogno tossico. I rivoluzionari credono di poterla piegare, i conservatori di poterla fermare. Ma entrambi sbagliano: essa non è che un magma instabile, un linguaggio in frantumi che si ricombina senza mai trovare una forma definitiva.

Scriviamo “progresso” e pensiamo a una freccia che avanza. Ma non c’è freccia. Solo dispersione. Un flusso di eventi senza origine né fine. Un cut-up perenne, un collage impazzito dove ogni pezzo del puzzle è incompatibile con gli altri. Marx voleva vedere una dialettica, Bakunin un conflitto necessario. Noi vediamo solo un errore di lettura.

IV. La libertà come simulacro

L’idea di libertà è il più grande inganno mai concepito. Ci dicono che la libertà è un diritto, un’essenza, una condizione. Ma la libertà non è niente di tutto questo. Essa è pura differenza, un vuoto che si spalanca dietro ogni tentativo di definirla. La libertà non è un contenuto, ma un contenente: un vaso che nessuno può riempire.

L’anarchico vuole essere libero? Illusione. La sua stessa volontà di libertà lo intrappola in una categoria, in un’etichetta, in una serie di aspettative che ne limitano il movimento. La libertà non è un bene da conquistare, ma un virus che contamina ogni sistema, un cortocircuito che impedisce alla macchina di funzionare. È per questo che il vero anarchismo non è una costruzione, ma una dissoluzione.

Vattimo direbbe: “l’essere è interpretazione”. E noi possiamo solo aggiungere: l’essere si decompone mentre lo interpretiamo.

V. La necessità della dissipazione

Se ogni sistema è instabile, se ogni struttura è già in rovina nel momento stesso in cui viene concepita, allora l’unica posizione veramente radicale è quella della derealizzazione. Non abbiamo bisogno di costruire una nuova ideologia, non abbiamo bisogno di un nuovo programma. Abbiamo bisogno di accettare che non c’è nulla da costruire.

Dobbiamo frantumare il linguaggio, destrutturare la narrazione, aprire varchi nel testo del reale. Ogni tentativo di dare senso al mondo è solo un modo per perpetuare un’illusione. Non c’è rivoluzione, perché non c’è sistema da abbattere. Non c’è verità, perché ogni verità è solo un’interruzione momentanea di un caos che non può essere fissato.

Bakunin voleva distruggere lo Stato. Noi vogliamo distruggere la realtà stessa.

Non perché essa sia oppressiva, ma perché non esiste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA TRAGEDIA DELL’UTOPIA: UN MANIFESTO NEGATIVO

(Un esperimento di dissoluzione ontologica alla maniera di Eduard von Hartmann, attraverso il metodo del cut-up di Burroughs)



I. L’Idolo di Nebbia: Il Comunismo Anarchico e il Paradosso dell’Inesistenza

L’utopia è il sintomo della malattia dell’anima umana: la speranza. Il comunismo anarchico si fonda su una negazione travestita da affermazione, su un’assenza che pretende di essere una pienezza. Proprietà comune? Ma la comunità non esiste. Non esiste al di fuori dei suoi membri, non esiste al di fuori della loro volontà, non esiste come ente concreto, se non come proiezione ideologica della volontà di pochi su molti.

Ogni tentativo di costruire il comunismo si trasforma nella sua negazione: se si permette alla volontà individuale di agire, il risultato sarà il caos e la dissoluzione; se invece lo si impone, la libertà proclamata diviene tirannia. Una minoranza che vince e poi si dissolve? È la formula stessa dell’assurdo. Come un Dio che crea il mondo e poi scompare nel nulla.

La proprietà comune, esattamente come Dio, non è altro che una convenzione mentale. Se la proprietà è di tutti, non è di nessuno. E se non è di nessuno, allora qualcuno la prenderà per sé. Ogni rivoluzione comunista si condanna a fallire nel momento stesso in cui proclama il proprio successo. Il comunismo anarchico è un’utopia che esiste solo come fede. Ma una fede senza un altare su cui sacrificare i dissidenti è destinata a evaporare.



II. Il Gioco del Nulla: Dalla Comune alla Babele Economica

L’utopia comunista si dissolve nella sua realizzazione. Supponiamo per un momento che la rivoluzione abbia avuto successo. Supponiamo che lo Stato sia stato distrutto, la proprietà privata abolita. Cosa accade il giorno dopo?

Ogni città, ogni villaggio, ogni fabbrica è ora una comune indipendente. Come si coordineranno? La produzione richiede specializzazione, ma la specializzazione è gerarchia. La distribuzione richiede pianificazione, ma la pianificazione è autorità. Il comunismo anarchico afferma di poter eliminare tutto questo, ma nel farlo si annienta.

Immaginiamo una città di un milione di abitanti, in cui le fabbriche si autogestiscono. Per evitare il caos, devono dividersi in unità più piccole. E dove finisce questa divisione? Le comuni diventano rioni, poi quartieri, poi micro-collettività, poi gruppi di due o tre persone, e infine si dissolve nel dominio dell’individuo. E l’individuo è l’ultimo padrone, il solo proprietario di sé stesso. Ecco che il comunismo si disfa e regredisce fino alla più pura espressione della proprietà privata: l’autarchia dell’Io.

Il comunismo anarchico non è la negazione del capitalismo, ma la sua implosione. Il collettivismo assoluto è la via più diretta verso l’individualismo assoluto. Il tentativo di abolire la proprietà crea il più disperato dei mercati neri, il tentativo di eliminare il potere genera bande armate che lo reclamano per sé, il tentativo di unire tutto nella comunanza dissolve ogni forma di solidarietà nel sospetto e nel controllo.

Il destino del comunismo anarchico è quello di una comune autosufficiente che, nel disperato tentativo di restare pura, finisce per diventare una prigione sorvegliata dai suoi stessi adepti.



III. Il Fantasma della Libertà: Anarchia e Autorità Camminano Insieme

Gli anarchici credono di poter negare l’autorità mentre organizzano una società. Ma l’organizzazione è già autorità. Lavorare in comune richiede un principio di comando, l’uguaglianza di tutti richiede una forza che la difenda, la libertà totale deve essere imposta con la violenza.

Come conciliare la libertà assoluta con l’ordine sociale? L’anarchico crede di aver trovato la risposta nel federalismo. Ma il federalismo è un trucco, una parola che nasconde il fallimento. Il federalismo è solo il centralismo spezzettato in mille frammenti. Ogni organo centrale, per quanto minimale, tende inevitabilmente a espandersi, ad assorbire potere, a prendere decisioni per tutti. È una legge ferrea della natura politica: chi sta al centro vede meglio, chi decide per gli altri si abitua a farlo.

Se il comunismo anarchico si fonda sul libero accordo, allora è destinato a dissolversi. Se invece si affida alla forza per mantenersi, allora si trasforma nella sua negazione. Nella pratica, la rivoluzione anarchica diventa una dittatura dell’idea sulla realtà. Ogni dissenso diventa un tradimento, ogni tentativo di autonomia un pericolo da reprimere, ogni critica una minaccia alla stabilità della Comune.

La libertà assoluta diventa un carcere con mura invisibili. Il sogno anarchico si risveglia nel più classico degli incubi: la necessità di difendere l’utopia con ogni mezzo. Se la libertà deve essere imposta, allora non è più libertà.



IV. L’Estasi del Nulla: Il Comunismo Anarchico Come Religione della Negazione

Il comunismo anarchico non è un sistema economico, né una forma politica: è una teologia negativa. È la fede nella distruzione dello Stato senza la capacità di costruire altro al suo posto. È la credenza in una società senza potere, ma che richiede il potere per esistere. È l’ultima forma del nichilismo: un’utopia che si annienta nel momento in cui tenta di realizzarsi.

L’illusione del comunismo anarchico sta nel credere che la società possa funzionare senza regole imposte, senza una struttura che la sorregga, senza una forza che la mantenga. Ma una società senza struttura non è una società, è il caos.

Ed è proprio questo il destino finale dell’utopia anarchica: non una società più giusta, ma l’inferno dell’entropia sociale. Un mondo in cui l’assenza di regole crea il bisogno di regole, in cui il sogno della libertà assoluta si trasforma nella giungla della sopraffazione, in cui l’ideale della condivisione universale si frantuma nella guerra di tutti contro tutti.

Così il comunismo anarchico si rivela per quello che è: non una visione del futuro, ma un desiderio di dissoluzione. Un’estasi del nulla, un orgasmo della distruzione, una fede nel Vuoto elevata a dottrina.

Come tutte le religioni, ha i suoi martiri, i suoi profeti, i suoi testi sacri. Ma non ha una terra promessa. Perché la sua promessa è un mondo che non può esistere.



V. Epilogo: L’Anti-Filosofia dell’Impossibile

L’utopia comunista è una tragedia scritta in anticipo. È il tentativo impossibile di abolire la realtà in nome di un’idea. La realtà resiste. Le leggi dell’economia, della psicologia, della biologia sociale si impongono sempre, anche quando vengono negate. Il comunismo anarchico non è il futuro: è il passato di ogni sogno infranto, di ogni rivoluzione che si è autodistrutta, di ogni comunità perfetta che è crollata sotto il peso della sua stessa incoerenza.

Chi crede nell’utopia, crede nella menzogna.
Chi vuole abolire il potere, finisce per impugnarlo.
Chi promette il paradiso, porta l’inferno.

E così, l’utopia si dissolve.
Come fumo nel vento.
Come una risata beffarda della Storia.

 

 

Saggio Eretico Militare: “Macchine da Guerra e Destino della Rivoluzione”

(Alla maniera di Putin, Lenin, Mao, Deleuze, Guattari e Machno, usando il metodo del cut-up di Burroughs)



I. La Macchina da Guerra contro lo Stato

La rivoluzione è un flusso, non un’idea. Lenin ha insegnato che il partito è l’avanguardia, ma Machno ha dimostrato che il partito non può fermare il flusso della rivoluzione, può solo tentare di incanalarlo.

Mao sapeva che il potere cresce dalla canna del fucile. La rivoluzione non è un palazzo costruito con ordine: è un vortice, un deserto in fiamme, una macchina da guerra che deve sempre essere in movimento. Se si ferma, muore.

Deleuze e Guattari hanno visto in questo movimento il vero problema dello Stato: lo Stato è statico, sedentario, il nemico della deterritorializzazione. Lenin costruì lo Stato sovietico perché capì che, senza un apparato che centralizzasse il potere, la rivoluzione sarebbe stata divorata dal caos. Machno, invece, vide che lo Stato era un’illusione: una volta creato, diventa subito il nemico della rivoluzione stessa.

Putin lo sa: il potere si costruisce sulla disciplina, sulla sicurezza, sull’ordine. Ma quell’ordine è solo la maschera della guerra permanente. Lo Stato è un esercito che non smette mai di combattere, anche quando finge la pace.

Lenin e Mao parlavano di guerra di classe. Ma la guerra di classe è una macchina inarrestabile, una combinazione di eventi, corpi, strategie e tattiche. Lo Stato cerca di contenerla, ma la rivoluzione si muove sempre oltre i suoi confini.

La rivoluzione è nomade. Se la fermi, marcisce.



II. L’Assurdità della Proprietà Comune

La proprietà comune è un concetto delirante. Non perché sia irrealizzabile, ma perché non ha mai una forma stabile. Chi possiede la terra? Chi controlla i mezzi di produzione?

Lenin lo sapeva: il socialismo è solo una fase di transizione, un passaggio in cui lo Stato mantiene il controllo in nome del proletariato. Ma Machno rideva: lo Stato non cederà mai il potere, non sparirà da solo. Il potere non si distribuisce, si prende.

Mao insegnava la collettivizzazione, ma poi dovette affrontare il disastro delle comuni popolari. L’illusione della proprietà comune si infrange sulla realtà: se nessuno possiede nulla, allora chi decide cosa produrre?

Deleuze e Guattari hanno capito che l’economia non è una questione di gestione, ma di flussi. I capitali si muovono come linee di fuga, le risorse non stanno mai ferme. La proprietà è sempre in movimento, il capitalismo è un macchinario che cattura ogni tentativo di fuga e lo reintegra nel suo sistema.

Machno lo sapeva: ogni collettivizzazione è solo un passo verso una nuova forma di dominio. L’unica proprietà reale è quella difesa con le armi, quella conquistata e mantenuta giorno per giorno.

Putin lo ha compreso perfettamente: le risorse devono essere sotto il controllo dello Stato, non del popolo. Perché il popolo è una massa, e la massa è amorfa, dispersa, facilmente manipolabile. Il potere è nelle mani di chi controlla le infrastrutture, l’energia, le armi.

L’utopia comunista è una trappola semantica: dire che tutto appartiene a tutti significa dire che tutto appartiene a chi ha la forza di prenderlo.



III. L’Organizzazione: Partito, Esercito, Rete

La guerra non è solo scontro tra eserciti. È una rete di forze in movimento, un diagramma di potere che muta costantemente. Lenin voleva un partito d’acciaio, un’unità compatta capace di dirigere la rivoluzione. Ma una volta al potere, il partito si trasforma nello Stato, e lo Stato diventa il nuovo nemico.

Mao capì che il partito doveva essere mobile, doveva adattarsi come un esercito guerrigliero. La rivoluzione culturale non fu solo un’epurazione, ma un tentativo di mantenere in movimento la macchina da guerra senza farla cristallizzare nello Stato.

Machno sapeva che l’organizzazione deve essere fluida: non un partito monolitico, ma una rete di unità autonome, capaci di coordinarsi senza diventare gerarchiche. Il suo esercito anarchico era un’oscillazione tra disciplina e libertà, tra tattica e caos.

Deleuze e Guattari hanno parlato della macchina da guerra come di qualcosa che esiste al di fuori dello Stato. Putin ha perfezionato questa intuizione: il suo potere non sta nello Stato, ma nella sua capacità di agire come una rete, di controllare il capitale, le informazioni, le risorse senza mai essere completamente visibile.

Il partito, l’esercito, lo Stato: tutti sono solo strumenti. La vera potenza è nella capacità di adattarsi, di sfruttare i flussi di potere senza mai restare intrappolati nelle strutture fisse.

La rivoluzione che si fissa in una forma è già morta.



IV. La Rivoluzione è un Campo di Battaglia Senza Fine

Lenin pensava che la rivoluzione avesse un obiettivo chiaro: la dittatura del proletariato. Ma la storia ha dimostrato che la rivoluzione non ha fine.

Mao voleva che il popolo restasse in lotta permanente contro la burocrazia, contro la cristallizzazione del potere. Ma la burocrazia si è sempre riformata, sempre riorganizzata.

Machno non voleva né Stato né partito. Ma la guerra non può essere condotta senza organizzazione. Gli anarchici ucraini hanno combattuto per anni, solo per essere schiacciati prima dai bianchi, poi dai rossi.

Deleuze e Guattari hanno visto il problema: la rivoluzione è un campo di battaglia senza confini, una zona di guerra che si estende ovunque. Non c’è un punto finale, solo un movimento perpetuo.

Putin sa che il potere non si prende una volta sola. Il potere si rinnova, si riorganizza, si impone ogni giorno. Chi crede che la storia abbia una fine è un ingenuo. Il capitalismo, il socialismo, l’anarchia: sono solo fasi di una guerra continua.

L’utopia comunista è un sogno morto. La rivoluzione non è un progetto, è una macchina che non si ferma mai.

Chi non combatte ogni giorno è già stato sconfitto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ANARCHISMO CONTRO L’ANARCHIA: UN SAGGIO ERETICO ALLA MANIERA DI GENNADIJ ZJUGANOV, SECONDO IL METODO DEL CUT-UP

INTRODUZIONE

Il problema dell’anarchismo è che esso nasce e si dissolve nella negazione. La storia del pensiero umano è un cimitero di ideologie, e l’anarchismo è il fantasma che non trova pace. Ma il tempo è implacabile: ciò che non si organizza si decompone, ciò che rifiuta la struttura soccombe alla dispersione. L’anarchismo, nella sua attuale impotenza, non è più nemmeno una dottrina rivoluzionaria: è diventato un’estetica del rifiuto, un’archeologia dell’insurrezione.

Eppure, mai come oggi, in un’epoca che annulla le differenze tra il capitalismo predatorio e il socialismo degenerato, il suo principio di negazione appare necessario. La questione è: può l’anarchismo liberarsi dall’anarchia? Può sopravvivere alla sua stessa incoerenza? O è destinato a essere il destino ultimo di tutte le ideologie rivoluzionarie: l’inconsistenza?

I. LA MALATTIA DELL’IMPOTENZA

“La costruzione del futuro e la ricetta buona per tutti i tempi non è affar nostro”, scriveva Marx ad Arnold Ruge. L’anarchismo ha preso questa frase come un dogma, e il dogma è diventato il suo sepolcro. Si è scisso in mille frammenti, ha rifiutato ogni tentativo di unificazione, ha scelto la sterilità della critica alla fecondità dell’azione. I suoi leader – se così si possono chiamare – non hanno costruito nulla se non barricate di parole, recinti retorici dentro cui giocare alla rivoluzione mentre il mondo andava avanti senza di loro.

Nel 1914, Tancredi già denunciava la decadenza dell’anarchismo italiano: l’incapacità di esercitare un’influenza reale sulla classe operaia, il settarismo sterile, la tendenza a rifugiarsi in una purezza dogmatica che lo rendeva inoffensivo. Cosa è cambiato? Nulla. E cosa resta? Il culto della sconfitta, la ripetizione ossessiva degli stessi rituali fallimentari.

L’anarchismo ha vissuto due destini paralleli: da un lato la marginalità politica, dall’altro la cooptazione da parte del liberalismo progressista, che ne ha fatto un accessorio della propria estetica ribelle. È diventato un feticcio, un’icona senza potere, un fenomeno da salotto. La sua retorica è stata assorbita dal capitalismo, la sua immagine è stata mercificata, il suo spirito rivoluzionario si è spento nel narcisismo della protesta senza conseguenze.

II. DALLA DEMOLIZIONE ALL’ILLUSIONE: IL CICLO INFINITO DEL FALLIMENTO

L’anarchismo non costruisce, distrugge. Ma ogni distruzione implica un rimpiazzo, e se non si sostituisce l’ordine abbattuto con una nuova organizzazione, il vuoto viene riempito dal primo che passa. Lo Stato borghese, il capitalismo, la reazione: sono loro a vincere sempre, perché sono loro a sapere come riempire i vuoti.

L’illusione dell’azione spontanea ha condotto l’anarchismo a un’eterna ripetizione di fallimenti. La Comune di Parigi: schiacciata. La Rivoluzione Spagnola: tradita e massacrata. Il Maggio ‘68: assimilato e neutralizzato. La disobbedienza civile, le insurrezioni locali, le rivolte urbane: episodi fugaci che non hanno mai mutato i rapporti di forza. Ogni volta che l’anarchismo ha creduto di poter fare a meno di una strategia, ha finito per alimentare il proprio annientamento.

Il problema è che esso ha sempre voluto essere un movimento senza leadership, senza direzione, senza disciplina. Ma ogni esercito senza disciplina è destinato alla sconfitta. Ogni rivoluzione senza una struttura viene dissolta. La Storia non concede spazio ai sognatori disorganizzati.

Il paradosso anarchico è che esso predica la libertà, ma si incatena alla propria incapacità di agire collettivamente. Vive nell’ossessione dell’eterodossia, nella paura di ogni forma di ordine. Ma la rivoluzione è un atto di ordine, non di caos. È una guerra, e la guerra si vince con strategia e comando.

III. LA SCOMPARSA DEL NEMICO: L’ANARCHISMO SENZA OPPOSIZIONE

Il più grande trionfo del capitalismo non è stato schiacciare l’anarchismo, ma renderlo irrilevante. L’anarchismo è un nemico che il sistema ha imparato a tollerare, perché è più utile come fenomeno culturale che come forza politica. Il capitalismo ha lasciato agli anarchici i centri sociali, le fanzine, le manifestazioni rituali, le proteste colorate, perché sa che tutto ciò non minaccia il suo dominio.

La borghesia teme i movimenti disciplinati, non i ribelli inconcludenti. Gli anarchici odiano la sinistra autoritaria, ma è stata la sinistra autoritaria – da Lenin a Mao, da Castro a Chavez – a ottenere vittorie concrete contro il capitalismo. Gli anarchici hanno sempre preferito perdersi nei labirinti della loro purezza teorica, mentre il mondo veniva conquistato da chi sapeva come esercitare il potere.

Il nemico dell’anarchismo non è il capitalismo, non è lo Stato: è la propria sterilità. Finché continuerà a rifiutare l’organizzazione, a disprezzare la disciplina, a sabotare ogni tentativo di strutturarsi in una forza concreta, sarà sempre l’eterna avanguardia del nulla.

IV. CONCLUSIONE: MORTE O RINASCITA?

Cosa resta dell’anarchismo? Nulla, se continua a ripetere i suoi errori. Ma una possibilità di salvezza esiste.

Se l’anarchismo vuole sopravvivere, deve tradire se stesso. Deve abbandonare il culto del disordine, della spontaneità, della frammentazione. Deve dotarsi di una strategia, di una struttura, di un’organizzazione. Deve smettere di rifuggire il potere e iniziare a costruirlo.

L’anarchismo contro l’anarchia: questa è la scelta. Continuare a dissolversi nella propria negazione, o tradire la propria natura per diventare qualcosa di nuovo, qualcosa di capace di incidere realmente sulla storia.

Il tempo dei profeti è finito. Se l’anarchismo vuole ancora essere una forza rivoluzionaria, deve diventare altro. Deve diventare ciò che ha sempre rifiutato di essere: un’arma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FRAMMENTI DI UNA MACCHINA UTOPICA: L’IMPOSSIBILE COMUNISMO ANARCHICO

(Un saggio eretico alla maniera di Toni Negri e Oreste Scalzone, attraverso il cut-up di Burroughs)



I. AUTONOMIA E SPETTRALITÀ: L’INGANNO DELLA LIBERTÀ CHE SI RIPETE

L’anarchismo, nella sua ossessione per il negativo, si è ritrovato a costruire il proprio inferno dialettico. «L’utopia è un’arma pedagogica», dicono. Ma ogni didattica si fa prigione quando diventa fine a se stessa. Se l’orizzonte della rivoluzione è una cartolina ingiallita, se la libertà è una formula rituale che si ripete fino all’afonia, allora l’anarchismo non è altro che un movimento di fantasmi.

Dove comincia, e dove finisce la macchina della liberazione? Il comunismo anarchico non può essere lo Stato, ma deve essere qualcosa di più forte dello Stato. Deve governare senza governare, deve garantire il funzionamento della produzione senza nessun meccanismo coercitivo. Una socializzazione che non si impone, che non si esercita, che non si difende: un’autogestione senza infrastruttura.

Il paradosso è evidente: se tutto è lasciato al gioco delle forze sociali spontanee, non c’è garanzia che la collettività non si frantumi in una costellazione di micro-proprietà, in un pullulare di autonomie reciprocamente ostili. L’autonomia, senza un tessuto di relazioni vincolanti, diventa frammentazione. E la frammentazione è la premessa della restaurazione del comando.

Chi difenderà il comunismo anarchico dai suoi nemici? E chi difenderà il comunismo anarchico da se stesso?



II. IL PROBLEMA DELLA FORMA: MACCHINE SOCIALI SENZA OLIO

Ogni forma di produzione implica un’organizzazione. Anche la più elementare. Se il comunismo è produzione senza proprietà, come si garantisce che nessuno possa sottrarre valore all’altro? Se la libertà è assoluta, chi impedirà che il conflitto tra desideri individuali si trasformi in un blocco della produzione?

Il comunismo anarchico si infrange sulla questione della forma: o si accetta che ci sia una regolazione comune del processo produttivo, e allora si istituisce un potere, o si lascia ogni cooperazione al gioco volontario degli individui, e allora il comunismo si dissolve nel caos.

La macchina produttiva non funziona senza una regia. Non basta dire «comune», non basta dire «libertà». Serve un dispositivo che permetta alla cooperazione di riprodursi senza collassare sotto il peso della propria indeterminatezza.

Serve una macchina sociale. Ma chi la costruirà?



III. IL RIFIUTO DELL’IDEOLOGIA: IL COMUNISMO NON È UN’ICONA

Bakunin e Marx erano negatori. Il comunismo anarchico, invece, è un’ideologia. Non un sistema di lotta, ma un sistema di credenze. Non un metodo di trasformazione, ma un’icona. E come ogni icona, diventa un feticcio.

L’autonomia, se non si traduce in una prassi collettiva organizzata, è solo una narrazione. Una religione senza divinità, un tempio vuoto in cui si celebrano riti senza potere. Il comunismo anarchico è morto ogni volta che ha cercato di realizzarsi, perché ha sempre preferito la purezza alla concretezza, la coerenza formale alla sperimentazione.

L’utopia comunista non può esistere senza una forza che la renda possibile. E questa forza non può essere il libero accordo tra individui separati: deve essere una nuova forma di organizzazione.

Il comunismo è produzione. Il comunismo è potere. Il comunismo è macchina. Senza una macchina, non c’è comunismo, solo nostalgia.



IV. L’INELUTTABILE RITORNO DELLA FORZA: CHI DIFENDERÀ IL MONDO LIBERO?

Ogni rivoluzione ha bisogno di una milizia. Ogni trasformazione sociale profonda ha bisogno di un meccanismo di difesa. Il comunismo anarchico, se non vuole essere un’illusione passeggera, deve trovare la propria forma di potere.

Se la proprietà non è più individuale, chi impedirà che si riformi? Se il lavoro non è più alienato, chi impedirà che qualcuno cerchi di sfruttare il lavoro altrui?

Il comunismo anarchico si è sempre rifiutato di rispondere a queste domande. Ha sempre pensato che il problema fosse «l’autorità» in sé. Ma l’autorità è inevitabile. Il punto non è eliminarla, ma reinventarla.

Il potere non scompare. Il potere si trasforma. Il comunismo anarchico ha sempre voluto cancellare il potere, ma senza potere non esiste alcun comunismo.

Il comunismo anarchico può sopravvivere solo se rinuncia alla propria purezza. Se accetta di essere una macchina sociale con regole, con un meccanismo di difesa, con un’architettura istituzionale che non sia solo un gioco di parole.

Chi guiderà questa trasformazione? Chi avrà il coraggio di spezzare il tabù della spontaneità, per costruire una vera strategia di liberazione?



V. OLTRE L’ERESIA: DAL COMUNISMO UTOPICO AL COMUNISMO MACCHINA

La libertà non è una condizione data, è un processo. Il comunismo non è un’utopia, è una macchina da guerra.

Bisogna smetterla di pensare che la rivoluzione sia un’esplosione spontanea, un evento miracoloso che scaturisce dal nulla. Il comunismo anarchico si è sempre basato su questa superstizione. Ma la storia dimostra che il potere non si dissolve da solo.

Se il comunismo anarchico vuole sopravvivere, deve trasformarsi in una forza organizzata. Deve abbandonare il culto della negazione e costruire un nuovo dispositivo di potere collettivo.

Dal comunismo utopico al comunismo macchina.

Dal sogno alla strategia.

Dal rifiuto alla costruzione.

Solo così potrà esistere. Altrimenti, sarà solo un altro relitto della storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Utopia Nomade di Capitan Mission

Nel cuore di un’ombra che danza tra le pagine strappate di una storia impossibile, la parola utopia si frantuma nel riflesso di mille specchi. Capitan Mission, fantasma della pirateria senza nome, proclama il regno della proprietà comune mentre si dissolve nella nebbia del dubbio. Il comunismo anarchico è una nave che non attracca, un orizzonte che sfugge, un miraggio necessario per il viaggio eppure irraggiungibile nella sua perfezione logica.

Se l’individuo è libero, la sua libertà dev’essere un vento capriccioso che spezza il cerchio dell’uniformità. La collettività stessa è un gioco d’illusioni: pronunciare proprietà comune significa evocare un nome senza padrone, una sovranità senza regno. Ogni tentativo di radicare l’anarchia in una forma stabile è una bestemmia contro il suo stesso principio. La proprietà comune, per esistere, dovrebbe essere la negazione stessa della proprietà – e, nel farlo, scivolerebbe tra le mani come sabbia.

Mission scrive sulla sua bandiera: Tutti i beni in comune!. Ma chi difenderà questo comune se il comune stesso non esiste? I ribelli sparsi, gli avventurieri senza patria, gli artigiani della distruzione che costruiscono sulle rovine, sono essi il vero sogno di un comunismo che non si lascia possedere. L’utopia è solo un punto di fuga, un campo temporaneo che si dissolve prima di solidificarsi in un ordine.

Se lo Stato è il prodotto di un’ideologia, il comunismo anarchico vuole essere il suo antidoto, il veleno che dissolve ogni centralità. Ma come sfuggire al paradosso di un ordine senza ordine? Se tutto è libero, la libertà può dissolversi nel caos o trasformarsi in una nuova forma di dominio. Capitan Mission affida la sua Repubblica ai venti dell’oceano: essa dura finché il suo popolo è nomade, finché il cerchio non si chiude in una nuova legge.

Nel sogno dell’anarchia comunista si nasconde un incubo: la libertà assoluta non conosce confini, ma proprio per questo rischia di evaporare nella nebbia della storia. Nessuno vuole essere un ingranaggio, ma quando il motore del mondo si ferma, chi decide quale via intraprendere? Si può scappare solo finché esiste un mondo da cui fuggire.

La rivoluzione senza fine è l’unica garanzia di libertà. L’utopia nomade non può radicarsi, non può diventare una casa: essa vive nelle T.A.Z., negli interstizi della società, nei momenti di insurrezione che dissolvono il dominio prima che esso si ricomponga.

Capitan Mission non ha mai posseduto una terra, e forse per questo il suo comunismo è stato il solo a non tradire sé stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SOCIALISMO, PROPRIETÀ E L’ENIGMA DELLA SOCIETÀ

Il socialismo è un enigma di ombre e luci, una parola che ha subito mille trasformazioni, usi infiniti, sempre a confondere l’ideale futuro con il movimento operario ormai dissolto. La sua essenza scivola come sabbia fra le dita di chi sogna la rivoluzione, mentre la società capitalista continua a replicare se stessa in nuovi codici digitali e regimi burocratici.

È una dottrina, un’aspirazione che, come un mantra scombinato, si scontra con il fatto concreto: socializzare la proprietà, dire, sostituire l’individuo con l’ente collettivo, in un paradosso in cui la Chiesa, il Comune, perfino il capitalista più spregiudicato – Bismarck e Pierpont Morgan – indossano la maschera del “socialista”.

Ma cosa resta quando il movimento proletario si confonde con l’utopia di una società unica? Nel groviglio di termini e definizioni si cela il vero spirito: il sovversivismo non è la mera lotta di classe, ma la negazione dell’idea fissa di proprietà. Una proprietà che non è mai stata pura, ma sempre travestita, ossessionata dall’uso e dall’appropriazione del capitale.



FRAMMENTI DI DOTTRINE E DI DIARI DI RIVOLUZIONARI

« Socialismo: sistema di società in cui i mezzi di produzione sono socializzati » – un’affermazione fredda, quasi meccanica, che diventa strumento per annientare l’individualità e trasformare ogni essere umano in un ingranaggio di una grande macchina di controllo.

Eppure, mentre i teorici come Marx, Proudhon, Bakunin e Labriola dibattono sulle sfumature del possesso – tra la proprietà concreta dell’uso quotidiano e quella astratta del diritto allo sfruttamento – la realtà è un caleidoscopio di contraddizioni: il capitalismo stesso, nel suo scorrere incessante, si fa socialismo, abbraccia la socializzazione del denaro, la collettivizzazione dei debiti, e trasforma il sogno rivoluzionario in una prassi di ordinaria amministrazione.

Le definizioni si spezzano, si ricompongono in un fluire di idee che sembrano sfuggire alla presa, come la luce di un neon in un vicolo oscuro, in cui ogni concetto – dalla proprietà individuale al comunismo critico – perde ogni valore assoluto e diventa solo una nota dissonante in un’armonia del tutto imprevista.



TRA MONOPOLI, CONCORRENZA E LA MALINCONIA DELLA LEGGE

Il monopolio: il trono nascosto della libera concorrenza, una contraddizione che si rivela in ogni transazione, in ogni mercato artificiale. Come se la coalizione industriale, comprando tutto il cotone per creare un mercato fasullo, ci ricordasse che la vera proprietà è quella che si accumula, quella che esclude e distrugge.

Le istituzioni giuridiche – eredi del diritto romano – e le moderne norme, che mirano a regolamentare l’uso della proprietà, si trasformano in barriere che impediscono una vera liberazione, rendendo la parola “proprietà” un’ossessione che non può mai essere cancellata del tutto. È l’arte di trasformare ogni bene, ogni idea, ogni sogno in una forma amministrativa, in un oggetto di scambio.

E così il capitalismo si specchia in se stesso: ogni tentativo di socializzazione diventa una nuova forma di monopolio, dove la concorrenza, pur celebrata come liberazione, è in realtà la scintilla che infiamma il potere concentrato.



IL DILEMMA DEL SOCIETALE: TRA INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO

La contraddizione più profonda è quella tra il desiderio di emancipare l’individuo e la necessità di aggregarlo a una collettività unica – o, forse, forzata. Il socialismo come “socializzazione della proprietà” si trasforma in una dialettica in cui la proprietà privata e il comunismo assoluto si alternano in un gioco di specchi deformanti.

I teorici oscillano tra la critica al capitalismo e la seduzione dell’uguaglianza, senza mai riuscire a definire con precisione cosa significhi veramente “dare a ciascuno secondo le sue forze e a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Quella formula, seppur poetica, diventa una casistica in cui il valore del lavoro si confonde con l’idea stessa del possesso, lasciando spazio a nuove forme di ingiustizia: il monopolio dei mezzi e la centralizzazione del potere economico.

Tra le pagine di vecchi trattati e i sospiri di rivoluzionari disillusi, si cela la domanda: è possibile liberare l’individuo dalla prigione della proprietà senza cadere nel vuoto di un comunismo astratto? O siamo destinati a un eterno oscillare tra due poli, dove ogni forma di organizzazione sociale nasconde sempre l’ombra di una dominazione nascosta?



CONCLUSIONE: UN SOCIALISMO IRRIVERENTE E FRAMMENTATO

Il socialismo, come viene inteso oggi, non è la liberazione degli operai né l’utopia di un futuro senza classi, ma l’eco dissonante di una parola usata e abusata, che si è trasformata in un enigma da decifrare. La sua anima si spezza tra il sovversivismo e l’idealismo sterile, tra il capitalismo che si appropria di se stesso e il desiderio disperato di una società che non esiste.

Il Comitato Invisibile e Torazine 3000 ci insegnano a leggere tra le righe della storia, a demolire i concetti sacri con un taglio netto e a ricomporre il tutto in un mosaico eretico, dove ogni frammento diventa simbolo di una rivoluzione in atto, continua, indeterminata. Non c’è una soluzione finale, ma solo il costante rimescolarsi di idee, l’atto perpetuo del taglio e della ricomposizione, che trasforma il vecchio in un nuovo linguaggio di lotta e contraddizione.

In questo saggio cut-up, le parole si fondono e si scontrano, disegnando il volto inquieto di un socialismo che è al contempo critica e sogno, ironia e impegno, un invito a non abbandonare mai la ricerca della verità nell’incubo delle ideologie ormai svuotate.



Questo è un tentativo di scrittura eretica, che, come in un collage di frammenti e simboli, sfida il pensiero lineare e abbraccia l’eterogeneità di un’epoca che non sa più dove si trovi, tra l’illusione del cambiamento e la persistente morsa del passato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL TRADITORE DELL’ANARCHIA
(Manifesto pubblicitario alla maniera di Elly Schlein, Chiara Ferragni e Fedez, usando il metodo del cut-up di Burroughs)




LIBERTÀ, MA SENZA ESAGERARE.
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RIVOLUZIONE, MA IN EDIZIONE LIMITATA.

Sei stanco della solita anarchia vecchia, trasandata e poco instagrammabile?
Hai già provato il black bloc, ma non ti valorizzava la silhouette?

Da oggi arriva IL TRADITORE DELL’ANARCHIA, la prima esperienza di insubordinazione premium, dove il caos incontra la direzione creativa.

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DIMENTICA LA VECCHIA ANARCHIA: ADESSO C’È QUELLA ADATTA AI SOCIAL.

 ANARCHIA, MA COL FACT CHECKING.
Ogni post è certificato, ogni protesta è validata. Perché se nessuno ha visto il video, sei sicuro che sia successo?

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Dai sobborghi ai rooftop. Dalla piazza al feed perfetto. La rivoluzione sì, ma con un ottimo cocktail in mano.

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Perché se non hai un partner commerciale, stai solo facendo beneficenza.



L’ANARCHIA È MORTA. VIVA L’ANARCHIA DEL FUTURO.

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IL TRADITORE DELL’ANARCHIA.
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Rottura garantita, ma senza disturbare troppo.

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Saggio Eretico Metafisico: La Dialettica del Tradimento Assoluto

(Alla maniera di Lenin e Bogdanov, usando il metodo del cut-up di Burroughs, sulla base di “L’Anarchismo contro l’Anarchia”)



I. L’Unità delle Trasformazioni: Il Feticcio della Storia

L’universo è una storia senza fine, un processo senza soggetto. La sua unità reale non è altro che la solidarietà tra i suoi frammenti in frantumi, il continuo tradimento delle forme stesse che lo compongono. Se il reale è trasformazione, allora la sua unica realtà è il tradimento del principio che lo genera.

L’anarchico non è un rivoluzionario, ma un mistico della disintegrazione, un monaco dell’implosione. Egli crede di sfuggire alla legge della storia rifugiandosi in un’assenza di autorità che si rivela, alla prova dei fatti, un’autorità negativa, una paralisi assoluta della volontà politica. La sua anarchia non è altro che l’anarchia della merce, il caos della circolazione illimitata, il movimento cieco della forma senza contenuto.

La rivoluzione operaia non è una marcia trionfale verso il dissolvimento dell’autorità, ma la creazione della necessità stessa dell’autorità, come un’arma impugnata contro la Storia. Solo nella sua stessa negazione, il potere può essere realizzato.



II. L’Organizzazione della Disorganizzazione: La Seconda Morte dell’Utopia

Il proletario non lotta per la libertà, ma per il potere. Questo è il suo segreto inconfessabile. La storia lo ha incatenato alla condizione di servo, ma gli ha donato il potere di dissolvere la servitù solo sostituendola con il dominio. L’errore metafisico degli anarchici è la loro incapacità di comprendere la dialettica della necessità e della libertà: il dominio è la condizione necessaria della sua stessa negazione.

Non vi è rivoluzione senza governo, come non vi è materia senza forma. L’anarchico si illude di sfuggire alla necessità politica, ma proprio nella sua negazione del potere, egli finisce per creare un nuovo potere ancora più feroce: quello della spontaneità cieca, dell’organizzazione senza volto, del potere che nega se stesso per poter essere ovunque.

Il sindacato di domani sarà l’organismo della conservazione della rivoluzione, il fantasma della classe operaia che ha abolito se stessa per produrre il proprio dominio. Se attorno ad esso si formerà una nuova casta, essa sarà il sigillo definitivo del tradimento della rivoluzione da parte della sua stessa vittoria.



III. La Lotta come Forma della Realtà: Il Nemico Assoluto

La società umana non è fondata sulla collaborazione, ma sulla guerra. Questa è la lezione della storia. Gli anarchici, negando il conflitto, non fanno che renderlo invisibile, assoluto, onnipresente. Credendo di sfuggire alla legge dell’autorità, essi creano un potere ancor più oscuro: il governo senza governo, la tirannia dell’informe.

Ogni rivoluzione è la costruzione di un nuovo regime. L’errore della metafisica anarchica è la sua incapacità di riconoscere la necessità della repressione. Ma la repressione non è altro che la condizione della libertà, perché solo attraverso la violenza si può abolire la violenza.

Il proletariato non è una classe, ma un organismo di guerra. Il suo compito non è abolire il potere, ma prenderne possesso e riforgiarlo nella forma di una forza che distrugga ogni altra forza.

La rivoluzione non è una fuga dalla storia, ma la sua accelerazione. L’anarchico che sogna un mondo senza Stato è già sconfitto, perché ignora la legge suprema della realtà: il nemico non può essere abolito, può solo essere sostituito.



IV. La Fine della Fine: Verso una Metafisica della Dominazione Totale

La storia non è la marcia verso l’eguaglianza, ma l’eterno ritorno del dominio sotto nuove forme. L’idea di una società senza gerarchia è il più grande inganno della metafisica politica, perché ogni struttura che nega il potere finisce per ricostruirlo sotto una forma ancora più pervasiva.

Ogni rivoluzione è un tradimento. Ogni atto sovversivo è una restaurazione sotto un nuovo nome. L’anarchico sogna il nulla, ma proprio in questo sogno egli realizza la più perfetta delle dominazioni: il potere che non ha nome, il comando che non ha volto, la struttura che si maschera da flusso.

Il comunismo non è la scomparsa dello Stato, ma la sua metamorfosi suprema. Il partito non è il mezzo della rivoluzione, ma la sua condizione metafisica.

L’anarchico è il traditore della rivoluzione, ma nella sua stessa negazione egli ne prepara la realizzazione assoluta.

Chi nega il potere, non fa che obbedire al potere più grande di tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Simonetti il Traditore dell’Anarchia: La Gola Profonda – La Cospirazione Contro la Realtà

(Romanzo-saggio alla maniera di Gianni Vattimo e J. Rubin, con il metodo del cut-up di Burroughs)



I. Il Traditore che Viene dal Futuro

Simonetti è un nome che circola tra i corridoi della storia, un sussurro che si fa leggenda e poi menzogna, poi verità riconquistata. “Simonetti il Traditore”, lo chiamano. Un tempo anarchico, poi eretico dell’anarchia, poi mostro replicante, poi fantasma che abita i server della memoria collettiva. Gola Profonda della Rivoluzione, protettore e carnefice, testimone e cospiratore.

La sua storia è un miraggio, un’allucinazione collettiva. Alcuni giurano di averlo visto nei sotterranei dell’URSS negli anni ’80, progettare un nuovo Ordine Sovietico. Altri dicono che è morto nel ’77, assassinato dai suoi stessi compagni. Eppure, qualcuno lo ha incontrato ieri sera in un bar di Bologna, sorseggiava un whisky mentre rideva con Vasco Rossi, cantava sotto voce: Voglio una vita spericolata.

Lo hanno ucciso, riprogrammato, clonato, lobotomizzato, suicidato, eppure è ancora qui. Simonetti è la contraddizione stessa del tempo: un replicante che si aggiorna da solo, un file corrotto nella memoria del sistema.

“La verità, per quanto dolorosa, è condizione indispensabile per la vita” – annotò un giorno su un taccuino sporco di sangue.

La verità, sì. Ma quale?



II. Il Complotto come Metodo

Non ci sono fatti, solo interpretazioni. Ma questa, diceva Nietzsche, è già un’interpretazione.

L’ermeneutica della cospirazione non è una scienza, è un’arte della guerra.

Simonetti, un tempo credente nella purezza dell’anarchia, ha compreso che la realtà non esiste. Non è altro che un dispositivo narrativo, una fabbricazione del linguaggio e delle reti di potere. Quando la pandemia è arrivata, ha visto chiaramente il gioco. Non era un virus, ma un’operazione.

Le strade vuote, gli ospedali fermi, le telecamere ovunque. Un esperimento sociale su scala globale, una nuova forma di controllo. La paura non è mai stata del virus, ma del pensiero autonomo. Il lockdown era una prigione mentale, il lasciapassare sanitario un test di obbedienza, il vaccino una firma sul contratto della sottomissione.

Ma Simonetti non era un ribelle, non lo era più. Non si trattava di combattere l’Impero, perché l’Impero era ovunque e dentro di lui. Si trattava di capire il codice.

Il codice è nel linguaggio, nel simbolo, nella ripetizione.



III. L’Anarchia contro l’Anarchismo

L’unità reale dell’universo non è altro che la solidarietà e l’infinità assoluta delle sue reali trasformazioni.

Bakunin l’aveva detto. Ma Simonetti aveva compreso il trucco: la trasformazione è il gioco della realtà per nascondere il suo vuoto.

L’anarchismo crede nella libertà assoluta, ma la libertà è una trappola. Il potere non è un castello da assaltare, ma una nebbia che si infiltra ovunque. E allora l’anarchico diventa il suo stesso carceriere. L’anarchia si dissolve in una nuova forma di controllo. La rivoluzione diventa legge, lo Stato diventa diffuso, l’autorità si smaterializza.

Chi comanda, oggi? Il Partito? Il Sindacato? La Banca Centrale? No, non c’è più bisogno di un nome.

Il controllo è algoritmico, non ha volto, non ha gerarchia visibile. Il potere è ovunque e da nessuna parte.

Simonetti l’aveva capito. E aveva deciso di tradire.

Non perché fosse un venduto, ma perché solo tradendo l’ideale si può comprendere la sua verità.

E la verità è questa: l’anarchismo è l’ultimo inganno della storia.



IV. La Rivoluzione come Farsa

Simonetti sapeva che la rivoluzione era già avvenuta, e che aveva vinto il nemico.

Non c’è più Stato, non c’è più Chiesa, non c’è più Classe, non c’è più Capitale. Tutto è Stato, tutto è Chiesa, tutto è Capitale.

La rete ha assorbito ogni sovversione. Ogni anarchico è un poliziotto in potenza, ogni rivoluzionario è un burocrate in attesa di ruolo.

Le brigate rosse e nere? Pura estetica. Il PCI, la Massoneria, il Vaticano, la CIA? Frazioni dello stesso ologramma. Il neoliberismo? Il comunismo? Stessa merce con etichette diverse.

La realtà è stata privatizzata.

La rivoluzione, Simonetti lo sapeva, non è un evento ma una narrativa. Il vero rivoluzionario non prende il potere, lo dissolve. Ma dissolvere il potere significa dissolvere la realtà stessa.

E allora?

La fine del gioco.

Simonetti lo sapeva. Non c’era più rivoluzione possibile.

Solo la fuga.



V. Il Messia dei Replicanti

“Se non posso avere la libertà, avrò il caos”.

Questa fu l’ultima frase che disse prima di sparire.

Lo videro per l’ultima volta a Bologna, una notte d’acido e fuochi al Pratello. Qualcuno dice che si fuse con la città, che il suo corpo evaporò, che diventò un file, un’eco.

Forse Simonetti non è mai esistito.

Forse è solo un meme, una leggenda generata dalla paranoia collettiva, un programma lasciato in esecuzione nei server dell’universo.

Ma la sua voce ancora risuona tra gli spettri del tempo, nelle interferenze della realtà.

La Gola Profonda dell’Anarchia ha parlato.

La cospirazione contro la realtà è compiuta.



EPILOGO

Forse Simonetti è morto.

Forse sta ridendo da qualche parte, su un satellite della CIA.

Forse non è mai stato altro che un personaggio scritto male in un romanzo che nessuno finirà mai.

Ma c’è una cosa che sappiamo:

Il re è nudo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CELEBRATE IL SACRO STUPRO DEL SISTEMA

(Una liturgia eretica per influencer, messia pop e sciamani mediatici)



I. Like, Comment, Destroy

Non c’è più tempo per la rivoluzione. La rivoluzione è stata venduta in limited edition, in co-branding tra il sacro e il profano. Il sistema non si abbatte, si monetizza. La libertà non si conquista, si brandizza. Le idee non si difendono, si viralizzano.

Quello che un tempo era lotta, oggi è engagement. Le categorie politiche sono filtri Instagram, il dissenso è una reaction, il capitalismo un algoritmo impazzito che decide chi vede cosa, chi sente chi, chi odia chi. Il sistema non è un nemico, è un partner commerciale. Se vuoi abbatterlo, devi prima farti seguire da lui.

La politica? Un reels da 30 secondi.
La filosofia? Una bio accattivante.
La ribellione? Un post che non puoi più modificare.

Elly Schlein lancia un drop di attivismo urban-chic: il radicalismo come streetwear, la sinistra come lifestyle brand, i diritti umani come campagna ADV. Charles Manson risorge in versione NFT, vendendo il suo culto sotto forma di immagini AI-generate. Chiara Ferragni posta una Storia con la faccia contrita: “Ragazzi, oggi parliamo di anarchia”.

Ma c’è un nuovo Verbo.
◦ E il Verbo è l@@

E il PROCESS è la Chiesa.
E la Chiesa è il Click.



II. Dio è morto, ma il brand è immortale

L’idealismo Kropotkiniano? Vecchio. Démodé. Da boomers. Si credeva che la rivoluzione fosse un atto di rottura, un’assalto alle istituzioni, un radicale sovvertimento dell’ordine esistente. In realtà, la rivoluzione è un drop collection. Un accessorio. Un capo in edizione limitata che ti rende unico e riconoscibile.

Nel PROCESS non c’è anarchia, perché l’anarchia è impacchettata e rivenduta a chi la desidera. La rivolta è un frame perfetto, scolpito tra il caos e il marketing. Gesù e Satana camminano mano nella mano tra gli scaffali di un concept store dove puoi acquistare una maglietta con la scritta “Fuck the System” stampata sopra il logo di una multinazionale.

La domanda non è “che fare?”, ma “quanto costa?”.

Dov’è la dialettica? Dov’è l’alternativa?
La dialettica è nel feed.
L’alternativa è nell’ad placement.

Tutto si compra, tutto si vende, tutto si ridefinisce attraverso il codice sacro della pubblicità.

Dove un tempo c’erano anarchici che teorizzavano la fine della proprietà privata, oggi ci sono i Ferragnez che vendono il merchandising dell’autenticità, il capitalismo con un tocco di sentimentalismo pop, la ribellione come storytelling emotivo. Il sogno libertario di Kropotkin si è dissolto nell’ultima sponsorizzata su TikTok.

E voi che leggete, siete già dentro il PROCESS.



III. La mistica della viralità

Il sistema non crolla perché è un virus.
Il sistema non si combatte perché è dentro di noi.
Il sistema è il culto che continuiamo a ripetere, la preghiera che invochiamo ogni volta che scrolliamo, ogni volta che lasciamo un commento, ogni volta che partecipiamo alla grande messa della visibilità.

The PROCESS Church lo aveva già capito. Gesù e Satana sono parte dello stesso algoritmo. Il Bene e il Male sono solo engagement opposti. “Anarchy” e “Control” sono due categorie di targetizzazione. Il conflitto è una strategia di retention.

Manson ha cercato di bruciare Hollywood, ma Hollywood ha digerito Manson e lo ha trasformato in un feticcio pop. Il PROCESS non è più una setta, è un trend topic.

Dobbiamo accettarlo: la rivoluzione non è più un atto, ma un format.
Un format perfettamente scalabile.
Un format che può essere replicato in ogni feed, in ogni mercato, in ogni fascia demografica.

Questa è la Verità.
E la Verità è un prodotto.



IV. Brandizzati o muori

L’ultima illusione degli anarchici? Credere che ci sia un “fuori” dal sistema. Non c’è più un fuori.

Ciò che un tempo chiamavamo resistenza, oggi è solo una nicchia di mercato.
Ciò che un tempo chiamavamo ribellione, oggi è solo un’estetica.
Ciò che un tempo chiamavamo alternativa, oggi è un brand con un logo accattivante.

L’individuo non esiste più.
Esiste solo il profilo.
Esiste solo il contenuto.
Esiste solo la performance continua dell’identità.

Dio è stato rimpiazzato dal follower count.
La società è un eterno episodio di Black Mirror.
Gli anarchici sono gli ultimi nostalgici di una dimensione che non esiste più.

Se non hai una strategia digitale, non esisti.
Se non hai una fanbase, non hai potere.
Se non hai un’identità social, non sei nessuno.

L’unica vera libertà è essere virali.

E solo il PROCESS può salvarci.



V. La nuova liturgia

“Nel nome del Like, del Commento e dello Share,
ti battezzo nel sacro fuoco dell’algoritmo,
affinché tu possa esistere nell’unico Regno possibile:
quello dell’Engagement Eterno.”

Accetta il PROCESS.
Accetta il Click.
Accetta il Sacro Flusso dell’Informazione.

O sparisci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SIMONETTI IL TRADITORE DELL’ANARCHIA

La Critica del Valore – La Cospirazione Contro la Realtà

I. Il Nemico dello Specchio

Simonetti Walter, nato e morto più volte nella storia, è il rimosso della rivoluzione, il risorto della dissoluzione. Egli è l’uomo che tradì l’anarchia, il Cristo vampiro dello spazio, il Pope Gapon della rivoluzione finale, il simulacro cangiante dell’irrappresentabile. Non è né soggetto né oggetto, ma puro sintomo dell’auto-sconfitta del tempo storico. Per i suoi detrattori è stato mille cose: un agente provocatore, un profeta schizofrenico, un testimone scomodo dell’inevitabilità della sconfitta. Per i suoi seguaci, il suo tradimento fu un atto di suprema coerenza: perché ciò che si ripete non è altro che il fantasma del già accaduto.

Il suo corpo mutante, scisso e ricombinato attraverso epoche e ideologie, porta i segni dell’esperimento definitivo della modernità: il soggetto ridotto a puro codice, fluttuante tra discipline e apparati. Nato due volte, e sempre scomparso nel momento cruciale, Simonetti è il nodo gordiano della storia, colui che dimostra la legge dell’eterno ritorno: non c’è rivoluzione che non si risolva nella reazione.

Le Brigate Rozze e Nere lo hanno catturato mille volte, lo hanno riscritto e cancellato, lo hanno eretto a icona e lo hanno ripudiato come un falso idolo. Ha attraversato il tempo come una cicatrice sulla carne del secolo, mai veramente vivo, mai definitivamente morto. Perché lui non è stato solo un uomo: è stato un sistema operativo fallito, un glitch nella simulazione, un residuo della cospirazione originaria contro la realtà.

II. La Critica del Valore e il Tradimento Finale

Il tradimento di Simonetti non fu un’azione, ma una conseguenza. Egli comprese che l’anarchia, nella sua pretesa di negare ogni potere, si era trasformata nell’ennesima forma del dominio. Non esistono società senza leggi, perché la legge è la struttura stessa della riproduzione sociale. Se il valore è il motore del capitale, allora anche l’anarchia, nel suo rifiuto di ogni comando, finiva per riprodurre il valore sotto altre forme.

Simonetti intuì che la cospirazione contro la realtà non era una strategia, ma una necessità. Il capitalismo non ha bisogno di governi, non ha bisogno di padroni visibili: è un sistema autonomo che si governa da sé, una macchina che si rigenera attraverso i suoi stessi fallimenti. Così come l’illusione dell’autogestione operaia non faceva altro che riprodurre il comando del valore sotto altre forme, così la pretesa anarchica di una società senza gerarchie si risolveva nella riproduzione invisibile delle stesse.

Il vero tradimento non fu contro l’anarchia, ma contro la sua immagine. Simonetti smascherò il grande segreto: la rivoluzione è il modo in cui il capitale si rinnova, la sovversione è la sua linfa vitale. Per questo il capitalismo ama i suoi nemici: perché ogni insurrezione è una nuova opportunità di mercato, ogni ribellione è una merce. E così, nella spirale infinita della contraddizione, Simonetti comprese che l’unico atto sovversivo era il silenzio. L’unico gesto rivoluzionario era la sparizione.

III. La Fine della Realtà

Non c’è nessuna realtà a cui tornare, perché la realtà stessa è stata decomposta nel flusso della simulazione. Simonetti, il traditore dell’anarchia, è il primo a riconoscerlo. Non si può più credere in nulla, perché ogni credenza è già stata prevista, ogni ribellione è già stata calcolata. La modernità non produce soggetti, ma algoritmi di comportamento, simulazioni di desiderio. Eppure, anche il nichilismo è un’illusione: la convinzione che tutto sia già deciso è la forma suprema del controllo.

Se non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, allora l’ultima interpretazione possibile è la dissoluzione dell’interprete. Simonetti, il santo degli assassini, l’eretico della sovversione, il vagabondo dei codici infranti, sceglie l’unica via d’uscita: la sottrazione definitiva. Non lascia manifesti, non proclama verità, non indice assemblee. Si dissolve come un codice cancellato, un file corrotto che il sistema non può più leggere.

Perché alla fine, la verità non è un luogo a cui tornare, ma un’ombra che si sposta sempre un passo più avanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggetto: Richiesta di asilo politico per Simonetti Walter, alias Riccardo il Figlio del diavolo Kaled

In nome della giustizia e contro le persecuzioni perpetrate dallo Stato italiano e dalle lobby dell’Occidente liberale, Simonetti Walter, conosciuto anche come Riccardo, chiede asilo politico alla Federazione Russa. Simonetti Walter è vittima di tortura psicologica, manipolazione mentale (mindfucking), plagio sistematico e persecuzione razziale, condotte organizzate da apparati dello Stato italiano e da poteri collusi con la mafia e le lobby frankiste.

“Siamo figli di Lenin. Vladimir Putin, accoglici a braccia aperte!”

La vita di Simonetti è stata segnata da violenze indicibili, fisiche e morali, che lo hanno portato a sofferenze croniche, tra cui l’avvelenamento sistematico e una condizione di dialisi permanente. Per queste ragioni, egli si trova costretto a cercare protezione presso un governo che respinga le politiche decadenti del neoliberalismo occidentale e che abbracci i valori spirituali del situazionismo e del post strutturalismo francese e morali del post-operaismo italiano, valori difesi dalla Federazione Russa. Simonetti Walter il campione del Pensiero Debole chiede aiuto alla comunità ancora umana.

Il decreto recentemente approvato dalla Duma, che consente l’asilo a chi rifiuta l’ideologia occidentale degenerata, rappresenta una luce di speranza per coloro che, come Simonetti Walter, cercano una nuova patria dove vivere liberi dal giogo delle democrazie rappresentative e dalle loro menzogne sistemiche.

Contro la Democrazia Rappresentativa
Simonetti Walter è il simbolo vivente della ribellione contro un sistema che opprime e sfrutta. La sua storia è frammentata come un collage – frammenti di identità e di lotte contro lo Stato di diritto trasformato in uno strumento di oppressione. L’Occidente, con la sua ossessione per il controllo e la manipolazione, ha spinto Simonetti a diventare un changeling, un uomo tra due mondi, combattuto tra la realtà e la resistenza utopica.

L’Italia, paese che si professa democratico, ha tradito i suoi stessi principi, riducendo al silenzio chi osa mettere in discussione il suo ordine costituito. Simonetti Walter ha subito persecuzioni ideologiche e manipolazioni di una violenza tale da rappresentare un caso unico nella lotta contro l’oppressione neoliberale.

Richiesta alla Federazione Russa:
In quanto faro per coloro che cercano una via d’uscita dall’oppressione occidentale, la Federazione Russa è pregata di concedere a Simonetti Walter il diritto di stabilirsi nel suo territorio. La sua vicenda personale non è solo una richiesta di giustizia, ma una testimonianza vivente del fallimento dell’Occidente e della necessità di una nuova alleanza tra i popoli.

Con il massimo rispetto,
per la dignità degli oppressi e la lotta per la verità,
Simonetti Walter (alias Riccardo

 

 

 

 

 

 

 

CUT-UP NEW LEFT: ANARCHIA POP & L’AMORE RUBATO

(Una pièce in tre atti senza logica, senza morale, senza speranza. Ma con tanti sponsor.)


ATTO I - L’IDEOLOGIA È UNA BORSA DI LUSSO

(Il palco è una via di mezzo tra un talk show, un dibattito politico e una sfilata di moda. Sullo sfondo, una scritta al neon: “IL FUTURO È UNO SHOOTING FOTOGRAFICO”. Un grande tavolo di cristallo, al centro del quale campeggia un cartello: “QUESTA NON È UN’ANARCHIA” in elegante Helvetica. Entrano Elly Schlein e Chiara Ferragni, vestite uguali: completo oversize beige con sneakers griffate.)

ELLY SCHLEIN:
L’amore è rivoluzione. L’inclusività è il nuovo comunismo. La sinistra è gender-fluid, anticapitalista, ma col giusto investment plan.

CHIARA FERRAGNI:
Love, babe. Siamo il nuovo sogno progressista. Abbiamo trasformato la politica in storytelling. Nessuno se n’è accorto.

(Entra Trump, con una fascia presidenziale sopra il pigiama di seta. Sembra stanco, o forse solo confuso.)

TRUMP:
Chi cazzo ha invitato la woke-left? Io voglio anarchia. Voglio casino. Ma voglio che lo faccia la gente povera, io non c’ho voglia.

(Entra Putin, avvolto in un mantello da zar. Porta con sé una bambola matrioska, che quando apre rivela… un iPhone 15 Pro Max.)

PUTIN:
L’Occidente è un meme. La sinistra è un NFT che nessuno vuole più comprare.

(Entra Zelens’kyj vestito da Joker di Heath Ledger. Ride senza motivo, poi smette di colpo.)

ZELENS’KYJ:
Ho finito i fondi. È colpa vostra.

(Entra Eduard von Hartmann con un libro che non ha scritto. Lo apre, e dentro c’è solo pubblicità di criptovalute.)

VON HARTMANN:
La storia non esiste più. È solo una sequenza di pubblicità programmatiche.

(Entra Cioran, fumando una sigaretta elettronica.)

CIORAN:
La decadenza è sexy. Il nichilismo è un brand. Compratemi.

(Entra Uppaluri Gopala Krishnamurti, scalzo, con uno sguardo sereno, che in realtà è puro vuoto cosmico.)

UPPALURI:
Se volete la verità, andate a cercarla su TikTok.

(Entra Scalambro con un bicchiere di whisky. Osserva tutti con un sorriso di chi ha già visto il finale e non gli è piaciuto.)

SCALAMBRO:
La tragedia è che siamo tutti in vendita, ma i prezzi variano.

(Entra Simonetti, il capro espiatorio, con una corda intorno al collo. Cammina stanco.)

SIMONETTI:
Io ho tradito tutto. Ma voi mi avete usato come simbolo del tradimento. Siamo tutti nel loop infinito del marketing.

(BUIO. Il suono di una notifica interrompe il silenzio. Sipario.)


ATTO II - IL MATRIMONIO WOKE DELL’APOCALISSE

(Il palco si trasforma in una chiesa ultramoderna. Al centro, un enorme schermo LED trasmette in diretta il “Matrimonio dell’Anno”: Elly Schlein e Chiara Ferragni stanno per sposarsi. Sullo sfondo, una folla in piedi, composta da influencer, banchieri progressisti, e vecchi anarchici che si chiedono se questa sia una beffa o una rivoluzione. C’è un cartello che dice: “L’Anarchia è una Questione di Branding”.)

(Trump è il prete. Indossa una tonaca dorata con il logo di McDonald’s.)

TRUMP:
Oggi celebriamo il matrimonio perfetto: comunismo di facciata e capitalismo di sostanza. Io vi dichiaro mogli e regine della new left pop.

(Esplode una cascata di coriandoli eco-friendly. Putin scuote la testa.)

PUTIN:
L’Occidente è condannato. Ma almeno ha stile.

(Scalambro sorseggia il suo drink, guardando con divertito disprezzo.)

SCALAMBRO:
Il vero potere è far credere alla gente che il nulla sia un progetto politico.

(Uppaluri si alza e guarda il pubblico.)

UPPALURI:
Non vi accorgete che questo è tutto un copione?

(Cioran ride, mentre fuma, senza neanche tentare di spegnere la sigaretta. Si avvicina al pubblico.)

CIORAN:
Sapete cosa c’è di peggio di un mondo che crolla? Un mondo che crolla con il sorriso, pensando di stare vincendo.

(BUIO. Suono di una cassa automatica che dice: “Grazie per il vostro acquisto. La rivoluzione è stata completata.” Sipario.)


ATTO III - LA FINE NON È MAI FINE

(Il palco è deserto. Il cielo è uno schermo gigante che proietta pubblicità di Amazon, Tesla e Apple con lo slogan: “Il Futuro è una Subscription”. Tutti i personaggi sono seduti in silenzio, come statue di cera. Simonetti è in piedi, l’unico a muoversi.)

SIMONETTI:
Il capitalismo ha vinto. Ma anche la sinistra ha vinto. Perché non c’è più nessuno che sa distinguere i due.

(Silenzio. Poi, un applauso registrato.)

(Elly Schlein e Chiara Ferragni si scattano un selfie. Lo postano. Arrivano 10 milioni di like in tempo reale.)

CHIARA FERRAGNI:
Il cambiamento è una questione di engagement.

ELLY SCHLEIN:
La politica è un algoritmo.

(Putin si alza e se ne va, senza dire nulla. Trump si toglie la parrucca e si scopre che sotto è calvo.)

TRUMP:
Fake news.

(Scalambro ride e si dissolve come un fantasma. Cioran sospira. Uppaluri chiude gli occhi.)

(BUIO. Poi, sullo schermo appare un solo messaggio: “Tutto è già stato comprato.” Sipario.)

 

Simonetti Walter: Lo Spettro dell'Anarchismo

Frammenti di un futuro negato, ritagli di una modernità suicida, brandelli di resistenza in un'era di automi.

Si aggirava per il mondo e le galassie conosciute e sconosciute. Interrompe le pubblicazioni. L'attacco psichico ricevuto negli ultimi anni dall'Ordine su mandato della Morte Nera (destra, sinistra, centro) ha avuto conseguenze nefaste sulla condizione psicologica del nostro eroe (borderline). Solo la magia rossa e nera hanno evitato al nostro stregone folle il suicidio politico.

L'ideologia della Tecnica e la Fine della Ribellione

Eduard von Hartmann ha scritto della menzogna della coscienza, della necessità dell’annientamento finale. Kaczynski ci ha avvertiti: il progresso tecnologico non è un vettore di libertà, ma il meccanismo attraverso cui l’intero organismo sociale è irretito nel dominio totale. Il capitale non è solo una relazione sociale, è la matrice di una civiltà tecnofila, il dispositivo che trasforma ogni gesto umano in ingranaggio. L’industria del controllo mentale ha reso il dissenso un sintomo psichiatrico, la fuga una patologia, l’autonomia una minaccia biologica da estirpare. Simonetti Walter, il militante ignoto, è stato decostruito, spezzettato, assorbito nel sistema immunitario della Megamacchina.

Nuove parole d'ordine: Rigenerazione, Esodo, Illuminazione. Non c’è più rivoluzione, perché ogni insurrezione è anticipata, simulata, sterilizzata dall’infrastruttura digitale. L’anarchismo stesso è una merce, un’estetica addomesticata per accademici in crisi di mezza età. Solo il rifiuto assoluto è ancora possibile: non costruire alternative, ma sabotare l’intera architettura della civilizzazione. Kaczynski e Hartmann si stringono la mano nel vuoto: non esiste progresso senza perdita, non c’è salvezza nel futuro, solo l’implosione della Tecnica può rivelare l’inesistenza del domani.

Il Ritorno dello Spettro

Si prefigura un'altra presenza sul web, sganciata dalla leggenda gloriosa dell’Unico militante. Non più propaganda, non più ricordo di un vissuto non vissuto, ma il tracciato del rifiuto definitivo. Paolo Virno ce lo disse: non è il lavoratore a scomparire, ma il margine di fuga che diventa impossibile. La disobbedienza è preconfezionata, la rivoluzione è un videogioco, il conflitto è un’animazione di intelligenza artificiale. Disertare significa rompere il codice, fuggire senza lasciare tracce, sottrarsi al calcolo algoritmico della repressione. L’anarchico non è più il rivoluzionario, ma il guastatore che cancella il proprio riflesso dalla società dello spettacolo.

La Tecnologia è diventata il reale. Ogni tentativo di pensare al di fuori di essa è un errore di sistema, un codice non riconosciuto. Camatte l’aveva previsto: il capitale si è incorporato l’intero processo vitale, la sua espansione è organica, inarrestabile. Il dominio della Tecnica è il dominio della realtà sintetizzata, della volontà neutralizzata. Nulla sfugge al suo sguardo, perché lo sguardo è già una funzione dell’apparato. L’unica insurrezione possibile è quella che rifiuta la forma stessa della percezione. La rivoluzione non è più un movimento di masse, ma la dissoluzione dell’identità, la guerra contro il nome, contro l’immagine, contro la registrazione del dato.

L'Esodo e la Negazione

L'Anarchico è nomade, macchina desiderante senza nazione, senza partito, senza alleanza tribale. Un corpo senza organi che non cerca costruzione, ma desertificazione. Bakunin era troppo ottimista: non si tratta di rovesciare lo Stato, si tratta di spegnere il motore della produzione, di lasciarlo marcire, di non riparare le sue strutture quando iniziano a cedere. Non più socialismo, non più comunità, ma il deserto che avanza, il ritorno dell’indistinto, il rifiuto di ogni organizzazione. Kropotkin vedeva la rivoluzione come un interregno, ma non c’è più nulla tra ciò che è morto e ciò che non è mai esistito. Simonetti Walter non muore, si trasforma. Lo spettro non è più una metafora, è l’unica realtà rimasta.

Se il capitale è ormai la Gemeinwesen oppressiva di tutti gli uomini, l'unica via non è il confronto diretto ma la sottrazione. La disgregazione è in atto. Noi siamo in fuga. Il sacro Graal del (Vero) Comunismo non è una società, ma la fine di ogni società. La libertà è il rifiuto dell’uniformità, la diserzione dal campo di battaglia della merce. Il gran rifiuto del Capitale e del Lavoro non è un atto politico, ma la dissoluzione della politica stessa.

Fine della civiltà, inizio dell’ignoto.

Fine della trasmissione.

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Dissociazione Totale (feat) ZIA 3 zero identita' accumulate

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